Google: il copyright può soffocare l'Australia

Google: il copyright può soffocare l'Australia

BigG non usa mezzi termini per attaccare la scure del copyright che sta per abbattersi sui principali servizi Internet. Si parla di consenso preventivo obbligatorio per inserire link nei sistemi di indicizzazione
BigG non usa mezzi termini per attaccare la scure del copyright che sta per abbattersi sui principali servizi Internet. Si parla di consenso preventivo obbligatorio per inserire link nei sistemi di indicizzazione

L’Australia ritornerà all’era pre-internet se verrà approvata la nuova proposta di legge sul copyright. Un testo secondo cui indicizzazione, archiviazione e caching di qualsiasi contenuto richiedono l’autorizzazione preventiva di autori e detentori dei diritti .

Google, comunica Agence France Press , chiede quantomeno di delineare un’eccezione per i motori di ricerca, per evitare che incorrano in cause su cause, intentate da chi potrebbe approfittare della legge per guadagnare qualcosa. Chiede altresì al parlamento australiano di analizzare le dinamiche di causa ed effetto nel contesto digitale, smettendo di ragionare in termini di copie fisiche .

Ragionevole ai limiti dell’ovvietà, la motivazione di Google: Internet è talmente vasta che per un motore di ricerca è impossibile contattare ogni detentore di copyright e contrattare riguardo a indexing, caching e archiviazione.

“Se ogni volta si dovesse chiedere il permesso, la Rete si bloccherebbe”, paventa il capo della public policy di Google Andrew McLaughlin al cospetto della Commissione per gli affari legali e costituzionali del parlamento australiano. “E gli utenti australiani sarebbero svantaggiati nella competizione con gli altri paesi che non prevedono questo tipo di legge”.

Ma il governo australiano ritiene che queste leggi siano indispensabili per tenere il passo con la tecnologia. Un’istituzione in più che si schiera contro quello che ai più appare come il naturale sviluppo della Rete, al pari della stampa belga , della stessa Agence France Press , della World Association of Newspapers , che hanno tentato di bloccare il servizio Google News. Al pari degli editori che si sono infervorati contro Google Book Search e a quelli che si sono dovuti ricredere .

“Queste leggi sul copyright potrebbero isolare l’Australia dalla Rete”. Lo sostiene Matthew Rimmer , dell’ANU College of Law, in un intervento riportato da PhysOrg.com : lamenta eccezioni allo sfruttamento del copyright troppo limitative e rigide. Leggi che, nonostante l’intento di tutelare i detentori di copyright, potrebbero sortire l’effetto contrario, interrompendo il flusso dell’informazione che per essi è fonte di guadagno.

Si spendono infatti energie e denaro per rendere un contenuto accessibile e per posizionarlo in testa, fra le pagine dei risultati offerti dai motori di ricerca. Non comparire nelle pagine dei risultati significa rinunciare a competere nel mercato globale della Rete . Ma anche rinunciare a partecipare al flusso informativo e democratizzante che è peculiare del Web. Una partecipazione – spiega l’esperto – che non rappresenta affatto un danno per le aziende e il mondo dell’informazione: più possibilità di accedere al proprio sito, ragionando in termini semplicistici e meramente economici, significa più possibilità di somministrare pubblicità e più possibilità di offrire i propri servizi. Senza contare che chi vuole tener fuori dagli indici le proprie risorse web può non invocare leggi restrittive o adottare protocolli specifici come ACAP : spesso e volentieri basta agire con consapevolezza sui file robots.txt , così da non essere “scovati” dai web spider .

Lawrence Lessig , in Free Culture , la denomina cultura del permesso : è necessario chiedere permesso per qualsiasi utilizzo del materiale sotto copyright, anche per i cosiddetti usi legittimi. Rimmer invoca per l’Australia l’avvento di un fair use elastico, di stampo americano. Ma anche l’istituto del fair use , che dovrebbe rappresentare una tutela importante ad alcuni utilizzi delle opere a vantaggio della società, è prono a distorsioni e ad interpretazioni in senso restrittivo.

Il copyright – spiegano gli esperti – rappresenta uno strumento democratico, un motore dell’innovazione , quando il suo raggio d’azione è adeguatamente delimitato: consente di tutelare l’autore, gratificandolo, e inducendolo a far fruttare le sua competenza o la sua creatività. E favorisce l’utente, invitandolo ad accrescere il proprio patrimonio culturale, e spingendolo, una volta scaduti i termini della protezione delle opere, a rielaborarle e reinventarle.

Le barriere che proteggono il copyright, però, si intensificano in estensione e in durata , per tutelare la cosiddetta creatività commerciale. Il copyright – avvertono gli studiosi – sta diventando il diritto di opporre un veto. Un veto che blocca l’innovazione, la creatività, il riuso, la rielaborazione e la circolazione dei beni informativi. Che crea artificiosamente delle condizioni di scarsità, che collidono con l’abbondanza di informazione tipica dell’era digitale.

In sostanza, dicono i più critici, questa concezione del copyright impedisce di informarsi, di riflettere su un ampio numero di fonti, di rielaborarle, e oppone un argine alla partecipazione democratica nel fluire della creatività, della cultura, dell’informazione.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
9 nov 2006
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