La mia vita in un tape

La mia vita in un tape

di Saverio Manfredini - Prendono i tuoi dati e ci aprono conti e servizi, ci fanno acquisti e addebiti. Quando finisci nei guai ti dicono: era tutto scritto in un nastro perduto dalla maggiore banca d'America
di Saverio Manfredini - Prendono i tuoi dati e ci aprono conti e servizi, ci fanno acquisti e addebiti. Quando finisci nei guai ti dicono: era tutto scritto in un nastro perduto dalla maggiore banca d'America


Roma – Vista da qui sembra davvero un’enormità, un fatto di una tale gravità che ti aspetteresti di veder cadere teste blasonate, eppure quanto accaduto nei giorni scorsi a Bank of America non sembra proprio aver scosso gli americani, tuttal’più ha messo il turbo a qualche giornalista.

In quella banca, e parliamo del più potente istituto di credito statunitense, la banca delle banche, quella che effettua transazioni anche per conto del governo degli Stati Uniti, in quella banca dicevo qualcuno si è perso dei nastri di backup che contenevano dati personali e sensibili di 1,2 milioni di clienti.

Difficile immaginare cosa accadrebbe in Italia se da uno dei maggiori istituti sparisse una tale messe di informazione, lì negli States a quanto pare ci si limita ad un borbottìo generalizzato. Ogni manifestazione di indignazione è stata probabilmente mitigata con successo dalla dichiarazione della Bank secondo cui quei nastri non sono stati rubati, sono “solo” stati perduti. Come a dire, cioè, che nessuno sa dove siano ma, lì dove si trovano, non sono a disposizione di gente senza scrupoli. In una nota che ha diffuso sulla stampa, la banca sostiene che un’indagine condotta assieme all’FBI “non ha trovato indicazioni che suggeriscano che ai nastri o ai loro contenuti qualcuno sia acceduto e ne abbia abusato, e i nastri sono ora presumibilmente perduti”.

Che ci si potrebbe fare con quei nastri? Oltre a conoscere molte informazioni personali di cittadini americani, in particolare di dipendenti pubblici, una banda criminale potrebbe mettere in piedi frodi a non finire fondate sul furto d’identità, quella locuzione scomoda di cui in Italia si parla poco o pochissimo ma che rappresenta il vero fronte del nuovo crimine nell’era tecnologica. I “derubati” sono persone che nei prossimi mesi potrebbero ritrovarsi con debiti per spese mai compiute o con addebiti per servizi mai richiesti, oppure titolari di carte di credito, conti correnti e operazioni finanziarie destinati a metterli nei guai senza mai averli voluti o richiesti.

Il punto è che in quell’archivio si trovano dati di 1,2 milioni di persone. Non solo è impensabile monitorare per ognuno di quegli individui tutto ciò che di anomalo con quei dati potranno fare eventuali malfattori, ma è già assai impegnativo avvertirli tutti della potenziale minaccia.

Non è un caso che negli USA sia stata varata la prima legge contro il furto di identità, un obiettivo verso il quale si muove anche la UE, e non è un caso che l’agenda degli esperti di sicurezza e dei cybercop ponga il furto di identità tra le priorità. Ma non basta: gli USA sono in un’epoca in cui Choicepoint confessa di aver ceduto a dei malviventi per errore i dati sensibili su 250mila persone, in cui PayMaxx ammette un buco di sicurezza che può aver consentito di accedere ai dati finanziari e personali di 25mila persone, in cui il maggiore istituto di credito statunitense si fa scappare dei nastri con sopra vita morte e miracoli di più di un milione di persone. Certo, perdere i polverosi tomi d’un tempo sarebbe stato ben più arduo.

Sono incidenti gravi, e si ripeteranno. Per due ragioni. La prima è che un numero sempre maggiore di informazioni personali si concentra nelle mani di pochi: se uno sbaglia ci cadono dentro in tanti; la seconda è che il ricorso ai nuovi mezzi tecnologici per la gestione dei dati è inevitabile in un mondo che ne è ormai dipendente. Che a questa inevitabilità non corrisponda ancora una sufficiente attenzione alla sicurezza non deve stupire: è il frutto della difficoltà che incontra l’individuo dell’era della comunicazione a tutto tondo nel comprendere la rilevanza della riservatezza dei propri dati personali. Forse sarebbe ora di darsi una svegliata.

Saverio Manfredini

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Pubblicato il
2 mar 2005
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