Computex, l'assedio di Greenpeace

Computex, l'assedio di Greenpeace

I produttori dell'hi-tech che pensano di poter snobbare la questione ambientale non hanno vita facile: alla grande fiera taiwanese del computing per un giorno i protagonisti sono stati i guerrieri dell'arcobaleno
I produttori dell'hi-tech che pensano di poter snobbare la questione ambientale non hanno vita facile: alla grande fiera taiwanese del computing per un giorno i protagonisti sono stati i guerrieri dell'arcobaleno

Taipei – La destinazione di molti computer di cui il mondo ricco si sbarazza è nelle campagne dei paesi asiatici, dove sono numerosi i bambini impiegati nell’opera di smantellamento in condizioni di sicurezza pressoché nulle: questa una delle più pesanti rivendicazioni che Greenpeace ha voluto sollevare al Computex , una delle maggiori fiere dell’alta tecnologia che si tiene annualmente a Taiwan.

I guerrieri dell’arcobaleno della celebre associazione ecologista ieri si sono allineati dinanzi all’ingresso della fiera spiegando ai visitatori del Computex che i passi avanti compiuti da molte imprese non sono sufficienti, che ancora oggi moltissime tonnellate di rifiuti tecnologici, contenenti sostanze altamente tossiche, finiscono in modo spesso illegale in paesi che non sono attrezzati per uno smaltimento intelligente.

Sebbene aumentino le normative di contrasto al gravissimo inquinamento causato dalla dispersione nell’ambiente di componenti di PC e altri dispositivi , come piombo o cadmio, vi sono paesi in cui le regole sono inesistenti. Jamie Choi, portavoce di Greenpeace , ha nominato esplicitamente India e Cina, dove i bambini messi al “lavoro” sui componenti dismessi, nell’80 per cento dei casi “hanno il sangue contaminato dal piombo”.

Choi ha spiegato che l’azione di queste ore è pensata per ricordare alle grandi multinazionali gli impegni assunti , come nel caso di ACER, taiwanese, che ha promesso di cancellare alcune sostanze nocive dai propri prodotti entro il prossimo trimestre.

“Noi – ha sottolineato Choi – vogliamo che l’industria dell’elettronica si assuma subito le proprie responsabilità e cessi l’utilizzo di sostanze tossiche nei propri prodotti”. Una scelta difficile per i produttori perché in molti casi questo può significare un innalzamento dei costi in un mercato, quello dell’hardware, dove i margini di profitto spesso sono tutt’altro che elevati.

Non è la prima volta che Greenpeace si occupa dell’argomento ed anzi ha lanciato da tempo una campagna globale rivolta tanto all’industria quanto ai consumatori.

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Pubblicato il
8 giu 2006
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