Brevetti/ Confindustria? Sbaglia tutto

Brevetti/ Confindustria? Sbaglia tutto

Un'articolata replica del Linux User Group di Roma attacca punto per punto le dichiarazioni con cui nei giorni scorsi la federazione industriale ha fatto sapere di volere i brevetti sul software
Un'articolata replica del Linux User Group di Roma attacca punto per punto le dichiarazioni con cui nei giorni scorsi la federazione industriale ha fatto sapere di volere i brevetti sul software


Roma – Riceviamo e ripubblichiamo integralmente un articolato intervento del Linux User Group di Roma scaturito dalla presa di posizione di Confindustria sulla proposta di direttiva europea per i brevetti sul software di cui all’articolo Brevetti software, Confindustria dice sì . Una replica confezionata da Fabrizio Sebastiani, presidente del LUG romano, in collaborazione con Paolo Pedaletti di OpenLabs , Stefano Maffulli di FSF Europe ed altri. In grassetto le affermazioni di Confindustria riprese nella replica.

1. In Italia la produzione industriale ristagna da quattro anni. In nessun altro paese europeo, eccetto il Regno Unito, si è registrata una così accentuata e prolungata contrazione (-2,6%). Il ristagno della produzione industriale è continuato anche nei
primi mesi del 2005. Conseguentemente anche il PIL italiano è cresciuto meno (1,2%: uno dei tassi più bassi dell’UE).
Le esportazioni italiane di beni e servizi a prezzi contanti mostrano, inoltre, forti segni di debolezza: la quota di mercato delle esportazioni italiane si è ridotta di un punto percentuale a partire dal 1996.
Questo trend negativo – anche attribuibile all’entrata di nuovi competitor sui mercati globali, soprattutto i paesi emergenti – riguarda in particolare, ma non esclusivamente, i settori tradizionali del made in Italy, come tessile-abbigliamento e cuoio, pelli e calzature. Sulla riduzione delle quote di mercato delle imprese italiane ha inciso la liberalizzazione del commercio internazionale e la concorrenza di alcuni paesi emergenti come la Cina, i cui principali settori di esportazione sono quelli in cui l’economia italiana è specializzata. Tale apertura internazionale è avvenuta in maniera repentina e talora senza rispettare le regole del commercio internazionale.

Fin qui si tratta della solita premessa retorica: ossia una lista di cose vere (e risapute da tutti) finalizzata esclusivamente alla giustificazione enfatica ed emotiva di quanto viene poi asserito. E’ una tecnica persuasiva nota da tempo, già insegnata e praticata dai latini, che suppone un certa ingenuità del lettore, che sembra in questo contesto quanto mai fuori luogo.

Volendo comunque entrare nel merito, ricordiamo che l’Italia non esporta software, ma lo importa soltanto, quindi questo paragrafo è assolutamente fuori contesto.
L’ Italia e l’Europa importano software da USA e Giappone e non da paesi emergenti quali la Cina, che proprio per essere più competitiva non accetta i brevetti sul software.
Le argomentazioni riguardanti i paesi emergenti in questo contesto sembrano decisamente fuori luogo e strumentali, un uso “ad effetto” di un argomento d’attualità, che è sotto l’attenzione dell’opinione pubblica.

2. Diverse sono le soluzioni prospettate per favorire la ripresa dell’economia italiana. Esse si concentrano tuttavia su un unico punto: incentivare l’innovazione di prodotto, processo e servizio, stimolando gli investimenti in R&S. È infatti convinzione diffusa che soltanto attraverso le produzioni di qualità, sia nei settori maturi, che in quelli a tecnologia avanzata, l’economia italiana possa recuperare il gap rispetto ad altri paesi. Non è infatti più proponibile l’idea di competere sul prezzo di prodotti/servizi che paesi, come ad esempio quelli emergenti, possono offrire a costi molto contenuti .
Continuano la retorica: considerazioni sulle quali tutti noi possiamo dirci daccordo, almeno in linea generale. Volendo, ancora una volta, entrare nel merito ricordiamo che il principale gap rispetto agli altri paesi à la continua “fuga di cervelli all’estero”, a causa della bassa attenzione verso la R&S: come vedremo nei prossimi paragrafi i brevetti sul software non incentivano R&S ma al contrario la indeboliscono.

L incentivo principale è in questi casi costituito dalla possibilità, non solo di recuperare l’investimento iniziale, ma di realizzare profitti.
Realizzare profitti è un sacrosanto dovere delle aziende. E’ tuttavia discutibile che questo debba avvenire proprio con i brevetti sul software da parte di una azienda che produce un bene immateriale come un programma per elaboratore.

