Utenti controllati, la battaglia d'Argentina

Utenti controllati, la battaglia d'Argentina

Per dieci anni i provider dovranno conservare i dati di traffico degli utenti argentini, una misura che scatena un'ondata di critiche. Per la UE questa è intercettazione
Per dieci anni i provider dovranno conservare i dati di traffico degli utenti argentini, una misura che scatena un'ondata di critiche. Per la UE questa è intercettazione


Buenos Aires (Argentina) – Terrorismo, sicurezza nazionale, pedoporno: sono molte le ragioni alle quali si appellano i custodi dell’Ordine per giustificare in mezzo mondo misure estremamente pesanti, come quella che in Argentina obbliga i fornitori di servizi Internet a registrare e conservare per dieci anni i dati di traffico dei propri utenti.

Quest’obbligo, contenuto in una legge di due anni fa divenuta operativa con un regolamento attuativo l’anno scorso, è ora al centro di una vivacissima querelle tra sostenitori delle libertà digitali e maggioranza parlamentare, la stessa che ha appunto avallato la normativa.

Una disposizione di questo tipo solleva evidentemente inquietanti interrogativi sulla privacy degli utenti nell’era digitale. Come si ricorderà, la Commissione Europea si è espressa lo scorso novembre sulla questione della data retention : a suo dire, conservare i dati equivale ad una intercettazione delle comunicazioni . Una presa di posizione che ha anche abbreviato la durata della conservazione dei dati decisa a dicembre dall’Italia.

Secondo la normativa argentina, dal prossimo 31 luglio dovrà iniziare la conservazione dei dati, cosa che provocherà enormi problemi organizzativi ai fornitori di servizi: lo “stoccaggio” dei dati richiede infatti risorse hardware e risorse tecniche, nonché oneri ulteriori per la conservazione dei supporti sui quali i log verranno archiviati.

Contro tutto questo si sta schierando l’opposizione, guidata dal parlamentare Mauricio Bossa, del partito di destra Ucedé, secondo cui la legge è incostituzionale. Sulla stessa linea anche il socialista Hectòr Polino, secondo cui la normativa è parte di una pericolosa “visione totalitaria”.

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Pubblicato il
13 apr 2005
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