Contrappunti/ Stiamo ancora così

Contrappunti/ Stiamo ancora così

di Massimo Mantellini - L'ultimo decreto governativo che riguarda la rete non si discosta di una virgola dal modo in cui negli ultimi 10 anni è stata trattata Internet in Italia. Per chi sperava in un cambiamento, la delusione è cocente
di Massimo Mantellini - L'ultimo decreto governativo che riguarda la rete non si discosta di una virgola dal modo in cui negli ultimi 10 anni è stata trattata Internet in Italia. Per chi sperava in un cambiamento, la delusione è cocente

Il decreto Gentiloni sull’oscuramento dei siti pedofili è una grossa delusione.
Dimostra che la strada intrapresa dalla politica italiana nei confronti della rete Internet continua ad essere quella dall’approccio umorale ed incompetente che l’ha caratterizzata in questi anni. È come un cartello con su scritto a chiare lettere “Nulla è cambiato”. Lo possiamo leggere chiaramente nel tono trionfante di comunicati stampa su provvedimenti tutto sommato piccoli come questo (che seguono l’infelice percorso tracciato l’anno scorso con il banning statale degli IP di centinaia di siti dedicati alle scommesse on line), lo si percepisce sia nel metodo utilizzato che nel merito di simili decisioni, prese di concerto dal Ministero delle Comunicazioni e dal Ministero per le riforme e le innovazioni della Pubblica Amministrazione.

Poiché le cose talvolta vanno chiamate con il loro nome, lo Stato Italiano continua a scegliere la strada della censura rispetto a quella del controllo. Si arroga il diritto di educare i cittadini ad una “giusta” navigazione in rete (decidendo di volta in volta cosa debba essere raggiungibile e cosa no), quando il suo compito sarebbe quello, assai più banale, di pensare e mettere in atto strumenti per punire i reati eventualmente commessi, in rete come altrove.

Continua a trionfare in questo paese l’idea balzana che Internet sia “altro” rispetto al mondo reale. Non è un caso che la nostra legislazione sia tutta un fiorire di incisi nei quali si specifica “anche per via telematica” o di normative ad hoc che fin dall’intestazione indicano “Internet” come il luogo della loro necessaria attuazione. Forse è utile ricordare che in Italia dal 2003, all’interno dell’ultima revisione della normativa sulla pedofilia, esiste il reato di “pornografia virtuale”, nel quale magicamente il legislatore equipara ciò che sembra con ciò che è , nel più totale spregio di ogni logica fattuale. Internet diventa così l’unico ambito nel quale “consumare” immagini di una trentenne nuda truccata da lolita configura il medesimo reato di chi accede a contenuti pedofili, pur con pene ridotte di 1/3.

Questo ambito da torbida caccia alle streghe è il contesto nel quale galleggia il paese da anni ogni qualvolta la parola Internet sibila nelle bocche dei nostri politici e ciò accade in particolar modo quando ad essa si aggiunge l’altro termine in grado di scatenare la nostra preoccupazione e la nostra indignazione: “pedofilia”. La notizia di oggi è che nulla sembra essere cambiato in questa distorta visione del mondo, nemmeno ai tempi del Ministro Blogger.

Il decreto Gentiloni è per molti versi un provvedimento quasi inutile: la ragione principale di questa inutilità è che – banalmente – il traffico pedopornografico non passa più sul web ormai da molto tempo. La parte più consistente (e interessante per noi genitori) del reato di pedofilia in rete (una percentuale modesta rispetto alla reale entità del fenomeno) si riduce all’approccio su forum e chat del minore da parte dei pedofili. La fruizione di materiale pedopornografico invece avviene per la maggior parte all’interno delle cosiddette “darknet” o in misura minore sui circuiti P2P. Sul territorio italiano – come ha sottolineato, per una volta con costrutto, Don Fortunato di Noto – nessun provider ha mai avuto nulla da eccepire alla chiusura immediata di pagine web a contenuto pedofilo in tempi assai minori delle 6 ore previste dal decreto Gentiloni anche quando la segnalazione non aveva i crismi della imposizione del magistrato. Proprio perché si tratta di un consumo che viene diffusamente percepito come odioso ed immorale al di là di ogni legislazione al riguardo. Ma nel momento in cui i pedofili si ritrovano all’interno di reti private vituali nessun oscuramento degli IP sembrerebbe possibile.

La reale portata del provvedimento approvato in questi giorni sembra invece essere un’altra: quella di obbligare i fornitori di accesso a ridisegnare la mappa dei siti web raggiungibili dagli utenti della Internet italiana. Tutto ciò, compresa la chiamata alle armi degli ISP come casellanti forzosi (l’alternativa è una sanzione amministrativa fino a 250.000 euro) dei passaggi a livello della rete mondiale – come è ovvio e come è già accaduto per faccende di ben altra (in)consistenza come quella delle scommesse on line – apre la strada a discrezionalità ampie e pericolose. E davvero non paiono eccessivi i paragoni che molti commentatori hanno fatto in questi giorni fra il firewall cinese e quello che l’Italia sta predisponendo un mattoncino alla volta.