Confindustria non dice perché il brevetto dovrebbe essere indispensabile proprio sul software e per quale motivo il copyright, che già tutela il software, non dovrebbe essere sufficiente. Non ci risulta poi che le aziende di software non facciano profitti già ora. Ciò di cui le aziende ICT hanno bisogno è un alto grado di professionalità del personale, che è la vera spina dorsale e fonte di vera innovazione da parte di chi produce software. Il brevetti invece vanno in un’altra direzione: l’azienda dovrebbe “adagiarsi” sull’ idea di avere un brevetto “comodo”, senza necessariamente essere incentivata a investire in formazione del personale (cioè i programmatori e i tecnici). Al contrario gli investimenti verrebbero dirottati da “R&S” oppure da “formazione” verso costosi (e improduttivi) “uffici legali” e costi burocratici dovuti alla concessione di brevetti. Pensiamo che questo sia davvero l’ultima cosa di cui una PMI abbia bisogno.

Insistiamo molto sulla formazione perché questo, come abbiamo già detto, è particolarmente strategico per una azienda moderna che vuole fare innovazione nel campo dell’ ICT: spesso è l’unica forma di vera innovazione.

Confindustria sembra infatti dimenticare completamente che il software non è un bene strettamente industriale in senso classico: esso non necessita di enormi investimenti (ad esempio in macchinari) ma sostanzialmente rimane un prodotto correlato al fattore umano. Tanto è vero che il “valore” di un software viene misurato in “tempo uomo” ossia quanto lavoro di una persona viene impiegato per realizzare il prodotto, più una serie di costi aggiuntivi in genere poco rilevanti (stiamo escludendo qui i costi di marketing e pubblicità). Mentre il costo di un programma di videoscrittura può essere con buona approssimazione valutato in “anni-uomo”, il costo di un’autovettura non può essere valutato in “anni-uomo” perché i fattori di costi per macchinari, catene di montaggio, magazzini etc… hanno una incidenza consistente sul prodotto finale.

Ciò che è possibile soltanto riconoscendo alle imprese il diritto di sfruttare in via esclusiva, per un determinato periodo di tempo, il frutto della propria attività innovativa.
Questa considerazione è vera per quelle tipologie di beni che necessitano di enormi investimenti infrastrutturali. Ma il software non è fra questi.

Cerchiamo prima di capire quale è lo spirito del brevetto (e il motivo per cui è stato introdotto fra l’ 800 e il ‘900):

Un tempo gli inventori portavano con se nella tomba i segreti delle proprie invenzioni: questo perché non essendoci i brevetti tendevano a non rivelare i segreti delle loro invenzioni, per timore di essere “copiati”: la conseguenza era che in questo modo c’era una perdita di conoscenza e la società ne subiva un danno. I brevetti furono introdotti per garantire che gli inventori non tenessero segrete queste informazioni, ma rivelandone i dettagli, venivano tutelati i loro interessi per un periodo limitato (ricordiamo che i brevetti sono una “concessione”).

Allo stesso tempo anche la società ne aveva un vantaggio perché la conoscienza non andava perduta e dopo un certo periodo, quando il brevetto scadeva, diventava liberamente fruibile per tutta la società.

In questo senso il brevetto è stato un strumento molto importante e positivo: un giusto compromesso fra interessi dell’inventore e interessi generali della società.

Confindustra dovrebbe spiegare in che modo il brevetto sul software si innesta in questa argomentazione, che è il vero sensato spirito del brevetto. Evidentemente non lo fa perché non sa argomentare in tal senso.

La verità è che il brevetto è sensato solo quanto c’è una invenzione che tocca un bene tangibile con un alto grado di investimento economico in infrastrutture materiali e non uno immateriale come il software la cui qualità si basa quasi esclusivamente sulla professionalità e competenza dei suoi autori (progettisti, programmatori, tecnici, analisiti, verificatori…)


I diritti di proprietà intellettuale e, in maniera particolare, i brevetti servono proprio a questo scopo e costituiscono un importante strumento di sviluppo e di crescita per le imprese, soprattutto le PMI, che, per mezzo di essi, possono ottenere un consolidamento dei propri vantaggi di business (quando questi siano basati su qualità e fatti tecnici) non altrimenti conseguibile .
La proprietà intellettuale è un concetto così vago che non esiste: esiste il brevetto, il copyright, il marchio registrato e i nomi registrati. La somma di tutte queste cose viene normalmente chiamata “Proprietà Intellettuale (PI)”, ma le ci sono differenti strumenti per tutelare la PI.

