South Carolina, un pedaggio per la pornografia online

South Carolina, un pedaggio per la pornografia online

Una proposta di legge per imporre un filtro che blocchi i contenuti osceni online su qualsiasi dispositivo venduto nello stato. Per non rinunciare al porno, basta pagare
Una proposta di legge per imporre un filtro che blocchi i contenuti osceni online su qualsiasi dispositivo venduto nello stato. Per non rinunciare al porno, basta pagare

Dispositivi elettronici come macchine moralizzatrici, equipaggiate con un filtro che agisca su ogni genere di pornografia: questo il contenuto di una proposta di legge al vaglio delle autorità del South Carolina, una iniziativa legislativa che prefigura l’introduzione di un sistema poco realistico in grado di apporre una foglia di fico su tutti i contenuti lascivi.

Proposto dal Repubblicano Bill Chumley, l’ emedamento alle leggi dello stato del South Carolina denominato Human Trafficking Prevention Act si basa sul presupposto che la “pornografia nuoce alla salute pubblica” e rappresenta un fattore determinante del traffico di esseri umani e della prostituzione. Internet offre un agevole accesso alla pornografia , e per questo motivo è necessario “imporre un filtro (…) che combatta la crescente epidemia della disseminazione di immagini pornografiche”, così che si possa contrastare il traffico di esseri umani e così che il consumatore possa godere del diritto di “gestire la propria salute mentale”.

La proposta di legge individua nel mercato dei dispositivi l’anello della catena sul quale agire: a chiunque “produca, distribuisca o venda un prodotto che permette di accedere a Internet è proibito operare nello stato a meno che il prodotto non contenga una soluzione di blocco digitale attiva e funzionale che renda inaccessibile ogni oscenità”, così come definita dalle leggi dello stato. Tutti i contenuti che “incoraggiano la prostituzione”, tutti i siti che “incoraggiano il traffico di esseri umani”, così come la pedopornografia e il revenge porn: i filtri con cui dovrebbero essere equipaggiati PC, tablet, smartphone e tutti i dispositivi che consentano l’accesso a Internet dovrebbero impedire di default la visualizzazione di contenuti capaci di urtare la morale pubblica, pena le sanzioni previste dalla legge per la disseminazione di materiale osceno, pedopornografico o inadatto ai minori.

Nel testo della legge non si specifica la natura del sistema di filtraggio che i produttori dovrebbero implementare, non si fanno i conti con gli acquisti oltreconfine né si spiega chi dovrebbe agire da arbitro dell’osceno e dunque istituire una eventuale blacklist , con ogni probabilità inefficiente , ma si ammette che “i siti di social media che sono primariamente usati per l’interazione sociale potrebbero non essere bloccati se dispongono di un sistema di segnalazione e si dimostrino abbastanza proattivi nel rimuovere i contenuti segnalati come osceni”.

Ai produttori che intendano offrire ai propri utenti un accesso non castrato alla Rete, o che non abbiano idea di come provvedere all’implementazione dei filtri, si offre una scappatoia: possono corrispondere per ogni dispositivo in commercio nello stato una quota di 20 dollari a titolo di opt-out.
Allo stesso modo, i cittadini della Rete che acquistino dispositivi dotati di filtro possono richiedere per iscritto la disattivazione del setaccio moralizzatore dimostrando di essere maggiorenni, dichiarando di essere consapevoli del “potenziale pericolo della disattivazione” e corrispondendo un pedaggio di 20 dollari per spogliare della censura i contenuti che lo stato ritiene osceni.
Il denaro raccolto da coloro che intendono trastullarsi con la pornografia online o dai produttori che non intendono privare del porno i propri utenti verrà devoluto alle istituzioni che combattono il traffico di esseri umani e che tutelano i minori online.

Il relatore della proposta, a fronte dei dubbi divertiti di numerosi osservatori , ammette che il testo è solo un punto di inizio, uno modo per agire sul fenomeno del “porno on demand” ora che “quasi tutti hanno accesso a un computer”.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
22 dic 2016
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