Per fare un esempio giusto di questi giorni l’Ente Nazionale per la Protezione degli Animali ha chiesto – sull’onda del decreto Gentiloni – l’intervento dei provider perché impediscano l’accesso alle centinaia di siti web nei quali poveri animali vengono torturati e uccisi. Ebbene, che vogliamo fare sig. Ministro? Ignoriamo le istanze delle foche trucidate in Antartide?

Qualche anno fa il Codacons chiese ad un giudice romano di imporre la chiusura del noto sito web americano Rotten.com perché mostrava immagini orribili non adatte ai minori. Così ci si potrebbe domandare: perché mai un navigatore della rete dovrebbe poter incappare nelle immagini di un poveretto ridotto in poltiglia da un TIR? Giusto l’altro ieri un magistrato di San Paulo del Brasile ha ordinato la chiusura di Youtube (addirittura) perché gli utenti continuavano a caricare il filmato della ex moglie del calciatore Ronaldo immortalata durante un amplesso su una spiaggia piena di turisti. Lo vogliamo dedicare un bel blocco degli IP alla privacy violata dell’avvenente modella?

Mi pare sia evidente a tutti che così davvero non se ne esce. Non possiamo modellare una rete Internet a misura della sensibilità, della cultura, delle abitudini, dei semplici pruriti di questo o quel soggetto, ridisegnandone ogni giorno i confini in base al vento che tira. Ciò che possiamo e dobbiamo fare è lasciare tutta Internet “aperta a tutti”, così che ognuno di noi possa continuare a decidere per sé quali informazioni raggiungere e quali invece rifiutare. Ciò che deve aumentare e non ridursi è la libertà individuale, un bene che i politici di questo paese, in casi come questo, mostrano di tenere in nessun conto. Se poi da simili smodate libertà dovessero discendere comportamenti illeciti, allora ben venga la polizia postale e tutto il resto, esattamente come accade nel benedetto mondo reale dove ognuno, esattamente come in rete, è responsabile per ciò che fa. E forse è bene ricordare che on line il perseguimento di simili orrendi reati è assai più semplice di quanto non avvenga nelle scuole, nelle famiglie, nei centri ricreativi o nelle palestre.

Paolo Gentiloni, nel comunicato stampa di presentazione del decreto (un decreto misterioso che circola in rete solo in versione non ufficiale perché nessuno al Ministero ha ritenuto di doverlo diffondere ai cittadini) ci dice che va tutelata la libertà di Internet “contro ogni tentazione di censura preventiva e generalizzata” . Poi però nel testo del decreto si afferma che verranno bloccati gli IP dei siti interessati e quindi basterà una immagine pedofila caricata su un server qualsiasi per costringere gli ISP a “spegnere” centinaia di siti che nulla hanno a che fare con un simile reato. Con buona pace della nostra libertà individuale e di quella di Internet. E taccio qui la decina di ragioni tecniche che rendono il banning degli IP facilmente aggirabile da chiunque e quindi di fatto inefficace non solo per i tecnici ma anche per i semplici utenti della rete. E se non fossi piuttosto arrabbiato eviterei di linkare questo post che il Ministro ha scritto sul suo blog pochi giorni fa nel quale si afferma testualmente: “Capisco l’allarme sociale creato dalla presenza nella rete di contenuti violenti, illegali, pericolosi per i minori. Ma non capisco come questo allarme possa tradursi nella tentazione di “controllare” o “filtrare” la rete”.

Poi, per dirla proprio tutta, nel comunicato del Ministero delle Comunicazioni si gioca con le parole quando si afferma che il decreto “è stato definito dopo un’istruttoria durata alcuni mesi cui, oltre ai due Ministeri interessati, hanno partecipato attivamente anche la Polizia Postale e delle Comunicazioni e le stesse associazioni degli Internet Provider”.

Non ho idea di cosa significhi per Gentiloni l’avverbio “attivamente”, quello che so è che l’Associazione Italiana Internet Provider è stata sì convocata ed ascoltata ma poi del tutto ignorata nelle osservazione che aveva posto al riguardo del decreto. Quindi è probabile che il Ministro utilizzi il termine “attivamente” con sfumature leggermente differenti da quelle previste dal vocabolario.

L’argomento “pedofilia” si presta moltissimo ad essere utilizzato per fini secondari. E capita spesso di percepire come questi secondi fini siano la ragione stessa delle scelte e degli indirizzi intrapresi. La circospezione con cui i media trattano simili materie (quasi nessuno sui giornali in questi giorni ha trovato nulla da eccepire alle scelte liberticide del decreto Gentiloni) fa il paio con l’omogeneo e piatto consenso che tutti i nostri politici mostrano nei confronti del prezzo da pagare presentato ai cittadini ogni qualvolta la magica parola “pedofilia” viene pronunciata in Parlamento. Abbiamo la classe politica più vecchia d’Europa, molti di costoro certo non comprendono nemmeno di cosa si stia parlando per semplici ragioni anagrafiche o di disinteresse, gli altri… beh gli altri sono francamente una delusione, ed in un giorno come questo ci dispiace molto di averli votati e sostenuti.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il 8 gen 2007
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