Stop al porno in Malaysia

Stop al porno in Malaysia

Connessioni filtrate per sconfiggere il pornoweb. Il Premier lancia l'allarme: 200 milioni di siti osè distruggono la fibra morale degli abitanti del lontano paese asiatico
Connessioni filtrate per sconfiggere il pornoweb. Il Premier lancia l'allarme: 200 milioni di siti osè distruggono la fibra morale degli abitanti del lontano paese asiatico


Kuala Lumpur (Malaysia) – Scoppia la pornofobia in Malaysia che, per ovviare al problema, prescrive una cura a base di firewall e sistemi di filtraggio a tutti gli ISP del paese. Il segretario di stato Mashitah Ibrahim ha dichiarato che le giovani generazioni di malaysiani stanno diventando pornodipendenti grazie allo sviluppo incontrollato della Rete.

La stampa locale, citando fonti cinesi, parla di 200 milioni di siti porno accessibili, con un paio di agili click, direttamente dai maggiori motori di ricerca. Il Primo Ministro, Najib Razak, è intervenuto nel dibattito utilizzando toni addirittura drammatici in una nota ufficiale: “la presenza di tutti questi siti pornografici ci preoccupa molto, sopratutto per i più piccoli”.

Tecnologia sì, ma in nome della pubblica morale: “Anche se siamo totalmente favorevoli alle nuove tecnologie”, continua il premier nel comunicato, “dobbiamo pur sempre considerare l’altro lato della medaglia”. E quindi via con le connessioni limitate , a partire da tutti gli istituti scolastici primari e superiori, uffici pubblici e grandi sedi universitarie.

Il Governo ha inoltre varato un programma per la distribuzione di appositi software che permettano ai genitori di controllare i siti visitati dai propri figli quando si rinchiudono misteriosamente, per ore, all’interno delle loro camerette dove, forse con una certa leggerezza parentale, si trovano molti PC domestici. “Il problema fondamentale della pornomania che affligge i giovani – sostengono degli psicologi di Kuala Lampur – è che non esiste comunicazione con i parenti: per questo preferiscono chiudersi nel mondo del sesso virtuale”.

I colpevoli, secondo gli esperti, sarebbero le aziende straniere accusate di aver colonizzato, per mezzo di avanzate tecniche di marketing, la vita degli utenti Internet: “certi siti utilizzano strumenti pervasivi in grado di far sviluppare velocemente una dipendenza”, conclude il gruppo di ricercatori che studia il problema. Nel frattempo, piovono le pirme condanne: un giovane di 21 anni è stato costretto a pagare 50mila ringgit (pari a poco più di 10mila euro) per avere pubblicato filmati spinti sul proprio sito Internet. Ed è solo l’inizio: “vogliamo porre fine al problema”, annuncia Mashitah Ibrahim. Ce la faranno?

Tommaso Lombardi

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Pubblicato il
1 giu 2005
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