L'Italia della Tv su cellulare

L'Italia della Tv su cellulare

di Alessandro Longo - C'è chi ci ride sopra, chi non ci crede: eppure sui microschermi dei telefonini in Italia si investe molto, moltissimo. Lo scetticismo è giustificato?
di Alessandro Longo - C'è chi ci ride sopra, chi non ci crede: eppure sui microschermi dei telefonini in Italia si investe molto, moltissimo. Lo scetticismo è giustificato?


Roma – Ci sono novità tecnologiche che suscitano un curioso fenomeno. Ricevono ampio spazio sui grandi quotidiani, che se le rimbalzano come palline di un flipper, mentre sono guardate di sottecchi, con tiepido interesse, da parte della stampa specializzata. L’esempio più notevole, di questa bizzarria, scelto tra tutte le notizie uscite nel 2005, credo sia la Tv su cellulare : non quella cosa zoppicante che è l’attuale Tv mobile, bensì quella futura, che salvo imprevisti arriverà tra sei mesi e che va sotto il nome di DVB-h (Digital Video Broadcast-handset, ossia broadcast di video digitali su terminali mobili). Tutti gli operatori, eccetto Wind, hanno detto di essere al lavoro sul DVB-h; a dicembre hanno stretto accordi da centinaia di milioni di euro .

È una novità che sembra fatta apposta, a prima vista, per suscitare l’ilarità degli addetti ai lavori, perché ricorda molto da vicino quegli esperimenti tecnologici che hanno costituito il cuore dello scoppio della bolla speculativa nell’era della new economy. Possibile che le aziende hi-tech non abbiano ancora imparato la lezione? È la domanda che viene spontanea agli scettici, i quali hanno già facile gioco a costruire satire sul dubbio fascino di una Tv ridotta nei piccoli schermi di un cellulare. Però ho la sensazione che questa volta non sarebbe giusto liquidare la novità in una caricatura. I motivi, per i quali vale la pena soffermarsi, sono tanti.

Primo: è possibile che il DVB-h abbia successo. Un intellettuale, uno smaliziato esperto di hi-tech, adesso, leggendo, sorriderà all’ipotesi. Ma è la stessa categoria di persone che si sorprende al successo di trasmissioni trash come il Grande Fratello. Che, non a caso, riscuote un certo seguito persino sui cellulari degli operatori mobili. Un altro indizio fa inoltre riflettere: è ben strano che, smaltita ormai la sbornia della new economy, gli operatori abbiano deciso a frotte di investire milioni di euro in questa novità senza che ci fossero indizi di un futuro successo commerciale. Per di più, questa volta sono riusciti a coinvolgere nell’esperimento anche la tradizionale, conservativa industria dei contenuti televisivi (Mediaset in testa). Certo, resta possibile che sia un abbaglio collettivo, come ha detto a Punto Informatico un analista di Gartner Group . Ma un altro intervistato, analista di Analysys è possibilista sul successo del DVB-h.

Secondo motivo per cui vale la pena non prendere sottogamba il DVB-h: anche se sarà un successo solo parziale o proprio un flop, tutti i soldi che gli operatori vi stanno investendo lasceranno in qualche modo il segno nei futuri piani industriali.

Terzo motivo: questo accanimento sul DVB-h è notevole soprattutto in Italia- nel resto d’Europa e negli Stati Uniti vi stanno investendo, ma solo da noi si registra un entusiasmo così grande. Il tutto è una buona lezione: indica quale sia il rapporto che gli italiani (gli utenti e la stessa industria) hanno con le nuove tecnologie. È una conferma ai dati che, molto di recente, ha comunicato l’Istat : la massa degli italiani non riesce proprio a fare entrare la tecnologia, nella vita quotidiana, con senso critico e partecipazione attiva. Molta Tv, molti cellulari, pochi computer e poca Internet, rispetto al resto d’Europa: è la fotografia dell’italiano medio. Ed è anche il motivo principale per cui l’industria potrebbe averci visto giusto a scommettere sul DVB-h. “Non è una novità affermare che gli italiani amano molto i cellulari e la Tv”, dicono da Tre, spiegando come la Tv su cellulare, a dispetto delle apparenze, potrebbe essere il matrimonio dell’anno. Un ibrido indovinato, che potrebbe trarre forza dai gusti (o dalle lacune?) tipiche dell’italiano alle prese con l’hi-tech. Sarà appunto Tre, com’è probabile, il primo operatore che lancerà la Tv Dvb-h: l’estate prossima.

