Attivazioni via telefono, un bene o un male?

Attivazioni via telefono, un bene o un male?

R. Scano e L. De Grazia investigano sulle attivazioni partendo da un caso piuttosto clamoroso. Telecom, interpellata, replica alle contestazioni: agiamo nel rispetto della legge
R. Scano e L. De Grazia investigano sulle attivazioni partendo da un caso piuttosto clamoroso. Telecom, interpellata, replica alle contestazioni: agiamo nel rispetto della legge


Roma – Pubblichiamo qui di seguito un’analisi sviluppata da Roberto Scano (presidente IWA) e dall’avvocato Luca De Grazia attorno alle attivazioni dei servizi telefonici a distanza, ovvero via call center. E pubblichiamo di seguito la replica cortesemente inviataci da Telecom Italia

La procedura di attivazione
L’attivazione di servizi tramite telefono, soprattutto con gli operatori di telefonia fissa, è oramai una prassi comune: l’utente interessato all’attivazione di una linea telefonica, di un servizio aggiuntivo, oppure che desidera ottenere supporto si rivolge ai servizi clienti (o, se aziende, ai servizi clienti business) componendo delle numerazioni brevi (i vari 187 e 191 di Telecom, 155 di Wind ecc.) ed entrando pertanto in contatto con l’azienda, tramite i servizi di Call Center.

L’utente quindi si trova a richiedere un servizio, ossia richiede di avviare una pratica di attivazione (richiesta del servizio) tramite un operatore di call-center che, secondo quanto previsto dalla legge di Murphy, può essere della stessa città, oppure di un call-center al capo opposto della nazione.
La prassi per la richiesta del servizio è semplice: l’utente si identifica, fornendo i propri dati anagrafici assieme al codice fiscale (oppure alla partita IVA, se si tratta di aziende), e richiede l’attivazione del servizio.

Ipotizziamo quindi che l’azienda XYZ richieda una linea telefonica aggiuntiva per la propria sede: il titolare e/o persona delegata dallo stesso contatta il Call Center, fornisce tutti i dati richiesti (cognome e nome, azienda e Partita IVA) e richiede l’attivazione del servizio.
Al termine della conversazione, la richiesta di attivazione è quindi giunta al termine: basterà qualche giorno perché l’operatore invii i propri tecnici per la predisposizione della linea telefonica e per l’attivazione della stessa, provvedendo quindi alla sua immediata attivazione.
Se tutto va bene, nei mesi successivi l’azienda riceverà il contratto che, una volta sottoscritto con doppia firma (ovvero per accettare le clausole vessatorie, ossia le clausole a sfavore del Cliente), dovrà essere inviato dal fornitore del servizio di telefonia.
Solo con la ricezione da parte dell’operatore del contratto sottoscritto dall’utente, l’iter di formazione della volontà delle parti si può considerare concluso o, meglio, si può dire concluso il contratto in tutte le sue parti, laddove queste si vogliano fare interamente valere. Salvo quanto appresso specificato.

Identificazione del richiedente
Come può il fornitore del servizio identificare il richiedente del servizio?
L’operatore ha chiaramente il compito di richiedere alcune informazioni: il nome e cognome della persona, il numero da cui ha origine la chiamata, il codice fiscale / partita IVA del soggetto per cui si richiede il servizio.
Con tali dati l’operatore può quindi individuare la scheda cliente ed attivare i servizi richiesti, in quanto i dati identificativi forniti vengono considerati sufficienti per l’attivazione del servizio (e quindi del contratto). Ed il contratto, secondo le condizioni generali di fornitura di Telecom Italia (art. 2 comma 1) “si perfeziona, salvo casi specifici, con l’attivazione del Servizio a seguito della richiesta del Cliente”.
E non potrebbe essere altrimenti, poiché si tratta semplicemente della applicazione di un principio generale, che fissa la conclusione del contratto allorquando le parti abbiano raggiunto (vedremo poi come…) l’accordo sulle rispettive obbligazioni.

