Cassazione: un software uguale ad un altro è originale

Cassazione: un software uguale ad un altro è originale

di A. D'Agostini (Consulentelegaleinformatico.it) - Fa discutere una sentenza secondo cui copiare un software e cambiarne una virgola significa creare un'opera protetta ex novo dalla legge sul diritto d'autore come originale. Il caso
di A. D'Agostini (Consulentelegaleinformatico.it) - Fa discutere una sentenza secondo cui copiare un software e cambiarne una virgola significa creare un'opera protetta ex novo dalla legge sul diritto d'autore come originale. Il caso

Con la recente sentenza del 12 gennaio 2007 n. 581, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha precisato il concetto di originalità del software .

Vediamo nei fatti su cosa è stata chiamata a pronunciarsi la Corte. La società Alfa domandava al giudice adito il riconoscimento della nullità del contratto (stipulato con la società Beta) che disciplinava la concessione in uso di un software (licenza d’uso) destinato alla gestione dell’automazione industriale nel settore petrolchimico. Secondo la società Alfa il software dato in uso non era originale come garantito dalla società Beta durante la fase di contrattazione; di conseguenza secondo la società Alfa la propria volontà contrattuale era stata viziata dall’origine, e quindi il contratto doveva essere dichiarato nullo. Inoltre, la società Alfa lamentava la concessione del medesimo programma da parte di Beta ad un cliente terzo, concorrente della stessa Alfa. In primo e secondo grado, le domande della società Alfa non venivano accolte. La società Alfa presentava, dunque, ricorso in Cassazione.
Il Supremo collegio andava a confermare quanto stabilito dalla Corte D’Appello, in particolare fondando la decisione sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio richiesta in tale sede.

Secondo la suddetta consulenza tecnica, il software oggetto della controversia aveva comunque delle caratteristiche di originalità rispetto ad un’architettura già conosciuta e presente in altri programmi (anche riguardanti gli stessi processi di automazione e lo stesso settore economico di applicazione).
In completa sintonia con quanto detto dal Giudice di Secondo Grado, la Cassazione chiariva quindi che: “La creatività e l’originalità sussistono anche qualora l’opera sia composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa purché formulate in modo personale e autonomo rispetto alle precedenti. La consistenza di tale autonomo apporto forma oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto.”

Cosa ha inteso dunque asserire la Cassazione con la suddetta affermazione? Secondo la Suprema Corte basta un minimo apporto creativo basato anche su conoscenze di programmi già in circolazione per ritenere che un software sia un’opera creativa dell’ingegno protetta dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore).

In sostanza, pare di capire che, se Tizio è un professionista informatico, tale professionalità per forza di cose dovrà essere stata raggiunta conoscendo determinate nozioni, tra cui anche la conoscenza di altri programmi (“comprese nel patrimonio individuale”): ebbene il riutilizzo di tali nozioni “formative” per l’esperto possono essere rimpiegate in toto per la creazione di un programma di fatto uguale, a patto che residui un qualcosa diverso e nuovo che non comporti esatta riproduzione del programma originario.

La questione non è di poco conto: in pratica prendo un programma, ne cambio una “virgola” ed ecco il prodotto nuovo!

Dalla pronuncia ne consegue inoltre che se è vero che idee e principi che formano la base di un’opera creativa sono liberi e quindi utilizzabili da chiunque, non è altrettanto vero che tutta una sequenza di “frasi” incastonate in codice sorgente possa far parte di tali idee e principi.

Quello che più lascia perplessi è che nella consulenza tecnica si legge addirittura che i due software erano pressoché identici, cioè presentavano la medesima architettura: “Tutti i prodotti software che risolvono la stessa esigenza applicativa presentano un’architettura di base che è comune alla maggior parte dei sistemi di controllo dei processi industriali, ma ciò non impedisce di individuare la specificità di un singolo prodotto, in quanto l’innovazione risiede nella capacità di adattare l’architettura applicativa al caso ed all’ambiente tecnologico specifico”.

Quindi secondo la Cassazione se un programma, che già di per sé è costruito per determinate operazioni, viene “copiato” ma successivamente viene applicata una variante di tali operazioni o a un ambiente tecnologico specifico, il software è comunque un’opera dell’ingegno diversa da quella originale (copiata!!!!) e per di più sarà certamente un software a sua volta protetto dalla Legge sul diritto d’autore.

La Corte non ha risparmiato considerazioni nemmeno sul manuale d’uso: secondo il Supremo Collegio, l’indagine sull’originalità del programma non può riguardare il manuale tecnico perché: “Non ha rilevanza nei due casi l’identità della documentazione operativa annessa al programma: giacché questo, e non quella, costituisce la parte caratteristica dell’opera concessa in uso”.

In tutta sincerità si fa un po’ fatica a comprendere tale presa di posizione: la documentazione, ormai è pacifico, è elemento necessario per individuare il software, le sue caratteristiche, le sue funzionalità, la sua grandezza (per citarne alcune); se viene estromesso dall’indagine il materiale inerente all’utilizzo del programma, allora con il minimo sforzo si possono davvero immettere sul mercato prodotti del tutto identici, persino nella descrizione manualistica, ma che per lo scopo o le finalità non contrastano né con le regole della concorrenza (concorrenza sleale), né con la normativa penale posta a tutela del software (art. 171 bis, Legge sul diritto d’autore).

Non solo: tali software – e qui si manifesta l’incomprensibile – sarebbero protetti a loro volta dalla legge sul diritto d’autore .

La clamorosa decisione appare alquanto anomala anche nel disconoscimento palese della qualifica di opera derivata del “nuovo” software rispetto all’originale in quanto ciò, a parere della Cassazione, rientra nelle “conoscenze” o patrimonio intellettuale, che dir si voglia, del programmatore.

E se da un lato parte del concetto può essere condivisibile (i linguaggi di programmazione al pari delle lingue parlate appartengono a tutti), appare anomalo non tutelare una sequenza di “frasi” che compongono un programma per elaboratore e che risultano identiche a quelle di un sedicente “altro” programma . La stessa legge del diritto d’autore proprio a proposito di “frasi”, tutela dalla copia indebita l’opera letteraria anche quando presenta una parola differente rispetto a quella utilizzata nel periodo originario: perché il concetto dovrebbe essere diverso per il software?
Ancora una pronuncia che lascia aperti non pochi interrogativi.

dott. Andrea D’Agostini
consulentelegaleinformatico.it

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Pubblicato il 26 feb 2007
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