Certi link vietati anche in Australia

Certi link vietati anche in Australia

Condannato per la prima volta nel paese dei canguri un webmaster che sul proprio sito aveva pubblicato una directory di link. Ma non è finita qui: colpevole anche il provider
Condannato per la prima volta nel paese dei canguri un webmaster che sul proprio sito aveva pubblicato una directory di link. Ma non è finita qui: colpevole anche il provider


Canberra (Australia) – Nuovo successo per le major dell’industria dei contenuti nei confronti dell’ipertesto: in Australia come già in altri paesi si può essere condannati per la pubblicazione di link sul proprio sito, laddove questi collegamenti ipertestuali conducano a file che contengono materiali duplicati senza l’autorizzazione dei detentori del diritto d’autore.

A doverlo apprendere suo malgrado è stato Stephen Cooper, gestore del sito MP3s4free.net , chiuso fin dalla prima denuncia dei discografici, condannato per violazione di diritto d’autore da un tribunale federale australiano.

Pur non conservando sui propri server contenuti pirata, Cooper avrebbe abusato dei diritti sulle opere avendone favorito il download da siti e sistemi peer-to-peer. Il caso di Cooper e del suo sito, come si ricorderà, aveva sollevato scalpore fin dal suo primo apparire in tribunale. La tesi della difesa era apparsa molto forte: “Tutto quello che ha fatto il nostro cliente – aveva spiegato il legale di Cooper – è stato inserire una serie di collegamenti che connettono siti web di tutto il mondo. Funziona praticamente allo stesso modo di un motore di ricerca di Yahoo”.

In sé la condanna di Cooper, per quanto clamorosa, altro non è che un allineamento dell’Australia su precedenti già registrati in molti altri paesi, in particolare quelli di lingua inglese, ma ad aggiungere sale è il fatto che il tribunale ha condannato anche i provider utilizzati da Cooper per la pubblicazione del proprio sito.

Ad essere colpiti da una sentenza che costringerà loro a pagare le spese legali sostenute dall’industria discografica, infatti, sono anche stati il provider internet Comcen ed uno dei suoi dipendenti nonché la società che controlla il provider, la E-Talk Communications, e il suo direttore generale. A tutti è stato riconosciuto un ruolo di corresponsabilità , assecondando così la tesi delle major musicali secondo cui Cooper e Comcen agivano in concorso per far crescere il business dell’ISP australiano.

Inutile dire che subito dopo la sentenza EMI, Sony, Universal e gli altri big del settore, che avevano sporto denuncia contro il sito di Cooper già nel 2003, hanno cantato vittoria. “Questa sentenza – ha dichiarato un portavoce – rappresenta un duro colpo alla pirateria. Il Tribunale ha ritenuto colpevoli tutti gli accusati. E questo manda un messaggio forte anche ai provider che sono coinvolti in violazioni al copyright… Il verdetto ha dimostrato che singoli dipendenti dei provider coinvolti in atti di pirateria possono essere giudicati colpevoli”.

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Pubblicato il
18 lug 2005
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