I brevetti sul software non servono allo scopo che dice Confindustria: spesso vengono applicati ai contesti più assurdi e banali per fare “guerra di territorio”, ottenere posizioni di vantaggio ed eliminare la concorrenza alla base, e non sul merito di soluzioni più o meno efficaci.

Servono a creare monopolio e non libera concorrenza. Spesso poi vengono a crearsi società il cui unico patrimonio è costituito da un portafoglio brevetti e il loro personale è esclusivamente di tipo legale: dove sarebbe, dunque, il connubbio virtuoso fra brevetti e R&S?

Il brevetto applicato all’ informazione (il software è una particolare implementazione di informazione) non ha senso e produce più danni che vantaggi.

I brevetti non possono essere utilizzati dalla PMI, perché costa registrarli e costa ancora di più difenderli in tribunale: spesso infatti la semplice registrazione di un brevetto non garantisce che qualcosa di simile non sia già stato brevettato (l’ufficio brevetti è materialmente impossibilitato a garantire ciò) e per questa ragione spesso la legittimità di un brevetto, se contestata, viene “decisa in tribunale”: l’ufficio brevetti fa solo da garante su cosa e quando è stato brevettato (un po’ come fa la SIAE per gli autori).

I diritti di proprietà intellettuale consentono, infatti, di realizzare un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti e di ottenere una protezione ampia nei confronti di eventuali imitatori e contraffattori.
In generale può essere vero, ma non lo è nel caso dei brevetti su beni immateriali come il software.

Per le aziende del settore terziario, i cui beni sono immateriali, il brevetto è assoltamente inadeguato e anzi dannoso: il copyright assolve invece adeguatamente alla tutela del software (l’attuale legge del diritto d’autore).

La differenza fra copyright e brevetto è che il primo tutela l’ opera mentre il brevetto tutela l’ idea : il software è per sua peculiare natura più simile a un libro che non a un’automobile.

Immaginate se Alessandro Manzoni avesse brevettato l’idea de “l’Innominato” dei Promessi Sposi : nessun altro nei 20 anni seguenti avrebbe potuto usare un’ idea simile in un romanzo: ad esempio non si sarebbe potuto introdurre un personaggio criminale in un giallo in cui un potente gangster viene chiamato ad esempio “l’innominabile”.

I brevetti sul software porterebbero a una situazione similmente assurda come in questo esempio: se le idee dei libri fossero brevettabili, in breve tempo nessun autore scriverebbe più libri, perché nel giro di poco tempo ogni nuovo libro infrangerebbe almeno un brevetto.

Con i brevetti sul sofware accadrebbe qualcosa di simile: in breve tempo nessuno sarebbe tranquillo che il proprio software non violi neanche un brevetto: d´altra parte verificarlo sarebbe estremamente costoso e assolutamente al di fuori delle possibilità di qualunque PMI europea. Dimostrare di aver “copiato” un brevetto è inoltre deciso solitamente in tribunale: estremamente costoso per una PMI. Dove vanno a finire dunque gli investimenti in R&S?

Il motivi per cui accade ciò è che nel software capita molto spesso che autori differenti trovino soluzioni uguali o simili per gli stessi problemi: ma questo non vuol dire che uno abbia copiato l’altro: è estremamente semplice violare un brevetto sul software essendo assolutamente in buona fede. E’ così a causa del particolare modo di lavorare, tipico nel mondo informatico.

In conclusione: i brevetti bloccano l´innovazione tecnologica dei beni di natura immateriale. E’ per questo motivo che le legislazioni di tutto il mondo hanno deciso di tutelare questo prodotto con le leggi sul copyright.

Non solo, essi permettono altresì di:
* proteggere i risultati degli investimenti nella ricerca e nello sviluppo di prodotti ad elevato valore aggiunto o nuovi servizi che si caratterizzino in termini di nuove ed inventive soluzioni tecniche (la bilancia commerciale dell’Europa è positiva grazie ai prodotti di alta tecnologia, es. medicinali, apparecchiature elettroniche e meccaniche, ecc.);

Si tratta di tutti oggetti materiali, il software ha caratteristiche diverse, va trattato in maniera diversa.

La musica non è brevettabile, i libri non sono brevettabili, le ricette di cucina non sono brevettabili, le leggi non sono brevettabili. Tutti questi “oggetti” hanno caratteristiche proprie che li rendono diversi dagli oggetti materiali, e non si possono “zavorrare” con una legislazione che non tiene conto delle loro caratteristiche immateriali. Il software appartiene a questa categoria.