A conti fatti, la Tv su cellulare potrebbe avere tre esiti in Italia. Potrebbe diventare di massa (ci crede Tre) oppure avere un successo solo tra pochi irriducibili amanti della Tv. Infine, potrebbe rivelarsi un flop completo e quindi essere un’occasione sprecata, per gli operatori, di differenziare le proprie entrate; e per i broadcaster di rubare altro tempo agli utenti televisivi.

Per guardare al fenomeno senza pregiudizi, sgombriamo per prima cosa il terreno da un equivoco: la Tv su DVB-h è destinata (stando alle premesse) a essere molto diversa e migliore rispetto all’attuale Tv su UMTS. Potrebbe quindi non essere corretto giudicare quella avendo in mente quest’ultima.
Il DVB-h si avvarrà di cellulari ad hoc, dotati di schermi ad alta risoluzione, con diagonali di circa tre pollici. Sono le caratteristiche dei primi cellulari DVB-h prodotti, come l’N92 di Nokia . Sono al lavoro anche altri produttori, Philips, Siemens, Motorola, ma è Nokia a guidare le fila del DVB-h. Nokia prevede ben 300 milioni di utenti nel 2006 per la Tv sul cellulare, nel mondo. Le previsioni di Nokia Italia sono invece di circa 100 milioni di euro l’anno, di fatturato, nel nostro Paese.
Ottimismo forse eccessivo, che spesso accompagna le novità tecnologiche . Ha però qualche ragion d’essere: le caratteristiche del DVB-h sono promettenti, dal punto di vista tecnico.

Come spiega Franco Ferri, responsabile Dvb-h presso Tre, “con il DVB-h potremo trasmettere in aria i canali a 500 KB/s servendo infiniti utenti e con un’ottima fluidità del video; invece l’attuale Tv su cellulare è basata sulla rete dati UMTS, punto-punto, e ha una capacità limitata: può servire massimo cinque utenti contemporanei in una cella, dando a ciascuno 100 KB/s”. Gli utenti potranno sintonizzarsi alle trasmissioni che in quel momento gli operatori stanno trasmettendo; mentre adesso devono scaricarle richiedendole via UMTS (ai costi della poco economica banda di rete mobile).
Poiché i contenuti saranno broadcast (da uno a molti), invece che unicast (come nell’attuale Tv su UMTS), gli operatori potranno migliorare le efficienze e le economie di scala e quindi tenere il più possibile bassi i prezzi. Un altro vantaggio è che il DVB-h non occuperà la banda di rete UMTS, che quindi potrà essere meglio dedicata per altri servizi dati, ad alto margine di profitto- soprattutto quando, dal 2006, la banda bidirezionale aumenterà grazie al passaggio all’HSDPA, i super UMTS .

I prezzi della futura Tv sono al momento un’incognita, però gli esperti pensano che ci saranno, tra l’altro, piani tariffari flat a costi compresi tra i 5 e i 10 euro al mese. La nota stonata di questa partitura è che per il DVB-h bisognerà costruire un’infrastruttura di rete dedicata. In Italia Tre e Mediaset lo stanno già facendo, “in eccezionale anticipo rispetto a quanto avviene negli altri Paesi europei”, dice Darren Siddall, analista capo di Gartner Group.
È una spesa milionaria, per un servizio che potrebbe non avere il successo sperato: è questo il rischio che il DVB-h sta ponendo sulle casse degli operatori mobili e di Nokia, in particolare.