Ma non sempre va tutto bene…
Un caso chiusosi recentemente ha come protagonista un’azienda veneziana.
Tale azienda, a seguito di un contatto da parte di un promotore finanziario del principale fornitore di telefonia fissa nazionale viene a conoscenza della presenza di una linea telefonica a proprio nome localizzata in Roma.
Dopo tale scoperta la titolare ha provveduto a contattare immediatamente il servizio clienti business comunicando chiaramente che la sua azienda non aveva alcuna filiale su Roma e che non aveva in ogni caso richiesto l’attivazione di alcuna linea telefonica aggiuntiva.

La titolare dell’azienda è quindi rimasta esterrefatta venendo a conoscenza che l’attivazione di tale linea in tutt’altra città rispetto all’unica sede situata in Venezia era stata richiesta tramite telefono cellulare da un uomo (!) che, diligentemente, aveva fornito i dati fiscali dell’azienda.

Vale solo la pena ricordare che qualsiasi azienda è obbligata, stante quanto previsto dal comma 1 dell’art. 35 del DPR 633/72 – nella formulazione introdotta dall’art. 2, del DPR 5 ottobre 2001, n. 404 alla pubblicazione del codice di partita IVA non solo nelle dichiarazioni e in ogni altro documento ove richiesto (esempio: fatture, scontrini fiscali ecc.) ma anche “nella home-page dell’eventuale sito web”. Pertanto chiunque, dotato di una connessione internet o anche di qualsiasi scontrino fiscale, secondo le attuali modalità di attivazione dei contratti prevista da Telecom Italia SpA può presentarsi col proprio nome e cognome, dichiarare di rappresentare l’azienda XYZ e richiedere l’attivazione di un determinato servizio (compresa una nuova linea telefonica) a qualsiasi indirizzo in qualsiasi località del nostro paese.

Certamente in questo caso la persona che utilizza in modo improprio i dati dell’azienda potrebbe anche commettere un reato, ma allo stesso tempo è la stessa azienda di telefonia a commettere vari illeciti, soprattutto da un punto di vista civilistico.

Da un punto di vista strettamente giuridico, vi sono sicuramente molte obiezioni da sollevare alla procedura sopra descritta; ed infatti:

1. prima di tutto, trattandosi di un contratto verbale (ovvero nel quale non è stato sottoscritto alcunché), non potranno applicarsi tutte le clausole rientranti negli artt. 1341 e 1342 c.c. – qualora si tratti di soggetti c.d. “non consumatori” – e neppure quelle previste dai “vecchi” articoli 1469-bis e segg. C.C., ora sostituiti dalle norme contenute nel c.d. “Codice del Consumo”, qualora si tratti di soggetti c.d. “consumatori”.
a. Il contratto, pertanto, non è completamente nullo, ma sono “solamente” non applicabili tutte le clausole che possano rientrare nelle definizioni degli articoli di legge appena citati;

2. inoltre (come peraltro recentemente posto in luce anche da un provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali, è indubbio che i “dati” sopra descritti, pur se “pubblicamente” reperibili, rientrino a pieno titolo nel concetto di “dato personale” della malcapitata ditta (così come della eventuale società che fosse incappata nel “disastro”). Da qui discendono varie conseguenze:

