E-divide, la complicazione tecnologica

E-divide, la complicazione tecnologica

di Alessandro Clivati. Provate ad insegnare l'uso del mouse a un quarantenne ignaro, quale che sia il suo livello di scolarizzazione. Provate a spiegare alla zia come si fa a ricevere le foto dei pronipotini via Internet. Un disastro
di Alessandro Clivati. Provate ad insegnare l'uso del mouse a un quarantenne ignaro, quale che sia il suo livello di scolarizzazione. Provate a spiegare alla zia come si fa a ricevere le foto dei pronipotini via Internet. Un disastro


Web – Durante il periodo natalizio mi sono trovato più volte ospite in casa di amici alle prese con problemi tecnologici. Ho installato sistemi operativi, masterizzatori, modem; ho creato connessioni a Internet, spiegato l’uso del browser, configurato account di posta elettronica. Ogni volta mi sono guadagnato imperitura riconoscenza e ho fatto un e-figurone da e-guru .

Credo che chiunque mastichi informatica per lavoro, quale che sia la sua specializzazione, abbia esperienze simili da raccontare. Non è una novità il fatto che il PC sia un aggeggio terribilmente complicato. E non si tratta di un problema di sistemi operativi. L’oggetto “computer” è intrinsecamente complicato. Per imparare ad usarlo siamo obbligati ad astrazioni concettuali non indifferenti.

Provate ad insegnare l’uso del mouse a un quarantenne ignaro, quale che sia il suo livello di scolarizzazione. Provate a spiegare alla zia come si fa a ricevere le foto dei pronipotini via Internet. Un disastro, detto con infinita simpatia per i due soggetti dell’esempio e per le centinaia di persone che in questo stesso istante stanno imprecando contro il nuovo coso che han comprato per Natale. La zia e l’amico quarantenne, che non sono inetti, hanno un’ambizione comune. Desiderano accedere al mondo dorato di Internet, di cui tutti i media tradizionali parlano decantando vizi terribili e splendide virtù, ma fra loro e la Rete si frappone l’ostacolo tecnologico. E non solo.

Un importante concetto che ciclicamente viene proposto alla nostra attenzione è il “digital divide”, definito come il gap esistente fra chi ha possibilità di accesso a Internet e chi ne è privo. Il tema viene solitamente declinato in termini di disponibilità di tecnologia e banda passante, a sottolineare le sperequazioni interne alla nostra società e le distanza esistente fra Nord e Sud del mondo. Sono considerazioni sacrosante, che possono essere facilmente estese.

La complicazione tecnologica crea un “digital divide” fra la zia e la Rete. L’evoluzione del mercato, l’e-boom selvaggio degli ultimi 18 mesi, sta creando un altro gap forse più sottile ma non meno importante. Io lo definirei “e-divide” , in quanto tipico della nostra pretesa e-società. Intendo per “e-divide” il gap esistente fra chi – per motivi culturali o di formazione – ha accesso alla Rete e chi – per gli stessi motivi – l’accesso lo subisce.


“Subire l’accesso”: sembra uno slogan anni ’70. Se apro il nuovo inserto di un noto quotidiano che mi vuole spiegare com’è “vivere con Internet”, scopro che la Rete è una specie di centro commerciale aperto 24 ore su 24 e vedo sviscerati temi fondamentali tipo “cosa comprare” e “come pagare”. I telequiz pubblicano l’elenco delle risposte esatte nel loro sito Internet. Eccetera. E ‘ evidente e banale dire che la Rete non può che essere un luogo economico. Senza il boom commerciale saremmo poco oltre i fosfori verdi degli emulatori di terminale o la prima generazione di Mosaic. Nonostante questo, vedere Internet ridotta ad un parco giochi dà di che pensare. La Rete non è un luna park, eppure questo è il paradigma più frequentemente proposto e purtroppo più universalmente condiviso dai nuovi utenti, o dagli aspiranti tali. È un dato di fatto che Internet sia estesamente percepita dagli utenti non professionali come un territorio ludico – a prescindere da qualsiasi giudizio di merito.

La tecnologia è funzionale alla creazione di quest’immagine. Se il digital divide è definito dall’accesso alle tecnologie ed è misurabile in termini di dislivelli economici, l’e-divide è definito dalla possibilità d’uso delle tecnologie a cui si ha accesso ed è soprattutto un fatto culturale. L’e-divide è quel fenomeno che limita gli utenti della Rete, è la sorgente del paradigma del parco giochi – ovvero, se preferiamo, è lo strumento primo della sua creazione.

Pensiamo a come l’industria stia cercando di facilitare l’accesso alla tecnologia. Il primo passo che viene teorizzato e praticato è la semplificazione degli strumenti, che dovrebbero specializzarsi e diventare al contempo meno complicati e più pervasivi. Internet appliance in simbiosi col telefono, scatolette che si collegano al televisore, estrusioni multimediali del forno, del frigorifero, del carrello della spesa – l’elenco potrebbe essere infinito. Tanti oggettini che avrebbero il pregio di mettere Internet a portata di mano, magari in versione mobile a banda larga, ma che tenderebbero anche a ridimensionarne i limiti in maniera drastica, sia per depotenziamento puro (il download sul televisore?) sia mediante canalizzazione verso contenuti predeterminati.

Al contempo, una volta partorito e adottato questo paradigma di semplificazione tecnologica, si scopre che il depotenziamento crea frustrazione e conseguente richiesta di evoluzione degli apparecchi. Si genera il paradosso di scatole teoricamente iperspecializzate (magari in applicazioni videoludiche) che vengono dotate di una galassia di accessori che ne completano le caratteristiche ma le rendono simili ad apparecchi general purpose. Le definizioni date dagli uffici marketing non possono mascherare che macchine dotate di notevole potenza di calcolo, di memoria di massa, di evoluti strumenti di interazione con l’utente assomigliano molto ai cari, vecchi, complicati PC.

Potremo chiamarli “apparecchi di intrattenimento per tutta la famiglia”, ma a differenziarli dagli elaboratori personali sarà solo il software installato. Il tentativo di esiliare la complicazione tecnologica corre il rischio di risolversi nel suo rientro clandestino dalla finestra degli studi di mercato.

La situazione sembra delineare un cul de sac senza uscita, in cui la Rete stagna senza realmente evolvere. Gli utenti sono linfa vitale per la crescita, ma non ci può essere vera crescita senza la loro maturazione culturale e fino a quando l’accesso verrà da troppi subìto. La complicazione tecnologica è la prima causa del trionfo del paradigma parco giochi. Di semplificazione si parla molto, ma soluzioni vere non se ne vedono ancora. Ma se e-divide e luna park sono funzionali al profitto di chi “genera” la Rete oggi, mediante la tecnologia e la comunicazione, come si esce dal vicolo cieco?

Non credo che la soluzione sia in un futuro movimentista e cyberfreak. Se esistono un’ Internet liberista ed una libertaria, la loro convivenza è indispensabile, perché tendenzialmente una fornisce i mezzi per la crescita, la seconda idee che ne aiutino il governo. Certo è che nell’immediato futuro poche azioni avranno connotati potenzialmente “eversivi” quanto progettare nuove interfacce utente. Con tanti auguri alla zia e ai pronipoti, perché della Rete possano presto scoprire tutto ciò che sta oltre la ruota panoramica e gli autoscontri.

Alessandro Clivati

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Pubblicato il
10 feb 2001
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