RIAA: pagate con un clic, non vi denunceremo

RIAA: pagate con un clic, non vi denunceremo

A che serve un tribunale quando puoi costringere chi denunci a versarti quanto chiedi via Internet? In fondo è una buona azione, mica tutti possono permettersi una lunga e costosa causa
A che serve un tribunale quando puoi costringere chi denunci a versarti quanto chiedi via Internet? In fondo è una buona azione, mica tutti possono permettersi una lunga e costosa causa

New York – Dopo i toni minacciosi delle 15mila denunce inviate a mezzo mondo universitario americano, l’ultima iniziativa della potente e ben foraggiata rappresentanza dei discografici americani veste i toni della moderazione, invitando questa volta istituti e studenti a definire online le pendenze prima ancora che approdino in tribunale.

Le nuove notifiche, distribuite con un lotto iniziale di 400 lettere inviate questo mercoledì a 13 diversi atenei, incoraggiano gli istituti a fornirne una copia agli intestatari degli IP a cui RIAA ascrive comportamenti abusivi sui network del peer-to-peer. A questi ultimi viene ora data l’opportunità di chiudere il caso prima ancora che si concretizzi nell’ennesima, dispendiosa causa legale in tribunale.

A chi decidesse di venire a patti con RIAA è dedicato il nuovo servizio su P2P Lawsuits – sito gestito dall’associazione e stranoto perché in passato diffondeva software di condivisione ripieno di spyware e tool di monitoraggio: ora permette agli interessati di pagare una cifra forfetaria , scontata rispetto ai danni che, se il tutto finisse in tribunale, verrebbero richiesti dai legali RIAA.

Le major sostengono di voler venire incontro alle richieste di quegli utenti desiderosi di chiudere i conti con l’associazione in privato, senza dover passare necessariamente per i tribunali e far divenire la cosa di dominio pubblico: di certo con una mossa del genere l’associazione ha l’opportunità di bypassare le lungaggini dello stato di diritto , l’ostracismo del mondo universitario e soprattutto di far cassa.

Ma l’iniziativa sembra venir condotta con circospezione: Sally Linder, portavoce della Ohio University , rivela a Wired News di aver ricevuto una prima lettera introduttiva, priva però dell’indicazione degli indirizzi IP dei 50 studenti sospettati di condivisione illegittima. La lista verrebbe insomma comunicata con un secondo documento, per permettere con ogni probabilità a RIAA di testare il clima e registrare eventuali contraccolpi prima di consegnare la “colonna infame” dei condivisori.

Linder, ad ogni modo, usa toni poco accomodanti con le pretese di RIAA : “I legali passeranno in rassegna questa nuova richiesta – sostiene la portavoce – e stabiliranno la risposta più appropriata nel rispetto della legge e delle regolamentazioni universitarie”. Linder dice che il caso fa entrare in gioco due leggi diverse: il Family Education Rights and Privacy Act, che protegge la privacy dei dati degli studenti, e il DMCA per la difesa del copyright, a cui l’università si conforma in pieno.

“Noi all’Università non condoniamo il download e la condivisione illegali, ed abbiano regolamentazioni chiare sulle risorse computazionali” chiosa Sally Linder. RIAA, costretta a combattere un fronte sempre più esteso di attivisti e controcause alla sua crociata legale, vorrebbe rivalersi sui downloader mostrandosi magnanima e accomodante. Ma le istituzioni nel mirino delle sue iniziative non paiono particolarmente inclini a fare a meno del filtro della legge nel difendere gli interessi propri e quelli degli studenti.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
2 mar 2007
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