L'importanza di chiamarsi Google

L'importanza di chiamarsi Google

di Lamberto Assenti. Il motore racconta cos'è il buon gusto e il buon senso quando si fanno cose in rete. Ecco perché Google si può leggere in lingua Klingon o Hacker (ma tutto cominciò con un pupazzo di neve)
di Lamberto Assenti. Il motore racconta cos'è il buon gusto e il buon senso quando si fanno cose in rete. Ecco perché Google si può leggere in lingua Klingon o Hacker (ma tutto cominciò con un pupazzo di neve)


Roma – Un hacker legge e utilizza Google come lo fa qualunque altro utente del più celebre motore di ricerca? No, almeno a sentire proprio Google che tra le sue ultime riuscitissime trovate di comunicazione ha inserito la “lingua hacker” tra quelle che l’utente può configurare per personalizzare l’accesso al sito .

Basta scegliere “hacker” per ritrovare ogni pulsante e ogni funzione del sito di Google trasformato in un inesplicabile coacervo di cifre, numeri e simboli, quelli che secondo il motore appartengono evidentemente alla cultura hacker.

Non pago di aver scatenato deliri in rete con le sue trovate grafiche, Google sta rapidamente attivando e mettendo a disposizione il proprio sito in una sequela di linguaggi che rendono Google.com un’esperienza di continua scoperta per milioni di utenti internet.

Dalla pagina che consente di accedere alle diverse impostazioni linguistiche, per esempio, si può scegliere di selezionare anche un Google in “Klingon”. Con questa modalità, sicuramente la preferita per le orde dei fan della fantascienza di “Star Trek”, dunque, si può scoprire che “Daqmey pat” in Klingon significa “Web”.

Inoltre, superando qualsiasi tentazione classificatrice, balzando in un sol colpo oltre i rigidi canoni della comunicazione insegnati nelle scuole, Google offre nella lista delle lingue anche cose come “Interlingua” e addirittura un “Bork, bork, bork!” tutto da scoprire.

Di certo non finisce qui. Su quella stessa pagina infatti chiunque può proporsi come traduttore del sito di Google in una qualsiasi delle lingue che si parlano sul Pianeta, in una di quelle che gli abitanti del Pianeta vorrebbero parlare o in una qualsiasi altra lingua che possa consentire a Google e a tutti i suoi utenti di lasciarsi alle spalle gli stantii schemi della comunicazione tradizionale.

Chi non ricorda quando apparve per la prima volta accanto al logo di Google, sotto Natale, un pupazzo di neve? O quando le “o” di Google divennero cerchi olimpici in occasione delle Olimpiadi? Sono tanti i modi con cui questo “sitone” sta facendosi largo tra i giganti del Web privilegiando la raffinatezza della comunicazione e offrendo spunti e riflessioni a tutti, e non solo ad utenti e operatori internet.

Lamberto Assenti

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Pubblicato il
3 mag 2002
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