a. Qualora il trattamento effettuato anche dal fornitore del servizio telefonico possa rientrare nella definizione di cui all’art.167 del “Codice Privacy”, saremmo in presenza anche di un reato; tuttavia in effetti questa appare una ipotesi non molto plausibile, in quanto si tratta di un c.d. “delitto”, che presuppone il dolo, ovvero la precisa volontà di compiere quel reato.
b. Poiché però il trattamento risulterebbe “sicuramente” effettuato senza il consenso dell’interessato (la ditta), si rientra a pieno titolo nella previsione dell’art.15 del Codice Privacy, che a sua volta richiama la responsabilità ex art.2050 c.c. (esercizio di attività intrinsecamente pericolose), e stabilisce la risarcibilità anche del danno “morale”.
c. Dalla responsabilità “aggravata” di cui all’art. 2050 c.c. deriva la possibilità per l’interessato (la ditta che ha avuto attivato il numero senza averlo richiesto e, soprattutto, ha subito le conseguenze della non corretta organizzazione da parte del fornitore del servizio) di richiedere un “consistente” risarcimento dei danni subiti, anche e soprattutto in relazione a tutti i tipi di disagi subiti.
d. Unitamente alla responsabilità di tipo civilistico, rimane – in caso di segnalazione della circostanza al Garante – anche quella derivante dall’applicazione dell’art. 161 del Codice Privacy, il quale prevede una sanzione amministrativa sino ad Euro diciottomila, sanzione elevabile sino al triplo “quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore”.

L’unica conclusione possibile, da un punto di vista giuridico, è quella di consigliare “caldamente” tutte le azioni possibili contro il fornitore, solamente in questo modo – probabilmente, a seguito di una “rivisitazione” del rapporto costi – benefici – si potrà avere anche una azione in qualche modo “calmieratrice” del fenomeno.

Va comunque fatto presente che, senza un contatto del fornitore per proporre ulteriori servizi commerciali, difficilmente la società di Venezia poteva venire a conoscenza dell’indebito uso del proprio nome nella località di Roma, se non tramite spiacevoli inconvenienti come quelli descritti nel paragrafo successivo.


E se i guai finiscono qui?… magari!
Il problema suddetto può facilmente concludersi con il riconoscimento da parte del fornitore di telefonia dell’errata attivazione, con quindi conclusione positiva per il Cliente che vedrebbe quindi risolversi con celerità delle problematiche a lui estranee.
Ma a questo punto entra purtroppo in gioco l’organizzazione delle società di telefonia.

In questo caso l’attivazione indebita è stata effettuata in un territorio di competenza della Regione del Lazio, mentre il cliente rientra nell’area di competenza della Regione del Veneto.
Così, mentre l’azienda informava il fornitore di telefonia dell’indebita affiliazione del proprio nome con una linea telefonica mai richiesta, Telecom Italia provvedeva (a suo dire) alla disattivazione di tale linea ma imputando ben 2 anni dopo il costo della stessa (costi di attivazione e traffico telefonico) con riaddebito in altro conto Telecom Italia della società di Venezia, ai sensi dell’art. 18, comma 3, delle Condizioni Generali di Abbonamento.

Tale clausola vessatoria (art. 1341 e 1342 c.c.) richiede, per essere considerata valida, che il cliente abbia sottoscritto il contratto ed abbia, con ulteriore firma, accettato tali clausole a suo svantaggio (considerato che presumibilmente tutti i documenti – ovvero il contratto e le fatture – siano stati inviati nella presunta sede di Roma).

In questo caso quindi il fornitore di telefonia ha considerato come legalmente valido un contratto mai sottoscritto dal Cliente – quindi legalmente, se non nullo, sicuramente avente portata di gran lunga minore di quella ritenuta “valida” dal fornitore.
Va inoltre fatto notare che la maggior parte delle comunicazioni inviate da Telecom Italia alla Cliente relative a questo fatto provenivano come lettere non datate, non firmate e tramite posta ordinaria e tutte con richieste di regolarizzazione della situazione (!) entro “x giorni dalla ricezione della presente”; a stretto rigore sembrerebbero possedere neppure i requisiti formali per una corretta messa in mora della ditta veneziana.

La società veneziana ha quindi anch’essa applicato quanto previsto dall’art. 17 comma 2 delle Condizioni Generali di Contratto:
2. In caso di reclamo, il Cliente sarà comunque tenuto al pagamento, entro la data di scadenza della fattura di tutti gli importi, non oggetto del reclamo, addebitati nella fattura stessa
Il comma 3 del suddetto articolo 17 prevede:
3. L’esito del reclamo è comunicato al Cliente per iscritto entro 30 giorni solari dal momento in cui il reclamo è pervenuto.

