Il WiFi provoca N.A.S.?

Il WiFi provoca N.A.S.?

di Michele Favara Pedarsi - C'è allarmismo sull'elettrosmog? Chi vede nel WiFi o nel WiMax un nuovo rischio ambientale? Quali gli interessi che smuovono montagne e impiantano antenne? La Salute nell'era del Wireless
di Michele Favara Pedarsi - C'è allarmismo sull'elettrosmog? Chi vede nel WiFi o nel WiMax un nuovo rischio ambientale? Quali gli interessi che smuovono montagne e impiantano antenne? La Salute nell'era del Wireless

Roma – Nei giorni passati la stampa mainstream – ma non i blog – ha dato risalto alla notizia che alcuni inglesi – e la stessa cantilena si era già levata anche in USA – sono preoccupati per i danni alla salute che le reti WiFi potrebbero causare nelle scuole; articoli che ancora una volta sembrano urlare: “dio mio i bambini, salvate i bambini!”. E allora io mi sono attivato spolverando alcuni conti che avevo fatto l’anno scorso ; ma non per salvare i bambini, piuttosto per salvare noi e quindi il mondo che circonda i bambini: i bambini sono sempre strumenti perfetti per manipolare l’opinione pubblica e chi ne fa questo uso, come l’ Indipendent che ha lanciato l’allarme WiFi, dovrebbe essere punito alla stregua di un pedofilo, perché anche se non esercita una violenza sui bambini, alterando la percezione di noi adulti, violenta il mondo che gli costruiamo intorno mentre loro diventano grandi.

Le onde elettromagnetiche fanno male : è vero. Intuitivamente lo sappiamo tutti, ce ne rendiamo conto ogni volta che un pollo dentro al microonde da crudo diventa cotto. Quello che però non sappiamo né noi né gli scienziati, è quanto effettivamente le onde elettromagnetiche facciano male. O meglio, conosciamo i rischi deterministici a breve termine – es: cataratte oculari, ustioni della pelle, riduzione dei globuli bianchi, sterilità – ma non sappiamo determinare accuratamente una soglia garante del fatto che tra 30 anni non incorreremo in rischi stocastici – es: disturbi neuroendocrini, comportamentali, cancerogenesi – causati dall’esposizione prolungata a campi elettromagnetici di piccole entità che non danno risultati negativi immediati e quindi oggi considerati innocui.

E in questa situazione indeterminata dove l’elettromagnetismo è fondamentale per la società e quindi ineliminabile, dovendo comunque decidere tra l’innocuo e il letale il legislatore si è ispirato ad un Principio di Precauzione generale che grossomodo suona così: meno energia elettromagnetica assorbiamo, meno avremo effetti biologici (variazioni morfologiche o funzionali a livello supermolecolare), meno effetti sanitari (malattia) dovremo quindi subire. Semplice, intuitivo, salomonico. E all’interno di questa ottica ha definito più di una soglia: massimi consentiti, valori di cautela, obiettivi di qualità, e tanti altri cavilli dettati dalla necessità oggettiva di limitare le emissioni elettromagnetiche pur non conoscendone la giusta misura.

L’unità di misura utilizzata nella normativa è il volt per metro . Cosa sono questi volt per metro? Semplificando: è uno dei modi possibili per misurare la quantità di energia – quantità di campo elettrico – presente su una superficie posta ad una certa distanza da una antenna; questa quantità di energia è direttamente proporzionale alla potenza (W) di un’onda; quindi a potenze via via più elevate, e ovviamente a parità di condizioni a contorno (distanza tra antenna e strumento di misura, natura dei materiali incontrati dall’onda, etc), rileveremo V/m sempre più elevati.

In realtà questa misura della nocività del solo campo elettrico è estremamente grossolana perché, ad esempio, non tiene conto che con l’aumentare della frequenza (Hz) anche il campo magnetico produce correnti indotte più intense, che la capacità di assorbimento dei tessuti grossomodo aumenta, che nel meccanismo di conduzione delle correnti non viene coinvolto solo il tessuto extracellulare ma l’intera cellula, o ancora che ogni parte del corpo umano ha un SAR – tasso di assorbimento specifico, espresso in W/Kg – che rende gli organi più o meno riscaldabili in funzione della frequenza: ad esempio il cranio presenta una frequenza di risonanza di 350MHz, il collo di 200Mhz, ma se volessimo cuocere un uomo intero come fosse una fiorentina – scottata fuori, rigorosamente al sangue dentro – a parità di potenza forse avremmo risultati migliori a 70Mhz. Perché in Parlamento non usano una unità di misura più cogente mi è tutt’ora incomprensibile: gli piacciamo scottati fuori e al sangue dentro? Oppure non c’è reale volontà di normare l’impatto ambientale degli operatori commerciali dei settori radiotelevisivo e tlc?
La quantità massima di energia consentita tra i 3 e i 3000Mhz – le frequenze su cui operano radio, televisione, cellulari, ricetrasmettitori degli agenti di pubblica sicurezza, il WiFi, etc – è di 6 V/m per permanenze superiori a 4 ore al giorno, e di 20 V/m per permanenze inferiori a 4 ore al giorno.