* difendere dall’imitazione la differenziazione che è il risultato di tali investimenti;
Come abbiamo detto e ripetuto più volte il software è immateriale, e non necessita di investimenti infrastrutturali così elevati.

Non si potrebbero scrivere più libri “simili”, o comporre canzoni che parlano dello stesso argomento;
proviamo a rispondere a queste domande:
1. cosa sarebbe successo al genere musicale “Rock” se qualcuno lo avesse brevettato?
2. Cosa sarebbe successo agli “spaghetti al pomodoro” se qualcuno li avesse brevettati ?
3. Cosa sarebbe successo alla Divina Commedia se qualcuno avesse brevettato l’ idea di fare un viaggio fantastico fra Inferno, Purgatorio e Paradiso ?
4. Cosa sarebbe successo alla Matematica se qualcuno avesse brevettato le sue formule? Non saremmo liberi di calcolare l’area di un triangolo oppure l’interesse di un capitale….

Queste domande possono sembrare poco serie e fuori luogo: questo perché le loro risposte ci sembrano immediate e scontate. Siamo ormai abituati da sempre a non brevettare queste cose.

Il software invece è un prodotto nuovo nella società: non tutti si rendono conto di cosa sia esattamente. E quindi è più facile far credere che sia giusto e opportuno brevettarlo. Molti lo intendono esclusivamente come uno strumento di uso tecnologico, ma questo non è propriamente sufficiente a caratterizzarlo: esso è molto più simile a una formula matematica, un procedimento logico-aritmetico che scaturisce dall’intelligenza e dalla creatività di uno o più autori (siano essi ingegneri, informatici, programmatori, analisti etc…).

Così come i compositori di musica continuano a comporre musica, così come i cuochi continuano a cucinare, così come gli scrittori continuano a scrivere anche i programmatori e le aziende che danno loro lavoro possono continuare a guadagnare e lavorare senza bisogno dei brevetti.

Se accettassimo i brevetti sul software, come potremmo poi negarlo ai musicisti, ai cuochi, altri scrittori e ai matematici? Le idee relative a beni immateriali come questi hanno bisogno di circolare liberamente per poter essere utilizzate e (ri)scoperte da altri. Questo è quanto sostengono anche i ricercatori e gli accademici.

* permettere alle imprese che non dispongono di risorse finanziarie di accedere a finanziamenti (per gli investitori riveste grande importanza il fatto che l’azienda detenga un portafoglio di brevetti);
Gli investimenti finanziari nel software possono esser minimi, alla portata di tutti.

Inoltre il valore monetario di un brevetto software è molto labile e variabile nel tempo: esso dipende in modo stretto dalla sua capacità di trasformarsi in reddito negli anni. Il mondo dell’informatica si evolve molto velocemente e un brevetto che potrebbe risultare promettente per il presente potrebbe non esserlo più fra un anno o addirittura meno (la stessa cosa non succede per i brevetti tradizionali).

Questo fenomeno invalida il valore patrimoniale di un brevetto software: è quindi difficile che una azienda, soprattutto PMI, riesca a ottenere finanziamenti sulla base del portafoglio brevetti relativo al software. Ricordiamo inoltre che la valutazione finanziaria di un brevetto richiede una perizia tecnico-giuridica molto complessa e costosa: una cosa di poco conto per una multinazionale, ed è invece un costo e ulteriore burocrazia per le PMI che hanno invece decisamente bisogno d’altro.

* concedere licenze di utilizzazione a terzi in vista della commercializzazione e dell’immissione sul mercato dei prodotti protetti e dunque ottenere profitto dalle invenzioni messe a punto;
Questa mentalità del guadagno vendendo il software “un tanto al kg” è una visione che non corrisponde alla realtà sul campo: essa fa riferimento a una mentalità di mercato vecchia, di chi proviene dall’economia tradizionale basata sulla compravendita di oggetti materiali.

Oggi, chi fa soldi con il software non lo fa solo vendendo programmi applicativi e stringhe di istruzioni, ma fornendo servizi ad alto valore aggiunto: e questo non solo è vero per le PMI, ma anche per le grandi multinazionali: basta vedere i bilanci di IBM, Sun, Oracle in cui una buona parte del fatturato non proviene tanto dalla vendita di licenze, ma soprattutto dall’assistenza e altri servizi. In questo scenario fa eccezione solo Microsoft, che però si trova in una situazione di assoluto monopolio, tra l’altro già contestato dalla stessa UE.

* ottenere accordi di licenza incrociata con altre imprese che abbiano proprie tecnologie brevettate per combinarle con le proprie al fine di offrire prodotti unici e non copiabili da terzi;
Ecco un punto fondamentale: proviamo a spiegarlo con una metafora esemplificativa; le licenze incrociate sono molto simili allo scambio di figurine che si fa da bambini.

