IT, quegli italiani che lavorano per i big USA

IT, quegli italiani che lavorano per i big USA

Ci sono anche giovanissimi smanettoni che forti della loro professionalità danno vita ad attività nell'IT che attirano i grandi player americani del settore. Ecco una di queste storie raccontata a Punto Informatico
Ci sono anche giovanissimi smanettoni che forti della loro professionalità danno vita ad attività nell'IT che attirano i grandi player americani del settore. Ecco una di queste storie raccontata a Punto Informatico

Come nelle più trite favole tecnologiche in principio erano due ragazzi. DomainsBot , che si occupava di vendere liste di domini liberi precedentemente già registrati, viene rilevata nel 1999 da due diciottenni, che decidono di unirsi a FairSoft Phatsoft, una software house romana indipendente, costituita da poco da altri tre ragazzi. In cinque danno vita ad un software innovativo per suggerire nomi di domini liberi (semanticamente il più coerenti possibile) a chi richiede la registrazione di un dominio ma trova che è già stato registrato. La soluzione vince la prova del mercato fino ad arrivare a collaborare con GoDaddy e Google .

Loro si definiscono Fornitori di valore aggiunto per società che lavorano nel campo dei domini, avendo come riferimento principale grossi registrar del mercato americano e sono l’esempio forte di una società tutta italiana che riesce ad entrare in un mercato globale altamente competitivo. e quasi tutto statunitense. e ad imporsi come standard presso i più grandi player.

A raccontarlo a Punto Informatico è Luca Martinetti, CTO di DomainsBot.

Punto Informatico: Quando vi siete resi conto che stavate facendo qualcosa di innovativo?
Luca Martinetti: Ce ne siamo resi conto dal fatto che, da quando me lo ricordi io, siamo stati copiati almeno due volte. Addirittura due anni fa, quando eravamo ancora in cinque (ora sono sette, ndr), abbiamo avuto una visita di alcuni membri di una grande compagnia americana del settore, di cui intenzionalmente non faccio il nome, che in tre giorni ci hanno copiato l’idea e l’anno dopo hanno lanciato un prodotto “molto” simile al nostro. Al momento, per fortuna,
abbiamo ancora la maggioranza di quote di mercato, ma per me quello è stato il segnale più grande che aveva senso continuare a fare ciò che stavamo facendo. Se addirittura un’enorme compagnia quotata tra le prime 100 sul Nasdaq manda 3 persone a farci visita nel nostro ufficio di Roma per copiare l’idea e poi uscire con una soluzione simile alla nostra….

PI: Quindi vi hanno truffato?
LM: Beh truffati… È la tipica situazione di quando il governo ti viene a cercare, che non è mai una cosa buona! Sono venuti dicendo che erano interessati e facendo il tipico discorso di make or buy, ma poi devono aver deciso che, data la nostra situazione, per loro era più economico riscrivere un prodotto antagonista piuttosto che comprarci. Più che truffati ci sentiamo divertiti dal fatto che, nonostante tutto, siamo avanti a tutti. È bello essere Davide contro Golia e ricevere i complimenti da tutti (Golia incluso!).

PI: Qual è stata la logica dietro la creazione del vostro software per la generazione di alternative semanticamente valide?
LM: Prima di tutto volevamo un sistema che comprendesse le parole che compongono un dominio e poi abbiamo applicato una serie di logiche statistiche dal punto di vista dei campi semantici, realizzando aree di sinonimia dei termini e un sistema abbastanza più complesso di parole correlate per realizzare alternative rilevanti. Così ci siamo immessi nel mercato e rispetto alla concorrenza abbiamo innovato molto, introducendo per primi diversi tipi di migliorie a livello globale.

PI: Tutto questo con quale formazione l’avete raggiunto?
LM: Ecco… Noi tecnici abbiamo cominciato la formazione universitaria, due di noi a fisica ed uno ad ingegneria, poi le cose sono andate così velocemente che non abbiamo potuto continuare. Dal punto di vista professionale quindi siamo tutti autodidatti che passano molto tempo su internet, sui forum e sui libroni da nerd.

PI: Ora una delle collaborazioni più importanti che avete è con GoDaddy, il primo registrar al mondo, come ci siete arrivati?
LM: A GoDaddy ci siamo arrivati per gradi. Il primo contatto che abbiamo avuto è stato con la canadese Tucows che comunque è uno dei primi 5 registrar al mondo. Lì ci siamo arrivati grazie ad Anthony Vancouvering, un membro autorevole dell’Icann (ora nostro socio), che abbiamo conosciuto ad un Icann Meeting (le conferenze che si tengono ogni 6 mesi in una parte diversa del mondo, ndr).

PI: Con chi avete parlato? Vi siete sentiti per email, telefono, video conferenza?
LM: In genere i nostri contatti partono nelle conferenze, poi segue il follow up telefonico il giorno dopo, gli scambi di mail e l’intesa economica. Fatto quello, entro in gioco io perchè contatto i tecnici dell’altra società e ci continuiamo a scrivere finché la nostra soluzione non combacia con la loro.