L’azienda provvede quindi alla liquidazione dell’importo dovuto (ovvero dell’importo della fattura, detraendo l’addebito relativo alla linea di Roma) ed ha inviato formale reclamo.

Nei 30 giorni successivi non è pervenuta alcuna risposta (nemmeno telefonica) alle richieste.
La situazione può sembrare grottesca, nonostante non siano state riportate in dettaglio le telefonate al call center, in cui ad ogni telefonata era necessario rispiegare la situazione all’ennesimo incredulo operatore.
Dopo alcuni mesi l’azienda riceve comunicazione tramite raccomandata da Telecom Italia in cui si informava la stessa che, per morosità, veniva disattivata la linea attiva su Venezia.

Qui, come sopra precisato, siamo in presenza dell’attivazione di quanto previsto dalle clausole contenute nel regolamento generale da considerarsi non validamente approvate in quanto manca una valida sottoscrizione del contratto, sempre con riferimento alle clausole riconducibili agli artt.1341 e 1342 c.c.

Il Corecom e l’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni
A questo punto, non essendoci possibilità di dialogo con il fornitore di telefonia, e passati oltre 10 giorni di promesse di “richiamo” per la sistemazione del problema da parte degli operatori del call-center, l’azienda ha quindi deciso di utilizzare gli strumenti che le vigenti normative mettono a disposizione dei consumatori.
Gli utenti e gli organismi di telecomunicazioni, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse e che intendano esperire ricorso avanti all’Autorità Giudiziaria o, alternativamente, all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, sono obbligati a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom (Comitato Regionale per le Comunicazioni) competente per territorio.

La procedura è completamente gratuita e viene ultimata entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza.
Gli utenti hanno comunque la facoltà di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione in via alternativa davanti agli altri organi non giurisdizionali che svolgono procedure di conciliazione (per es. le Camere di Commercio).

Tramite quindi l’ apposito formulario UG fornito dall’Autorità Garante per le Comunicazioni è stata quindi avviata la pratica per la richiesta di riattivazione della linea.

Contestualmente alla richiesta di conciliazione, è possibile adire l’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per l’eventuale adozione di provvedimenti temporanei che mirino a garantire l’erogazione del servizio o la cessazione dell’abuso o dello scorretto funzionamento da parte del gestore del servizio di telecomunicazioni, compilando ed inviando all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni il formulario GU5 . Grazie all’AGCOM è stato quindi possibile riottenere l’attivazione della linea telefonica in meno di una settimana.


Nell’udienza di conciliazione tra l’azienda veneziana e Telecom Italia, la società fornitrice ha chiaramente ribadito che il contratto attivato su Roma per loro era valido con tutti i documenti e clausole collegate, conoscibili e conosciute, in quanto era stato richiesto dal cliente – ovvero in quanto l’operatore del call center ha correttamente identificato il cliente utilizzando i dati previsti per il riconoscimento (nominativo, azienda, partita IVA).

Questo significa, ahimè, che la società Telecom Italia considera legalmente valido qualsiasi contratto non sottoscritto dal cliente, ovvero considera valide anche le clausole vessatorie (quelle a scapito del cliente).

In conclusione, anche da un punto di vista giuridico, oltre a quanto sopra esposto, e fermo restando che chi ha tratto giovamento da tale situazione è sicuramente il fornitore di servizio telefonico (il che potrebbe anche portare a delle considerazioni in ordine alle “opportunità” di procedere anche in sede penale, anche per truffa, nei confronti sia dell'”attivatore” virtuale, sia del fornitore di servizio, quanto meno per lasciare decidere al Giudice competente di “chi sia la effettiva colpa”) occorre notare che, qualora si volesse pensare a delle precise strategie, utilizzando la c.d. “dietrologia”, appare quanto meno “particolare” che la formazione impartita dal fornitore del servizio ai propri “call center” (che, si rammenta, operano sempre e comunque in nome e per conto del fornitore) non preveda quel minimo di conoscenze dei principi fondamentali del diritto che permettano di evitare di fornire consigli senza alcuna base, come per esempio quello di denunciare per truffa un ignoto (laddove, si ripete, chi ha tratto profitto dal tutto è stato sicuramente il fornitore di servizio), oppure quella connessa alla testardaggine nel voler considerare totalmente applicabili clausole che rientrino a pieno titolo nel novero di quelle enunciate, sin dal 1942, come facenti parte di quelle considerate come vessatorie (quindi di tempo per rendersi conto della loro esistenza sicuramente ne è stato).

