Caccia alle streghe online, USA al bivio

Caccia alle streghe online, USA al bivio

Si riaccende lo scontro tra Governo e difensori dei diritti civili sulla normativa che prevede il carcere per i webmaster che pubblicano contenuti dannosi per i minori. Il rigore ideologico punta alla censura
Si riaccende lo scontro tra Governo e difensori dei diritti civili sulla normativa che prevede il carcere per i webmaster che pubblicano contenuti dannosi per i minori. Il rigore ideologico punta alla censura

Guerra aperta tra il governo USA e gli editori online sul COPA, la legge che tutela i minori dagli abusi online: il governo dichiara di voler aumentare le pene previste, la controparte ribatte dichiarando la legge ormai obsoleta rispetto alle moderne tecnologie ed inefficiente verso i contenuti pubblicati oltreoceano.

È solo agli inizi il tira e molla tra il governo statunitense e gli editori di vari siti web: otto anni dopo il primo processo contro portali che pubblicavano materiale “dannoso per i minori” la questione verrà riportata in tribunale. Ci riprovano siti come Salon e Nerve – già querelati poiché rei di aver pubblicato materiale vietato ai minori – con il supporto della American Civil Liberties Union : cercheranno di far cadere la COPA, abrogata nel 2004 dalla Corte Suprema e riportata in vita dall’amministrazione Bush, che prevede nei casi più gravi la prigione come pena adeguata per chi pubblica materiale scottante.

La legge, nata sotto l’amministrazione Clinton, richiede ai siti di adottare l’utilizzo di un codice d’accesso o di un numero di carta di credito per accedere ai contenuti “harmful to children” ed imporrebbe una multa fino a 50mila dollari e fino a sei mesi di carcere per gli amministratori di siti che pubblicano quel genere di contenuti che cozzano contro “gli standard della comunità”, espressione tanto vaga quanto cara ai censori. E c’è chi medita di rinforzare le pene.

ACLU ritiene che i filtri tecnologici siano un buon modo per moderare i contenuti sul web, anche quelli pubblicati oltreoceano, cosa che la legge non può in alcun modo fare. Secondo il Dipartimento di Giustizia invece è più semplice bloccare il problema sul nascere che impedire ai ragazzi di accedervi. “Il governo ribadirà che i genitori sono troppo stupidi per usare efficacemente i flitri e noi riteniamo questo un insulto e un errore” – dichiara a Wired Chris Hansen, legale ACLU. Eric Beane, difensore del governo nella bagarre legale espone il suo pensiero: “Ammetto che si sta tentando di sottrarre alle famiglie il problema di cosa sia appropriato per i figli, ma l’insieme di filtri parentali usati dai genitori semplicemente non funziona. Le prove dimostrerano che una quantità incredibile di pornografia raggiunge i bambini”. Insomma siamo di fronte ad un vero e proprio scontro ideologico. Viene però da chiedersi quale sia il criterio utilizzato per stabilire se determinati contenuti siano dannosi o meno.

Nel preparare la propria difesa della legge, il Dipartimento di Giustizia ha cercato di ottenere i dati dei motori di ricerca e provider. Google ha rifiutato una subpoena che chiedeva dati su un milione di ricerche. Come motivo del rifiuto, bigG ha però citato motivi commerciali e non problemi relativi alla privacy.

Intanto sempre dagli States arriva la notizia che la Brewer Anheuser-Busch , azienda che produce birra, istituirà dal 2007 un sistema indipendente di controllo dell’età degli utenti su tutti i siti del proprio brand, tra cui quello della birra Budweiser .

Vincenzo Gentile

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Pubblicato il
25 ott 2006
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