Osservando una delle tante tabelle che si trovano in rete – vi segnalo questa – possiamo facilmente renderci conto che la nostra normativa è più rigida di quella di molte altre nazioni. Tuttavia la comunità scientifica mondiale da qualche decennio consiglia di passare a soglie più basse (tra lo 0,2 e lo 0,6 V/m); così come alcuni ultras dell’ecologia – i nostri Verdi e alcune associazioni ambientaliste – vorrebbero limiti ancora più bassi (0,02 V/m) come ad esempio normato in alcune amministrazioni australiane; per completezza segnalo anche che il valore massimo del campo elettromagnetico naturale, quello cioè che provoca effetti biologici (non sanitari) fisiologici, è 0,0061 V/m.

Personalmente, pur non potendo né rinunciare alle telecomunicazioni radio né indicare la soglia che vorrei per me e i miei figli, ritengo che il Principio di Precauzione sia estremamente valido e quindi vada onorato cercando di minimizzare le emissioni elettromagnetiche artificiali ogni qual volta intravediamo un modo per farlo. Dal mio punto di vista dunque, le soglie devono essere adeguate non solo quando nuovi studi provano inequivocabilmente che 6 V/m possono provocare malattie, ma anche quando nuove tecnologie meno inquinanti permettono di fare a meno delle vecchie tecnologie da 6-20 V/m mantenendo però al contempo – o, ancora meglio, aumentando – la mia capacità trasmissiva.

Per contestualizzare il WiFi è utile confrontarlo ai cellulari; e in questa ottica dobbiamo prima di tutto fare un distinguo tra stazioni radio base – i ripetitori – a cui si applicano quelle soglie, e i terminali – i nostri cellulari – a cui quelle soglie, per strane alchimie del diritto, non si applicano.
Questo in teoria, perché un ripetitore essendo fisso nello spazio e trasmettendo con costanza, irraggia costantemente l’ambiente circostante; i cellulari invece irraggiano limitatamente al tempo in cui si è in conversazione. Ma un moderno cellulare UMTS crea al centro del cranio un campo di circa 60 V/m: va ben oltre la soglia dei 20 V/m prevista per le permanenze inferiori alle 4 ore al giorno! Guarda caso i produttori di cellulari, parlando della salute degli utilizzatori, raccomandano sui manuali dei loro prodotti di usare il cellulare tenendolo a 1 metro di distanza (dove cioè sviluppa 6 V/m): sembrano cioè essere più cauti loro di quanto non lo sia il legislatore italiano con il suo principio di precauzione.

Il WiFi, per lo meno nella sua variante più diffusa, opera a frequenze analoghe a quelle dei telefoni cellulari quindi il livello di pericolosità dipendente dalla sola frequenza è analogo; ma impiega potenze nettamente inferiori ai cellulari! Se infatti un ponte radio cellulare di una cella di medie dimensioni, le più diffuse dopo 2 decenni di sviluppo della rete cellulare, impiega decine di watt – ma le macrocelle che coprono territori più ampi arrivano anche a 10.000 Watt, 10 milioni di mW – e un cellulare UMTS impiega 1 watt – 1000 mW, i vecchi GSM arrivavano invece al doppio di un moderno terminale UMTS – gli apparati WiFi tutti non possono impiegare più di 40-60 mW senza superare il limite di legge fissato in tutta Europa a 100mW EIRP (potenza del trasmettitore moltiplicata dall’antenna e misurata a 1 metro da questa). È quindi chiaro che dal punto di vista quantitativo un apparato WiFi inquina meno di un cellulare : un apparato WiFi genera al massimo 1,7 V/m, contro i 6 V/m di un cellulare moderno; sempre ad un metro dall’antenna.

