Betamax 2, la vendetta

Betamax 2, la vendetta

Partito il grande scontro tra industria dei contenuti e quella dell'alta tecnologia. P2P ago della bilancia. La Corte Suprema deciderà se chi produce è colpevole dei comportamenti di chi usa
Partito il grande scontro tra industria dei contenuti e quella dell'alta tecnologia. P2P ago della bilancia. La Corte Suprema deciderà se chi produce è colpevole dei comportamenti di chi usa


Washington (USA) – Un esercito di avvocati ieri ha presentato alla massima corte statunitense un caso emblematico della guerra sul peer-to-peer ma soprattutto decisivo per il destino di una questione essenziale : chi produce tecnologie è responsabile per l’uso che ne viene fatto dagli utenti? E, se sì, in quale misura e con quali eccezioni?

Da una parte si schiera l’industria dei contenuti , quella della musica e del cinema, che ha presentato le proprie voluminose argomentazioni preliminari attorno ad un caso tanto eclatante quanto discusso, quello dell’assoluzione in primo e secondo grado delle imprese che producono software per il file sharing . Dall’altra molti grossi nomi della tecnologia , preoccupati che le proprie produzioni e i propri servizi possano portare a conseguenze legali pesantissime.

Il caso è quello di Grokster e Morpheus , due software di sharing da anni nel mirino delle major . Le società che li producono però sono fin qui riuscite a respingere ogni responsabilità sui comportamenti illegali di molti dei propri utenti ricorrendo alla cosiddetta difesa Betamax .

A sostenerli per questo ultimo definitivo giudizio presso la Corte Suprema, che a dicembre ha dichiarato di voler esaminare la questione , sono player delle dimensioni di Microsoft, America Online, Yahoo!, Google, Apple ed altri . I grandi della tecnologia e della net-economy, infatti, hanno presentato delle memorie alla Corte sostenendo che qualora fossero ritenuti responsabili per i comportamenti dei propri utenti allora si troverebbero dinanzi ad un ostacolo invalicabile, capace non solo di ridurre le prospettive di crescita ma anche di colpire al cuore lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione, da molti anni essenziali per la crescita dell’economia statunitense.

Nessuna di queste imprese, va da sé, sostiene la condivisione illegale di file, ma tutte ritengono che le misure di contrasto alla pirateria sul P2P debbano perseguire strade diverse da quella di rendere responsabili le softwarehouse di settore. La legge, sostiene qualcuno, potrebbe prevedere l’obbligo di inserire nei software P2P certi sistemi di filtraggio , peraltro tutti da definire. Secondo la Digital Media Association , una delle numerose associazioni industriali che hanno inoltrato alla Corte le proprie considerazioni, nessuno “condona l’uso delle tecnologie peer-to-peer per violare la legge sul diritto d’autore ma anzi le condanna. Allo stesso modo non si può appoggiare la richiesta di estendere le responsabilità indirette come richiesto dai ricorrenti”.



Questi ultimi sono appunto le major dell’industria dei contenuti che insistono sul fatto che il P2P oggi si traduca in una perdita incalcolabile per i produttori e i detentori del diritto d’autore, una emorragia di profitti innescata a loro dire proprio dalla spregiudicatezza dei produttori dei software di scambio. “Una decisione favorevole della Corte – ha dichiarato il ceo dei discografici della RIAA Mitch Bainwol – potrebbe spingerci tutti verso un mondo nel quale file sharing sia sinonimo di attività legale”. Come noto, fino ad oggi la sola RIAA ha denunciato circa 7.700 persone che a suo dire si sono rese colpevoli di aver condiviso grandi quantità di file pirata sulle reti di scambio. Secondo Bainwol oggi si guarda soltanto all’innovazione della tecnologia “quando invece dovremmo porre sulla bilancia anche l’innovazione dei lavori creativi degli artisti”.

In tutto questo è senz’altro di grande interesse quanto viene notato da molti osservatori. All’epoca del successo della difesa Betamax, e parliamo del 1984, Sony riuscì ad imporre il concetto della sostanziale irresponsabilità dei produttori per la pirateria di massa che i suoi videoregistratori potevano consentire ai danni dei produttori televisivi. Oggi Sony è uno dei maggiori supporter della RIAA, ben cinque aziende direttamente controllate dal colosso giapponese sono infatti membri dell’associazione dei discografici impegnata a ribaltare quella storica sentenza. E c’è anche chi osserva come già allora, nel 1984, l’industria dei contenuti ebbe modo di parlare di perdite incalcolabili, salvo scoprire poi il mercato dell’ home video , divenuto rapidamente una delle principali fonti di reddito per gli studios di Hollywood.

A decidere il futuro della difesa Betamax saranno due problemi centrali.
Il primo legato a come la Corte giudicherà l’uso principale che viene fatto dei sistemi di sharing: se questo è legale o meno. E’ infatti proprio la possibilità di un uso perfettamente lecito che a suo tempo “salvò” i videoregistratori Sony.
Il secondo riguarda la responsabilità che la Corte attribuirà ai provider e ai filtri che essi potrebbero utilizzare per bloccare lo sharing nonché a cosa dovrebbero andare incontro se questi filtri non venissero applicati o se un comportamento illegale che venisse loro segnalato non fosse fermato.

Entro la fine di febbraio le memorie delle aziende direttamente coinvolte nel procedimento dovranno essere consegnate alla Corte Suprema. Il procedimento vero e proprio partirà il 29 marzo.

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Pubblicato il
25 gen 2005
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