Un bambino che ha comprato 3 bustine di figurine non sarà in grado di fare alcuno scambio perché non ha un valore sufficiente da permettergli di scambiare con i bambini che invece giocano e collezionano da più tempo. Le PMI sono come i bambini con 3 bustine di figurine: gli investimenti non solo economici ma anche di impegno, tempo, competenze necessari a costruirsi un portfolio brevetti di alto valore (le figurine) sono assolutamente fuori della portata delle PMI. Pertanto lo scenario che illustra Confindustria è esattamente quello dei soliti bulli che decidono, forti dei loro mazzetti di figurine, chi può giocare e chi no.

Confindustria dimentica le multinazionali che già detengono centinaia se non migliaia di brevetti software oltreoceano e che non vedono l’ora di poter usare tali brevetti anche in Europa. E quali accordi di licenza incrociata una PMI italiana/europea puo’ ottenere con un colosso che possiede 100, 500 o migliaia di brevetti software? E’ molto probabile anzi che un qualunque software sviluppato dalla PMI in Europa infranga almeno uno se non più dei suddetti brevetti software d’oltreoceano.

Quindi, in realtà, attualmente sono le imprese europee ad avere un vantaggio competitivo verso quelle USA o giapponesi (dove i brevetti sul software sono concessi) ed è questo il motivo per cui ci sono grandi pressioni di multinazionali per introdurre la brevettabilità del software anche in Europa: lo scopo vero è dare vantaggio (ma loro la chiamano competitività) a chi già di brevetti ne ha già molti.

Se invece l’Europa, come noi auspichiamo, decidesse di non introdurre i brevetti sul software, molto probabilmente anche gli USA e il Giappone inizierebbero a valutare la possibilità di cambiare le loro attuali regole a tutto vantaggio della vera competitività per due motivi:
– Esistono già, soprattutto negli USA, movimenti e pressioni economiche contro i brevetti sul software e molti dubbi sulla pratica ormai diffusa di brevettazione del software. Molte sono le perplessità di studiosi delle università americane: informatici, giuristi, economisti.
– Se la UE si schierasse apertamente contro i brevetti, la reazione a catena in questi stati sarebbe immediata, sicuramente.

Le imprese europee potendo ottenere brevetti in USA e Giappone hanno in effetti attualmente un reale vantaggio: purtroppo non ci sono multinazionali del software in Europa in grado di competere ad armi pari con tali colossi.


* ottenere valore dalla propria impresa: il valore della propria impresa è più chiaro ed è maggiore quando il business su cui essa si basa è protetto con brevetti o altri diritti di proprietà intellettuale;
Si tratta di una vecchia mentalità: applicabile (e ancora valida) per i beni materiali.

Questo fenomeno inoltre, ancora una volta, avvantaggia esclusivamente le grandi aziende e non le PMI in quanto il valore di un portafoglio brevetti non è semplicemente la somma del valore dei singoli brevetti.

Possiamo semplificare questo ragionamento nel seguente modo: se una PMI ha 2 brevetti da 100 mila euro ciascuno avrà certamente un portafoglio brevetti da 200 mila euro. Se una grande multinazionale ha 1000 brevetti ancora da 100 mila euro ciascuno, il valore complessivo di questo portafoglio sarà molto maggiore della semplice moltiplicazione aritmetica 1000 x 100 = 100 milioni di euro, in quanto certamente varrà il 50%,100%, o 1000% in più in quanto l’uso congiunto di brevetti insieme ad altri ne da un valore strategico molto maggiore. Un tale portafoglio potrebbe valere 300 milioni di euro o molto di più! Come può una PMI competere in queste condizioni ?

Ecco dimostrato quindi che, ancora una volta, i brevetti avvantaggiano solo le grandi aziende, a danno delle PMI.

* ottenere partecipazioni nelle imprese (diverse dalla propria) che fanno uso delle proprie tecnologie brevettate (o di altri diritti di proprietà intellettuale).
Una situazione di questo tipo è estremamente pericolosa in Europa: abbiamo già visto che la gran parte dei brevetti sul software sono già registrati e validi in Giappone ed USA e questo da un vantaggio enorme a queste compagnie nel momento in cui “sbarcano” in Europa con i loro brevetti: la conseguenza è che molte PMI europee saranno assorbite, controllate e conseguentemente chiuse, qualora vengano avvertite come concorrenti dalle grandi aziende.