L’idea cioè che il WiFi ci possa far stramazzare a terra con attacchi epilettici causati da una qualche sindrome da attenuazione nervosa – N.A.S., popolarmente detta “black shakes” – è pura fantascienza cyberpunk. Mi sembra dunque importante rilevare come, se proprio vogliamo finalmente preoccuparci dell’elettrosmog, dobbiamo eliminare in fretta i cellulari GSM e loro evoluzioni (UMTS, HSDPA, etc) per sostituirli con il WiFi, il WiMax e quant’altro inquini di meno del GSM.
Ragionando sempre in termini di elettrosmog e relativa pericolosità sulla salute, ci sono dei risultati empirici che sollevano sempre più dubbi: perché le leucemie infantili, l’eletrosensibilità che fa bruciare la pelle e i disturbi all’apparato immunitario aumentano proprio nelle zone a ridosso dei ripetitori radio?

Dando uno sguardo all’architettura scopriamo che nella filosofia progettuale standard i ponti radio, indipendentemente dalla tecnologia radio usata, possono solo aumentare: quando il traffico cresce e occorre quindi più capacità trasmissiva, la tecnologia prevede un frazionamento della cella esagonale satura in un numero adeguato di celle esagonali più piccole (microcelle), ognuna servita da nuovi trasmettitori sparsi su quello stesso territorio che prima era servito dalla macrocella ; questi, dovendo coprire distanze inferiori, opereranno a potenze più basse. Ragionando dunque nell’ottica di minimizzare l’impatto sulla salute, e considerando in questo caso i soli attributi architetturali di una rete wireless geografica, l’optimum sarebbe che ci fosse un trasmettitore a bassissima potenza sul tetto di ogni abitazione celle puntiformi – in modo da non concentrare alti contenuti energetici nelle zone dove vengono oggi posizionati i ripetitori radio; in questo modo, spalmando l’energia omogeneamente sul territorio, in nessun punto di questo ci sarebbero livelli energetici tali da superare le capacità di termoregolazione degli esseri viventi.

Questo ad esempio eviterebbe i casi come quello di una scuola romana dove, una volta misurate le radiazioni generate dai vicini ripetitori, si è pensato bene di spostare su base oraria i ragazzi per non esporli troppo alle radiazioni che eccedevano i limiti di legge. Non potendomi soffermare ulteriormente invito i lettori ad approfondire questa storia e spiegarmi per quale motivo i bambini dovevano essere rosolati quotidianamente a fuoco lento, spostati di tanto in tanto per non essere bruciati, ma gli operatori – forse dei comunisti raffinati: mangia bambini solo se cotti – non potevano spostare i ripetitori.

Tornando al problema del WiFi nelle scuole: se dentro ad una scuola, ma anche fuori, sostituissimo i cellulari dei ragazzi – ma anche le radio, le televisioni e tante altre tecnologie obsolete – con terminali WiFi o WiMax che costituissero, insieme agli apparati fissi e senza ripetitori, una sola rete, doneremmo loro (e a noi) degli ambienti certamente più salutari.

Dunque, anche ragionando dal punto di vista della salute, il wireless dovrebbe essere: wifi/wimax (non GSM/UMTS/HSDPA/DTT/etc), a maglia (ie: non centralizzato, celle puntiformi o picocelle), e confluire in una unica rete strutturale – per evitare di mettere più trasmettitori, come ad esempio suggerisce il Partito Pirata – di cui gli utilizzatori si dividono la capacità trasmissiva.

Requisito fondamentale per procedere nella direzione più salutare? L’Open Spectrum – Wireless Commons – e andando nel concreto, la petizione di Andrea Rodriguez sul sito wimaxlibero.org . Contribuite con le firme e parlandone sui vostri blog, perché politici, industria TLC e media mainstream – spesso emanazioni finanziarie della politica e della filiera TLC – non hanno premura alcuna per la vostra salute, mentre le case farmaceutiche si sfregano le mani e qualche giornalista ignorante abusa dei bambini.

Eureka, stavo per dimenticare di spiegare il titolo dell’articolo a chi non conosce il cyberpunk: indovinate cosa causava la N.A.S. in Johnny Mnemonic? Il degrado sociale, responsabili i politici e una casa farmaceutica che si serviva della mafia per nascondere le cure e continuare così a vendere i propri farmaci esclusivamente lenitivi, aveva portato ad un eccessivo livello di inquinamento elettromagnetico che stava decimando la popolazione. Sapere aude gente e la coda lunga, se voi volete essere cittadini , imperat.

Michele Favara Pedarsi

I precedenti interventi di MFP sono disponibili a questo indirizzo

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
11 mag 2007
Link copiato negli appunti