PI: E ora che tipo di contatti avete?
LM: Abbiamo collaborato praticamente con tutte le grandi società del settore (oltre a Tucows e GoDaddy anche Enom, Registrar.com etc..) e oggi scambiamo anche 5-10 mail al giorno con i nostri clienti. Ci sentiamo via telefono e soprattutto tramite instant messenger o in videoconferenza tramite Skype.

PI: Poi ora c’è anche Google…
LM: Si perché Google ha fatto un deal con i primi due registrar americani per vendere domini tramite il suo Google Apps For Domains e quindi portandosi dietro l’infrastruttura di questi registrar ha preso anche il nostro servizio che ora è erogato dalle loro pagine. Praticamente non abbiamo dovuto fare nulla!
PI: Secondo te perché il primo registrar al mondo ha voluto proprio il vostro software?
LM: Per due motivi. Primo perché credo avesse problemi con i competitor che c’erano prima del nostro ingresso, per una serie di faccende a noi estranee. E poi perché quando cercavano servizi a valore aggiunto noi eravamo quelli tecnologicamente più avanzati. L’anno scorso siamo stati raggiunti dalla concorrenza e, ora che abbiamo rilasciato la seconda versione, secondo me siamo di nuovo i primi del settore.

PI: Come pensate di star davanti alla concorrenza?
LM: Il nostro vantaggio è che investiamo molto in progetti creativi e ci gestiamo in maniera molto collegiale. Prendiamo tutte le decisioni democraticamente, dal livello minimo di comprensibilità tecnica fino al marketing. Perché tutti quelli che lavorano in DomainsBot fanno parte del board of director, cioè la direzione. Lavoriamo in maniera molto cooperativa, ognuno è libero di gestire il proprio tempo. Così sono nati la maggior parte dei nostri prodotti. Ed è questo che più mi piace di quello che facciamo, il fatto che non sono un programmatore in batteria, ma gestisco i miei progetti senza grande formalizzazione. Puoi fare quello che ti piace all’interno di un progetto condiviso, insomma con libertà di movimento.

PI: In più ci sono i costi ridotti di una struttura piccola rispetto a quelle più grandi
LM: Molti player americani non hanno paura di quanto pagheranno, perché per questo c’è l’India. Vogliono più che altro soluzioni gestite da qualcun’altro che gli diano l’idea di innovazione, di aver scovato una perla da qualche parte e di aver così acquisito un piccolo vantaggio sugli altri. Ma spesso all’inizio non si fidano e vogliono che ti dimostri affidabile.
Dal punto di vista legale vogliono contratti (SLA) che gli diano la possibilità di pagar poco le nostre sviste tecniche. Così si tutelano. Una volta che nei primi mesi gli dimostriamo serietà, poi da una cosa piccola ne nasce una più grossa. Con GoDaddy abbiamo fatto 6 mesi di testing su una pagina secondaria e poi siamo passati sulla loro pagina principale che ha un traffico decisamente maggiore. Credo che ora siano il 50esimo sito al mondo per traffico.

PI: Adesso quanto vi frutta la sola collaborazione con GoDaddy?
LM: Il nostro pricing model è per richiesta, più richieste vengono fatte al nostro engine semantico (quello che cerca le alternative) più il cliente paga. Genericamente ha delle fasce di traffico facendo previsioni sui possibili visitatori e ci si mette daccordo sui prezzi. Succede che prendiamo circa 6 dollari CPM cioè ogni mille richieste. Poi ogni cliente ha il suo prezzo. Da quando è arrivato Google abbiamo aumentato il traffico del 20%.

PI: E ora su cosa vi volete buttare?
LM: Il mercato cerca di creare domini con valore commerciale integrando logiche di PPC (Pay-Per-Click) con gli AdWords, la parte degli AdSense per chi pubblica. Cioè trovi delle keyword che pensi possano avere valore per il tuo business, ci punti sopra, ci scommetti un po’ di soldi per click e poi paghi il traffico che ricevi, cioè il traffico pagato a Google. Esistono molti servizi collaterali per questo, gente che cerca di ottimizzare il traffico che riceve trovando le parole giuste che portino ad un sito il traffico giusto e che siano di valore per singolo click e che infine non abbiano concorrenza.
Questo ci interessa perché è vicino a ciò che già facciamo e poi in generale l’advertising su internet è dove il mercato sta andando. Per la nostra nicchia poi è un’area di interesse perché esistono moltissime pagine di pubblicità, cioè persone che comprano un dominio non lo sviluppano come un sito web ma lo parcheggiano presso dei servizi che danno advertising sulle loro pagine.
Noi in sostanza cerchiamo di massimizzare il ritorno d’investimento del singolo dominio con l’advertising, mischiandolo a contenuti in modo innovativo. Vogliamo portare added value in questo mercato del parking. Più di questo non posso dire adesso.

PI: E chi intendete contattare che possa essere interessato a questo?
LM: Stiamo lavorando ad accordi con un gruppi europei abbastanza importanti ed una società di parking, che prende domini già registrati e li rivende.

a cura di Gabriele Niola

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Pubblicato il 21 feb 2007
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