Le aziende europee dovrebbero aspettare molto tempo prima di vedersi riconosciuti i propri brevetti (sempre che non siano già cose brevettate!), quelle extraeuropee invece li avrebbero immediatamente riconosciti, in virtù dei trattati internazionali.

3. Le imprese italiane vedono pertanto con favore una direttiva di armonizzazione in materia di brevettabilità delle invenzioni realizzate per mezzo di elaboratore, che si proponga di eliminare le ambiguità ed incertezze derivanti dall’adozione di diverse prassi interpretative da parte degli uffici brevetti degli Stati Membri e di rendere così certo l’ambito di applicazione della protezione.
Siamo tutti daccordo che vanno eliminate le ambiguità: ma la normativa attuale (Convenzione di Berna del 79) vieta esplicitamente la brevettazione del software in quanto tale.

E va quindi confermata, non cambiata nella direzione di una permissiva interpretazione sulla brevettabilità del software: la direttiva europea invece tenta di fare esattamente questo.

Pur rimanendo il software non brevettabile di per sé, la tutela diretta del software in quanto attua, e in subordine a, invenzioni brevettabili di prodotto o processo, costituisce un elemento importante per lo sviluppo di nuove tecnologie.
Abbiamo già ampiamente spiegato quanto questo non sia vero. Il punto è che non è chiaro cosa sia “una invenzione brevettabile di prodotto o processo”. Sappiamo tutti che il software elabora informazioni. Queste elaborazioni possono essere utilizzate per un prodotto o un processo. Se il software in quanto elaboratore di informazioni non è brevettabile, perché dovrebbe esserlo nel momento in cui viene utilizzato per un prodotto o un processo? Chi pone questo limite? Cosa definirebbe esattamente cosa è brevettabile e cosa non lo è?

Secondo il testo dell’attuale direttiva, non viene adeguatamente chiarito questo limite. Non è un testo legislativo chiaro: la discrezionalità in questo ambito verrebbe demandata all’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) che notoriamente è portato a brevettare piuttosto che a non farlo (in quanto questo accresce la sua attività, controllo e presitgio).

Ricordiamo inoltre che l’ EPO è una società privata e non appartiene alle istituzioni europee! Questa è una ulteriore distorsione del sistema giuridico perché non garantisce neutralità verso la società. E’ ragionevole pensare che l’EPO sia più incline ad accogliere le pressioni di indirizzo generale “suggerite” da poche grandi aziende (anche non europee) piuttosto che da tante piccole aziende (tipicamente europee) in quanto le prime sono notoriamente più efficaci nelle attività di lobbying.

Si pensi, per citare soltanto uno dei possibili esempi, alla sempre più frequente convergenza tra informatica e telecomunicazioni che rende possibile lo sviluppo di nuove architetture di rete e quindi l’offerta di soluzioni tecniche innovative che corrispondono ad esigenze del mercato che non hanno ancora trovato risposta.
Tutto ciò risulta nell’utilizzo da parte delle imprese di nuove soluzioni tecniche attuate per mezzo di pacchetti integrati software e nella offerta di servizi innovativi che fanno uso di nuove architetture di rete, di nuovi elaboratori elettronici, di nuovi terminali, di nuovi dispositivi di interfaccia, di nuove tecniche di protezione ecc.
Per incentivare una adeguata partecipazione allo sviluppo di tali nuovi pacchetti, architetture di rete, nuovi terminali e nuovi dispositivi di interfaccia da parte di PMI (non solo da parte delle grosse aziende) è necessario che sia garantita:

Premesso che molte delle tecnologie più utilizzate nella rete sono in realtà vecchie di decenni, basate tutte su standard aperti (quindi non brevettati e non brevettabili). Non è vero che i brevetti tutelerebbero tali architetture. Le architetture sono basate su standard, interfacce e protocolli aperti oppure concordati in consorzi internazionali o emanati da enti quali ISO, ANSI, IEEE, IEFT e molti altri.

Quasi mai questi vengono da un unico prodotto realizzato da un unico soggetto. Quello che fa il software è implementare questi standard secondo qualità più o meno marcata.

Al contrario la brevettabilità di queste “architetture” o “protocolli” o “interfacce” sarebbe una limitazione alla loro diffusione stessa: nell’informatica le architetture ad esempio di maggiore successo sono quelle che si diffondono di più: se l’idea su cui si basa tale architettura viene brevettata, questa idea non si diffonderà e verrà meno impiegata di quanto lo sarebbe senza brevetto.