In Italia però il DVB-h gode di fortunate circostanze, perché sono state già assegnate le frequenze per il digitale terrestre, tecnologia affine al DVB-h. Se, com’è probabile, il DVB-h potrà sfruttare le stesse frequenze del digitale terrestre, i costi per le infrastrutture saranno minimizzati. Primo, perché sarà possibile usare la stessa rete del digitale terrestre con poche modifiche per renderla compatibile anche al segnale DVB-h. Secondo, perché la frequenza del digitale terrestre, l’UHF (Ultra high frequencies) sarebbe ottimale per la Tv su cellulare: è piuttosto bassa (arriva fino a 890 MHz) e quindi richiederebbe un uso minimo di ripetitori per estendere il segnale. “Il DVB-h ha di per sé un certo potenziale di riscuotere l’interesse del pubblico; il problema principale che affronterà, i costi per costruire l’infrastruttura, non è così rilevante in Italia”, dice Alex Zadvorny, analista di Analysys. “Soprattutto se gli operatori si metteranno d’accordo per condividere l’infrastruttura DVB-h”. È quello che sta succedendo: TIM non costruirà una propria rete, ma utilizzerà (a noleggio) quella di Mediaset, al costo di 14 milioni di euro l’anno; così come farà, probabilmente, Vodafone (con un accordo che però ancora non è ufficiale). Tutto sembra congiurare, quindi, perché in Italia il DVB-h abbia vita facile; perlomeno, più che in altri Paesi: “in Gran Bretagna, per esempio, ci sono problemi di spettro per questo servizio; negli Stati Uniti gli operatori stanno lavorando su frequenze diverse dall’UHF”, dice Zadvorny. La Tv sul cellulare deve essere grata all’insolita urgenza che in Italia ha accelerato i lavori sul digitale terrestre e che ha suscitato anche polemiche .

Siddall è invece scettico: “la Tv su cellulare non sarà mai di massa, a differenza di quanto credono gli operatori. Stanno prendendo un abbaglio: sarà un flop come gli MMS”. Siddall riconosce che “il DVB-h potrebbe funzionare se gli operatori condivideranno l’infrastruttura, ma credo saranno restii a farlo, per ragioni di ostilità reciproca e di concorrenza”. In sostanza, “avrà un piccolo pubblico, circa il 20 per cento degli utenti totali di telefonia mobile. Il che limiterà anche le entrate pubblicitarie, condannando il servizio all’insuccesso commerciale”. Il motivo di tanto scetticismo? Non le dimensioni dello schermo, ma il fatto che “il broadcast appartiene al passato. Il DVB-h va nella direzione sbagliata. La gente sempre più è abituata a vedere le cose on demand, dove e quando vuole. Il broadcast, in futuro, avrà senso solo per trasmettere importanti eventi in diretta”. Ma allora perché in massa operatori, produttori e broadcaster vi investono? “Chissà, forse hanno sottomano ricerche diverse da quelle che abbiamo noi”, dice ridacchiando Siddall.

Alla fine, sembra che le opinioni contrastanti sul futuro del DVB-h siano lo specchio di modi diversi di concepire il rapporto tra medium e pubblico. Gartner ha in mente un tipo di rapporto che è basato sull’interattività, sulla partecipazione. È evoluto, è figlio di Internet. Alcuni lo pongono sotto la categoria di Web 2.0 . In sostanza è vero che il DVB-h va in direzione opposta; nondimeno tra gli italiani potrebbe riscuotere successo, perché da noi la massa non ha ancora interiorizzato Internet e conosce solo un modo passivo di rapportarsi al medium televisivo (se non proprio a tutti i media). Gli stessi servizi interattivi su Tv qui sono agli albori, mentre nei Paesi anglosassoni, grazie anche alla diffusione delle reti via cavo, sono ormai consuetudine. Allora, l’eventuale, possibile successo del DVB-h sarebbe nell’immediato la cartina tornasole dell’arretratezza del pubblico italiano. E la conferma che qui si sta perdendo il treno verso la più importante delle lezioni che Internet ha impartito al pubblico: l’interscambiabilità possibile tra il ruolo di utenti e di creatori di contenuti. Certo, il DVB-h potrebbe comunque essere usato, almeno in piccola parte, per dare spazio a contenuti prodotti dagli utenti. Probabilmente Tre vi dedicherà un canale, visto che già su UMTS dà spazio ai video amatoriali degli utenti, con il servizio In Video .