Direi che questo atteggiamento ben si combini con la richiesta di documenti nei vari supermercati a tutela del titolare della carta, laddove tale misura è posta ad esclusiva protezione del “supermercato” medesimo, che alla luce della attuale normativa, nella triangolazione banca (carta di credito) – consumatore – fornitore è divenuto sin dal D.Lgs n.185/99 il c.d. “contraente debole”. Il tutto spesso senza un minimo di informativa sul trattamento di tali dati…

Delle due l’una: o si è in presenza di un comportamento quanto meno estremamente spregiudicato nei confronti degli utenti, professionali e non, oppure – se qualcuno conosce l’esatta portata di tali norme – vi è una precisa volontà di comportarsi in un certo modo…
Occorre forse rammentare al lettore come si sta orientando la giurisprudenza in materia di “obbligazioni argentine” nei confronti delle banche che vendevano tali “prodotti”?

Art. 1341
Condizioni generali di contratto (1679).
I. Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza (1370, 1469-bis).

II. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità (1229), facoltà di recedere dal contratto (1373) o di sospenderne l’esecuzione (1461), ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze (2964 ss.), limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni (1462), restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi (1379), tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie (808 c.p.c.) o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria (6 c.p.c.).


“Le modalità adottate da Telecom Italia per la commercializzazione dei propri prodotti/servizi rispettano la normativa sui contratti a distanza (già Legge 185/99) richiamata e confermata dalle disposizioni del Codice del Consumo.

Tale Codice entrato in vigore lo scorso mese di settembre – pur razionalizzando l’intera materia del consumerismo accorpando le varie disposizioni via via emanate – non ha di fatto apportato alcuna modifica al quadro normativo vigente, confermando nella sostanza le disposizioni previste dalla legge 185/99 sui contratti conclusi a distanza.

Le modalità di commercializzazione utilizzate da Telecom prevedono, secondo quanto previsto dall’art. 53 del Codice, il rispetto dei seguenti punti:

– tracciamento e registrazione, nel rispetto delle normative in materia di privacy, del contatto telefonico intervenuto con il cliente quale manifestazione dell’interesse ad aderire al servizio/prodotto;

– invio di una welcome letter di conferma dell’attivazione del servizio/prodotto contestualmente all’acquisizione on-line contenente tutte le informazioni previste dal codice del consumo, quali le caratteristiche tecniche del servizio, le condizioni economiche e di contratto, le modalità di recesso;

– addebito del servizio/prodotto in fattura solo successivamente all’invio al cliente della welcome letter;

– facoltà di esercitare il diritto di ripensamento nei due bimestri successivi di fatturazione, prolungando quindi a favore del cliente il periodo di ripensamento previsto dal Codice del Consumo (10 giorni).

Per quanto riguarda, infine, alcuni casi di attivazione di servizi non richiesti, che possono verificarsi, va precisato che Telecom Italia ha introdotto una serie di azioni finalizzate a monitorare in modo puntale l’attività e le modalità di commercializzazione soprattutto dei partner esterni all’azienda, quali ad esempio specifiche clausole e procedure di controllo sull’operato degli agenti e procedure di tracciamento dei contatti, per rendere un servizio improntato alla massima trasparenza e in linea con le aspettative della clientela”.

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Pubblicato il
10 mar 2006
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