Che dire poi della brevettabilità del protocolli ? Essi sono le regole con cui i programmi si scambiano informazioni. Brevettarli significa per tutta la società, ipotecare per sempre le proprie informazioni nelle mani di un’unica azienda: dare cioè a questa il controllo sull’informazione: sarebbe una grave mancanza strategica permettere ciò da parte di una classe dirigente

Questo accade perché il software, a differenza dei beni materiali può essere duplicato a un costo irrisorio (i supporti costano pochi euro e la connettività anche).


– la possibilità di cumulare la protezione conferita dal diritto d’autore con quella brevettuale per le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici. Le due protezioni riguardano infatti aspetti differenti dell’innovazione e non sono tra loro in contrapposizione;
Perché questo è necessario? Perché sovrapporre il copyright ai brevetti? Questo non viene argomentato da Confindustria.

– una protezione non solo tramite rivendicazioni di dispositivo/sistema (product) e metodo (process), ma anche, in subordine a rivendicazioni di prodotto o processo, mediante rivendicazioni di “programma per elaboratore” (“computer program product”),che permettono di verificare e colpire per contraffazione diretta (non solo per induzione alla contraffazione) eventuali contraffattori;
Viene detta una falsità enorme riguardo la contraffazione (che in questo contesto non ha nulla a che vedere con la lotta alla pirateria).

Nel mondo del software è estremamente facile violare un brevetto: spessissimo i tecnici informatici riciclano le idee di altri oppure arrivano in maniera indipendente alle stesse idee di soluzione per una certo problema. Fa parte del lavoro di tutti i giorni, riutilizzare il codice sorgente (e quindi le idee) di altri programmi (quando la licenza lo permette).

Brevettare questo genere di idee significa che ogni volta che a un tecnico viene in mente un’ idea (praticamente una volta al giorno nel lavoro quotidiano), deve prima verificare che non sia brevettata! Significherebbe praticamente impedirgli di lavorare in condizioni normali.

Come si potrebbe accusare qualcuno che usa queste idee di aver violato un brevetto? La realtà è che se un’ idea è brevettata non vuol dire necessariamente che sia innovativa.

Infatti vi sono molti brevetti la cui “originalità” è a dir poco ridicola;

Alcuni esempi:
EP19910119983 19911122 : questo brevetto copre tutte le diagnosi mediche che possono essere calcolate automaticamente basate su un input di immagini medicali e testo da un normale computer senza dichiarare che tipo di elaborazione viene fatta. Esso è esteso anche a quando la diagnosi viene effettuata in una rete o mediante database. Esso si applica quando le immagini vengono analizzate come “già pronte per il medico”.

In pratica questo brevetto copre tutti i programmi e sistemi che forniscono informazione in tempo reale e interattiva su diagnosi medica basata su processamento di immagini! Dove sta l’innovazione ? Davvero si vuole che venga parata un diritto su una tale “invenzione”? Più che un diritto sarebbe una tassa.

EP19950303789 19950602 : “Amazon 1Click” è un metodo di pagamento online con carta di credito fatto in “un click” (di mouse). Un’idea assolutamente banale e scontata.

Ci sono molti altri brevetti estremamente discutibili in questo sito


– la brevettabilità di soluzioni tecniche che riguardino (e/o siano funzionali a) l’interoperabilità fra sistemi diversi (ancora nel rispetto dei vincoli sopra richiamati).
Anche qui valgono le stesse argomentazioni di cui sopra: l’interoperabilità riguarda i protocolli (cioè le regole con le quali i computers si “parlano”) e non i singoli programmi.

Brevettare i protocolli vuol dire dare a pochi soggetti il controllo totale sull’informazione: una tassa enorme che graverebbe su tutta la società. Una perdita di competitività ed un freno alla ricerca e l’innovazione assolutamente grave e da evitare.

I protocolli sono i linguaggi con i quali i programmi si parlano uno con l’altro: si possono brevettare gli alfabeti? Il linguaggio? Questo è grave come sarebbe grave brevettare l’italiano oppure il tedesco.

Evidentemente non è questa la strada giusta: eppure i protocolli non sono altro che le varie “lingue” mediante le quali è possibile fare interoperare e comunicare i computers. Esse devono rimanere standard aperti in modo da incentivare l’interoperabilità e in modo da consentire a tutti di “parlare” quelle lingue senza dover pagare oneri.

4. Soprattutto le PMI possono ben utilizzare il sistema brevettuale al fine di mantenersi competitive rispetto ai migliori concorrenti (incluse le grandi imprese) in termini di business e capitalizzare in termini di valore (nella propria o altrui impresa) i risultati del proprio ingegno e delle proprie iniziative.
Le PMI sono troppo svantaggiate rispetto alle grandi imprese per i gravi problemi gestionali, legali, burocratici. Evidentemente viene considerato “ben utilizzabile” uno strumento che è in realtà “ben utilizzabile” e agevole solo per i grandi.