I video su cellulare possono essere uno strumento di espressione artistica, come dimostrano i particolari festival del cinema tenuti a dicembre negli Stati Uniti , a Parigi , a Roma .
Bisogna vedere però se il DVB-h potrà essere un medium adeguato per questa espressione. Il problema è che vive di logiche molto diverse rispetto a quelle che hanno permesso la crescita di Internet come strumento di creatività personale. Non solo perché il DVB-h è “da uno a molti”. Ma anche perché la distribuzione dei contenuti su rete dati mobile è di per sé più rigida che sulla grande Internet. Sui cellulari, colui che dà l’accesso alla rete coincide con il principale distributore di contenuti. Il che crea un effetto di “gabbia dall’alto” che di per sé potrebbe minare lo sviluppo di contenuti creati dal basso. È lo stesso problema che sta dietro la Tv su ADSL.

Tiscali dice che sulla propria Tv (il cui arrivo è previsto per i primi mesi dell’anno) darà spazio anche ai contenuti degli utenti; sarà interessante vedere come sarà utilizzato, ma l’esperienza insegna che la creatività personale meglio si esprime quanto più è autonoma. L’operatore che dà spazio ai contenuti degli utenti ricorda il presentatore televisivo che in un talk show porge il microfono a uno del pubblico: per un tempo determinato ed entro certe logiche stabilite dalla produzione. Su Internet invece l’utente ha imparato a prendere da sé il microfono e a parlare senza curarsi dei palinsesti. È un peccato che su rete mobile non stia ancora avvenendo lo stesso, visto che i cellulari, con la loro diffusione capillare, ad personam, sarebbero un ottimo strumento per portare a un nuovo livello la forza di Internet. Forse quando la banda larga su rete mobile sarà meno costosa, si diffonderanno anche lì i contenuti auto prodotti dagli utenti, fuori dai portali e dai recinti assegnati dagli operatori.

Per ora all’orizzonte c’è invece il DVB-h, su cui sia operatori sia broadcaster hanno buoni motivi per scommettere. Gli operatori perché devono fronteggiare il progressivo ribasso dei margini di profitto dati dai servizi voce e trovare quindi nuovi modi per spennare gli utenti. Per i produttori di contenuti Tv, invece, il DVB-h è un’occasione per cercare di occupare, con insistenza e sistematicità, ulteriori spazi di tempo degli utenti. Raggiungendoli anche quando non sono a casa.

Se operatori e broadcaster riusciranno nel loro intento, se il pubblico accetterà questa nuova Tv, prepariamoci a vedere sorgere un nuovo fenomeno collettivo: in Italia così com’è già in Corea (dove gli utenti di Tv su cellulare si contano a milioni), sui treni, nelle sale d’aspetto, si moltiplicheranno le persone assorte dietro un piccolo schermo Tv. Aumenterà così il potere mediatico della Tv e si alzerebbe una nuova barriera sociale tra le persone, che preferiranno la Tv alle chiacchiere con il vicino. È uno scenario troppo contrastante con la cultura del popolo italiano? Si vedrà, ma già tra le nuove generazioni si diffonde l’abitudine di stare a testa bassa tra i sedili di un treno o persino al tavolo di un ristorante, per giocare con una console portatile. Dove non arriva la passione per i videogiochi, potrebbe arrivare quella per la Tv ad innalzare un muro tra le persone.
L’industria della tecnologia sfrutta così una tendenza che è già in nuce nell’uomo contemporaneo; ma anche, come sempre accade, ha la responsabilità di contribuire a incoraggiarla e ad accelerarla.

Alessandro Longo
www.alongo.it

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Pubblicato il
10 gen 2006
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