Contrappunti/ La rete dopo la morte

Contrappunti/ La rete dopo la morte

di Massimo Mantellini - Internet incoraggia discussioni scabrose e tormentate sul senso della vita ma chiede in cambio comprensione ed intelligenza, leggerezza e sensibilità. Il caso di Ciro Milani
di Massimo Mantellini - Internet incoraggia discussioni scabrose e tormentate sul senso della vita ma chiede in cambio comprensione ed intelligenza, leggerezza e sensibilità. Il caso di Ciro Milani


Roma – Noi non siamo abituati a queste cose. Nessuno ce le ha spiegate. Non abbiamo avuto modo di farne esperienza in passato. Cosi oggi ce le troviamo davanti e ci fanno orrore. Il weblog di Ciro E. Milani, giovane informatico e giornalista suicidatosi la settimana scorsa, continua a vivere di vita propria. Nega, quella pagina web, uno dei capisaldi del nostro rapporto con la morte: il requiescat in pace che ognuno di noi vorrebbe per sé e per i propri cari, ma nega anche i principi presunti della nostra virtualità: quelli secondo i quali dietro ad un messaggio appena giunto in rete ci sia qualcuno che lo abbia in quel momento pensato ed inviato.

Ci sono perfino le faq , su “Prima di Partire”: in perfetto stile internet l’elenco delle domande e risposte termina con il classico quesito scherzoso: “dove sono le donne nude?” Anche se dubito che a qualcuno fra i lettori postumi tutto ciò abbia strappato un sorriso. Ci sono poi i messaggi postdatati che Ciro ha scritto e che wordpress pubblica, come da istruzioni, dopo la morte del ragazzo. Ci sono, in una apposita pagina web, le trascrizioni delle sedute di chat fra Milani, che si presentava con il nick “Suicide”, ed altri navigatori della rete. Poi ci sono, soprattutto, le parole dei suoi post e moltissimi commenti. E nei commenti non mancano gli emuli del “grande gesto” che annunciano intenzioni simili, né si fanno attendere i giornalisti e la polizia postale e nemmeno quanti affermano con certezza che si sia trattato di un suicidio bufala. Siamo così abituati alle bufale su Internet che una situazione tanto assurda viene automaticamente registrata da molti come “impossibile”.

L’unico piccolo vantaggio mediatico è legato al fatto che la storia drammatica e documentata di Ciro non è fino ad ora arrivata alla grande stampa. Il suicidio di un giovane (una causa di morte per nulla infrequente) affiora molto raramente dalle pagine dei quotidiani. Un misto di rispetto per il dolore dei parenti e di rifiuto psicologico per simili gesti che interessa l’intera collettività, fa in modo che tragedie del genere restino in genere affidate al dolore dei familiari e risparmiate alla (forse utile e necessaria) comprensione generale. Già li immagino i titoli dei giornali se fosse stato possibile per una volta scriverne liberamente: “La solitudine della rete” “Chiede aiuto invano su Internet”, “la Polizia era sulle sue tracce on line ma non è arrivata in tempo per fermarlo”.

Noi non siamo abituati ma ci dovremo abituare. E’ come se i nostri rapporti online incrementassero le nostre responsabilità di esseri umani collegati. Internet consente di disporre in parallelo su ambiti e in tempi diversi, differenti aspetti della nostra personalità. Quella che Shelly Turkle un decennio fa chiamava “la frammentazione dell’io” è oggi, più o meno consciamente, la modalità di interazione che tutti noi utilizziamo in rete. E’ come se tutto, attorno a noi, avesse improvvisamente deciso di incrementare la propria complessità. Noi stessi siamo cambiati, abbiamo acquisito molte più sfaccettature, gestiamo molti più aspetti di noi di quanto non accadesse per esempio ai nostri omologhi mammiferi bipedi 50 anni fa. Siamo, da un certo punto di vista, più maturi di un tempo. Così nessuno può pensare che il weblog Primadipartire esaurisca la descrizione del suo autore consegnandocelo nella sua interezza. Perché semplicemente non è così.

E lo stesso può accadere che un diario lungo tre mesi di un giovane che si prepara al suicidio (un suicidio fortemente voluto ma dal “nostro” punto di vista tutto sommato risibile ed estetico, senza grosse motivazioni espresse che non siano “non mi piace la mia vita”) smetta di fare scandalo per il fatto stesso di essere stato raccontato (molti in questi giorni hanno a gran voce chiesto che le pagine del diario di Milani venissero oscurate) ed inizia a farlo per la grande necessità di essere discusso. Una necessità che, quasi spontaneamente, quel blog trasmette a chi lo legge. Io credo che questo sia comunque un fatto positivo. Non siamo abituati ma stiamo cambiando: internet consente e incoraggia discussioni scabrose e tormentate sul senso della nostra vita e su un milione di altri argomenti ma ci chiede in cambio comprensione ed intelligenza, leggerezza e sensibilità.

Esiste un percorso educativo in questo senso che passa anche attraverso l’apprendimento di come sia diverso per noi rapportarci agli altri attraverso lo schermo di un computer piuttosto che seduti faccia a faccia al tavolino di un bar. E non si tratta di un argomento riservato agli studi sociologici: l’identità che intravediamo al di là dello schermo nelle nostre frequentazioni online è non tanto una simulazione di qualcosa di inventato per l’occasione ma piuttosto una effettiva manifestazione di noi. E se i computer sono “oggetti per pensare” le parole che li attraversano sono per forza di cose espressioni significative della nostra umanità.

Massimo Mantellini
Manteblog

I precedenti editoriali di M.M. sono disponibili qui

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Pubblicato il
18 lug 2005
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