Il grande filtro allunga i suoi tentacoli

Il grande filtro allunga i suoi tentacoli

Chi pensava che alle censure in rete facessero ricorso solo una manciata di paesi e governi dovrà ricredersi. Il flusso libero dell'informazione online spaventa mezzo mondo
Chi pensava che alle censure in rete facessero ricorso solo una manciata di paesi e governi dovrà ricredersi. Il flusso libero dell'informazione online spaventa mezzo mondo

I nemici di Internet ? Sono tanti e sono governi che spesso ricorrono a tool di filtraggio contro YouTube, BBC e un gran numero di risorse telematiche sgradite al potere costituito, un fenomeno che ha raggiunto dimensioni sostanzialmente globali .

Questo è quanto si evince da uno studio condotto da quattro università, grazie al quale si è potuto per la prima volta tracciare una mappa di chi blocca cosa sul network telematico globale.

La censura di Internet nel mondo è cresciuta in maniera vistosa negli ultimi cinque anni , diffondendosi da paesi come Iran, Cina e Arabia Saudita, ad un insieme di almeno 26 diversi regimi, sempre più abili e propensi ad utilizzare filtri per bloccare certi contenuti.

Il fenomeno è in aumento poiché “una volta che gli strumenti di blocco sono al loro posto, le autorità si rendono conto del fatto che Internet in effetti può essere controllata” a loro totale piacimento, denuncia Ron Deibert, professore associato dell’Università di Toronto, uno degli atenei che ha partecipato allo studio.

Piuttosto che limitarsi a bloccare singoli siti, i controllori discreti ma implacabili si concentrano su applicativi web quali YouTube, Skype o Google Maps . Senza ovviamente dimenticare il blocco dei siti politicamente critici verso il potere nei momenti caldi delle elezioni. Con le dovute differenze territoriali: se paesi come Cina, Iran e Siria adottano un approccio definito “di manica larga”, la Tunisia si focalizza sui temi dei diritti umani, dell’opposizione politica al governo, della pornografia e delle tecnologie “anonimizzatrici” come TOR e altre PET .

Ci sono poi il Vietnam e l’Uzbekistan, che si occupano con particolare attenzione dei contenuti locali, ignorando quasi del tutto le fonti internazionali, al contrario dei paesi del Medioriente, come l’Iran, che inibisce l’accesso al sito della BBC dalle connessioni locali. Piuttosto interessante da notare è che sulle 40 nazioni studiate, una dozzina di esse non hanno fatto registrare evidenze di blocchi. Tra queste nazioni vengono citate Russia, Venezuela, Egitto, Hong Kong, Israele ed Iraq.

Esclusi eccellenti dal rapporto sono i paesi occidentali , come gli USA e gran parte del Vecchio Continente: qui, secondo gli atenei, la censura riguarda molto più da vicino il settore privato, e interessa principalmente la distribuzione illecita di contenuti protetti dal diritto d’autore, materia largamente ignorata nel resto del mondo preso sotto esame.

Interessati allo studio poi i network di tipo civile e non quelli militari. Sebbene anche in quest’ultimo caso la censura non sia sgradita: la scorsa settimana il Dipartimento della Difesa americano ha annunciato un piano per bloccare sulle proprie reti dozzine di siti, inclusi YouTube, MySpace e le due popolari radio online Pandora e Live365.com. Misure preventive, giustificano i militari, per evitare congestioni di rete .

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
21 mag 2007
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