E che dire, poi, delle microimprese?
Ci sono decine di migliaia di imprese piccole e piccolissime che operano nel settore ITC e del software, a volte solo liberi professionisti con al massimo qualche collaboratore: se per le PMI è difficile e gravoso accedere al sistema dei brevetti, per loro è praticamente impossibile solo iniziare a pensare al problema brevetti.

Anzi… sia PMI che liberi professionisti potranno essere attaccati (e ricattati) ogni qualvolta venga loro solo minacciata la possibilità di dover andare in tribunale a difendersi contro l’accusa di aver violato un brevetto: infatti i costi di queste cause sono così elevati che semplicemente il fatto di doversi difendere può definitivamente stroncare una piccola azienda.

Proprio le tecnologie moderne abbassano la soglia di accesso alla creazione di nuovi risultati tecnici da parte di piccole imprese.
Questa affermazione non è affatto chiara. Chi ha scritto questa frase dovrebbe spiegare meglio cosa intende.

Per contro, la riscrittura del codice, non richiede attività di R&S, ma l’impiego di risorse qualitativamente diverse e spesso quantitativamente disponibili in grandi aziende.
1. le risorse per la scrittura, il test e il debugging di un programma di eccellente qualità è un processo estremamente lungo e qualificato
2. il vantaggio che l’impresa A che ha realizzato il software su eventuali concorrenti è incolmabile, tale da scoraggiare qualunque competitore B a provarci, a meno che la qualità di quanto prodotto da A non sia scarsa.
3. se c’è un B che intraprende tale strada è generalmente perché vi sono aspetti trascurati o non risolti in modo ottimale da A, per cui B apporta un suo contributo di cui potrà in seguito beneficiare pure A
4. sicuramente A a sua volta ha potuto utilizzare un gran numero di esperienza e idee mutuate da altri prodotti di concorrenti, per cui è solo grazie al fatto che non vi sono i brevetti che ha potuto apportare quella “innovazione incrementale” che le ha potuto aprire un nuovo mercato. Con i brevetti, contate le licenze ed i costi per poter scrivere il proprio software, si sarebbe dovuta arrendere subito.

Notare infatti che se ad esempio si paga per il brevetto dello streaming video via internet non vuol dire che mi viene dato tutto l’occorrente (sorgenti, documentazione, librerie, tool di sviluppo) per implementare rapidamente tale soluzione, ma mi viene solo “concesso” di poter usare quel risultato che mi sono dovuto conquistare con le mie sole forze!

Queste non hanno difficoltà ad usare tali risorse quando vogliano conseguire significativi risultati tecnici quali sono a volte (non sempre) quelli brevettati. In assenza di una protezione brevettuale, le grandi imprese avrebbero buon gioco a sviluppare simili soluzioni tecniche, sia pure indipendenti in termini di software, rispetto a quelle innovative sviluppate dalle PMI.

Questo è davvero curioso: Confindustria, che non rappresenta tipicamente le PMI, sta dunque dicendo che bisogna proteggere le PMI dalle grandi aziende.
Ne prendiamo atto.
La realtà è ben diversa, evidentemente: le argomentazioni che abbiamo finora spiegato punto per punto dovrebbero aver convinto il lettore che le argomentazioni di Confindustria non sono basate su solide basi.

Noi crediamo che non solo le PMI e i liberi professionisti, ma anche le aziende medio-grandi europee avrebbero tutto da perdere dai brevetti.

Non comprendiamo quindi le argomentazioni di Confindustria: pensiamo, più realisticamente, che Confindustria stia facendo un grosso errore di valutazione: se meglio indagasse il fenomeno scoprirebbe che molte aziende sono contrarie. come dimostrano numerosi appelli firmati:
Petizione EuroLinux Alliance
Firme all’ Appello del LugRoma/OpenLabs (Feb 2005)
La campagna contro i brevetti software è molto ampia. Per rendersene conto basta fare una ricerca su google Software Patents

Oltre al LugRoma , molte altre associazioni sono attive in Europa e in Italia contro i brevetti sul software:
Fondation for a Free Information Infrastructure – FFII
Free Software Foundation Europe – FSFE
ssociazione Software Libero

Altri Appelli e opinioni:
Cosa ne pensano politici, economisti, giuristi
Appello per la difesa della competitività (Assoli / ILS / FTMI / FSFE)

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Pubblicato il
30 mag 2005
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