Il NYTimes pratica la censura geografica

Il NYTimes pratica la censura geografica

Con una mossa a sorpresa l'autorevole quotidiano americano utilizza sistemi di geofiltering per impedire agli utenti britannici di accedere ad un articolo che riguarda le indagini in UK sul terrorismo. In rete cresce la delusione
Con una mossa a sorpresa l'autorevole quotidiano americano utilizza sistemi di geofiltering per impedire agli utenti britannici di accedere ad un articolo che riguarda le indagini in UK sul terrorismo. In rete cresce la delusione

“Su consiglio dei nostri legali, questo articolo non è disponibile ai lettori di nytimes.com in Gran Bretagna. Ciò perché la legge inglese proibisce la pubblicazione di informazioni pregiudizievoli relative ad imputati prima del processo”.

Con queste righe da ieri vengono accolti i lettori britannici del New York Times che volessero leggere un articolo che parla delle indagini anti-terrorismo in corso in UK. La clamorosa ed inedita auto-censura viene spiegata dagli editor del giornale, che raccontano come il sistema di gestione dell’advertising sul sito web sia stato utilizzato per “tener fuori” gli utenti inglesi individuandone gli IP di provenienza. “Non è mai una scelta facile negare un articolo ad un utente – dichiarano i responsabili del giornale – ma è preferibile a non pubblicare affatto l’articolo”. Il pezzo è stato cancellato anche dalle edizioni cartacee del quotidiano distribuite nel Regno Unito.

Le motivazioni
L’ articolo è un servizio decisamente approfondito e ricco di particolari sulle indagini anti-terroristiche condotte dagli investigatori britannici ed è proprio a causa della pubblicazione di certi dettagli dell’inchiesta che il NYTimes ha optato per la censura. Secondo George Freeman, uno dei legali di punta del giornale, “abbiamo a che fare con un paese che, sebbene non abbia un Primo Emendamento, dispone di una stampa libera, e la nostra posizione è che dobbiamo rispettare le leggi di quel paese”.

A convalidare la propria posizione, il quotidiano newyorkese ha pubblicato il parere di un giurista della Oxford University, Jonathan Zittrain, secondo cui la scelta del NYTimes è comprensibile: “Da molti anni c’è l’idea che la tecnologia possa creare suddivisioni geografiche di Internet, anche se possono non essere efficienti al 100 per cento, ma comunque sufficientemente efficaci. E si ha la sensazione che molti tribunali nel Mondo siano disposti a prendere in considerazione questi sforzi”.

I precedenti
Come osserva MSNBC la scelta del NYTimes ha dei precedenti, sebbene siano perlopiù legati a questioni economiche o di copyright: sono diverse le società che mettono in linea contenuti protetti di cui hanno l’esclusiva per un solo paese e che di conseguenza devono “proteggere” dalla visione di utenti di altri paesi.
Ma è la prima volta che un grande quotidiano occidentale ricorre a queste misure per impedire all’audience internet di un altro paese occidentale di leggere un articolo che riguarda proprio quel paese.

L'(in)efficienza dei filtri
Per quanto clamorosa, la censura imposta dal NYTimes non rappresenta una blindatura invalicabile. L’idea esplicitata proprio dal quotidiano newyorkese è infatti quella di dimostrare “buona volontà” più che di riuscire in un’impresa titanica quale il blocco della navigazione di tutti gli utenti UK.

Sistemi come Tor , tool di routing e proxy server, come segnala tra i tanti BoingBoing , sono facilmente utilizzabili per pervenire comunque a quell’articolo.
Non solo, ci sono testate inglesi, come il Daily Mail , che hanno già ripreso passi sostanziali del pezzo pubblicato dal NYTimes. Per non parlare dei molti blog che si sono fatti “ripetitori” di quell’articolo. Qualcuno peraltro dichiara di aver letto il pezzo accedendo da un computer inglese.

Le reazioni
Di quanto accaduto com’è comprensibile si dibatte moltissimo in rete.

Da noi, ad esempio, il noto giornalista Carlo Formenti parla di “esigenze della diplomazia internazionale”, per la diversa “visione” dei fatti presentata dal NYTimes rispetto a quella “dipinta” dalle autorità britanniche, esigenze che però, dopo la capitolazione delle grandi net company americane alla censura cinese, pongono di fronte “a un nuovo episodio di quel processo di balcanizzazione della Rete che rischia di ridisegnare la geografia di Internet in funzione degli interessi dei vari governi nazionali, con tanti saluti alle utopie sulla costruzione di uno spazio globale di libertà”.
Più secco l’editorialista di PI Massimo Mantellini che sul suo blog scrive : “Continuiamo con idiozie del genere e Internet puo’ anche chiudere bottega”.
Reporters titola “Il New York Times come Msn, Google e Yahoo!”. La questione è segnalata anche da Pandemia.

Ma pure all’estero la questione tiene banco e Freakonomics , dopo aver parlato a lungo dei contenuti del pezzo si chiede : “Non so abbastanza delle leggi britanniche, ma non posso credere che dicano questo. Secondo me questo solleva un’altra domanda: considerando le pesanti differenze tra come i processi futuri saranno raccontati dalla stampa americana e da quella britannica, in che modo i futuri articoli condizioneranno gli esiti dei processi?”

Una pesante confutazione della posizione del NYTimes è pubblicata da Villainous Company , secondo cui il giornale così facendo tradisce quanto più volte dichiarato sull’indipendenza e il ruolo della stampa mentre Recess Monkey sottolinea come una censura del genere non possa che stimolare la curiosità dei lettori tagliati fuori.

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Pubblicato il
31 ago 2006
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