Puntodivista/ Università italiana, intervista al Ministro Di Pietro

Puntodivista/ Università italiana, intervista al Ministro Di Pietro

Il ministro delle infrastrutture parla dello stato dell'informatizzazione nel nostro paese e in particolare nell'università. E i baroni negli atenei sono un problema vero - a cura di Luca Spinelli
Il ministro delle infrastrutture parla dello stato dell'informatizzazione nel nostro paese e in particolare nell'università. E i baroni negli atenei sono un problema vero - a cura di Luca Spinelli

La notizia dell’introduzione del Voip presso gli uffici del Ministero è una buona occasione per fare due chiacchiere col Ministro Di Pietro sullo stato dell’informatizzazione in Italia e nella nostra Università. Il suo blog personale è uno dei casi nazionali più noti di comunicazione online tra politico e cittadino, con una media di 400 commenti ad ogni messaggio pubblicato. Il Ministro è stato anche protagonista di particolari iniziative come l’utilizzo di YouTube per la divulgazione di alcuni video , ed è stato membro di commissioni ministeriali per la riorganizzazione informatica nella pubblica amministrazione, oltre che docente universitario.

Punto Informatico: Ministro Di Pietro, recentemente è tornata alla ribalta l’annosa questione della fuga dei cervelli dall’Italia. Onestamente la situazione non sembra delle più rosee nonostante le recenti affermazioni del Governo e il piano per incentivare il rientro dei dottori italiani. Come vive oggi un ricercatore in Italia?
Antonio Di Pietro: Posso rispondere soltanto per esperienza indiretta, visto che ricevo moltissime email di ricercatori che con me si sfogano. Penso che la situazione sia abbastanza grave per un Paese della nostra importanza: ci sono giovani costretti a fare ricerca con pochissimo denaro e con strutture indegne di un Paese civile; costretti anche a fare da figuranti – diciamo – rispetto ai loro superiori che spesso e volentieri abusano della propria posizione più blasonata e prestigiosa.
Certo, quando si assiste alla fuga di un cervello come Carlo Rubbia si ha la sensazione che non sia più un fatto che riguarda i soli “giovani ricercatori”, ma una sorta di malattia del sistema: una malattia che dobbiamo affrontare di petto.

PI: Una malattia che probabilmente scaturisce dalla mancanza di fondi e anche dalla difficile situazione informatica. Per quanto la sua esperienza le può suggerire, qual è lo stato dell’informatizzazione nell’Università italiana? La diffusione dei mezzi, la capacità d’uso nel corpo docente…
ADP: Per quanto riguarda la capacità d’utilizzo non saprei proprio, posso ipotizzare e pensare che i ragazzi utilizzino i mezzi informatici più dei professori, ma voglio anche credere che ci siano sostanziali eccezioni.
Per ciò che concerne la diffusione si può sicuramente fare di più, anzi: si deve fare di più. Penso, purtroppo, anche a tante realtà universitarie del sud Italia.

PI: L’ annuale classifica dell’Università Jiao Tong di Shanghai dipinge un’Università italiana poco competitiva sullo scenario internazionale, con solo La Sapienza di Roma tra i primi cento atenei. Quali sono secondo lei le prospettive a breve e lungo termine?
ADP: Beh, molto dipenderà dalla direzione che questo governo riuscirà a dare ad un settore strategico come quello dell’Università. Anche in questo caso sono abbastanza fiducioso, poiché credo che ci sia l’intenzione, da parte di tutta la maggioranza, di dare una bella scossa al sistema nel suo complesso. A mio parere non si può prescindere dall’informatizzazione generalizzata, dai corsi di aggiornamento per i docenti, e non si può prescindere dall’affrontare quel cancro tutto italiano che è il sistema delle baronie. Anche su questo i giovani elettori si aspettano un segnale da noi, e credo che non dovremo tardare a darlo.

PI: A proposito dei giovani italiani. Tra le nuove leve vede una buona familiarità coi mezzi informatici oppure pensa sia ancora viva una certa arretratezza?
ADP: No, arretratezza non direi. Su questo punto sono più fiducioso: intorno a me vedo molta più dimestichezza che in anni passati, e rispetto a generazioni precedenti.
Penso a mio figlio adolescente, col quale spesso chatto la sera e che mi istruisce sulle ultime novità informatiche. Sono svegli e curiosi, oltre che abili, i giovani italiani.

PI: Allarghiamo un po’ il campo d’analisi. Una recente ricerca della rivista Login dal titolo L’italia che non sa usare il computer descrive un paese anziano, poco incline all’uso del computer e poco capace di fruire di Internet. Alcune teorie, inoltre, prevedono un costante invecchiamento della popolazione che potrebbe in futuro gravare sulla competitività anche tecnologica del paese. Si tratta di una visione pessimistica oppure è il reale stato delle cose? Nel caso, quale strada si deve intraprendere per ovviare a questi problemi?
ADP: Francamente mi sembra un’esagerazione: capisco i problemi oggettivi, capisco l’indubbia arretratezza nell’utilizzo di Internet del nostro Paese rispetto agli standard europei, ma delineare uno scenario che ci tagli fuori dalla competitività perché non si fanno figli mi sembra discutibile. E poi non è vero che non si fanno figli: recentemente, se non erro, il tasso di natalità si era rialzato. Non dimentichiamoci poi che le nuove generazioni saranno composte anche dai figli degli immigrati, che diventeranno a pieno diritto degli italiani, e che, a quanto risulta, sono particolarmente attratti dalle nuove tecnologie.

a cura di Luca Spinelli
Luca Spinelli

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Pubblicato il 28 feb 2007
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