Francia, legali le diffide automatiche agli utenti P2P

Francia, legali le diffide automatiche agli utenti P2P

Bocciata la tutela degli utenti: ora le major spediranno diffide automatiche tramite i provider direttamente ai nomi utente associati agli IP rilevati. In Italia dopo il caso Peppermint ora ne sta arrivando un altro
Bocciata la tutela degli utenti: ora le major spediranno diffide automatiche tramite i provider direttamente ai nomi utente associati agli IP rilevati. In Italia dopo il caso Peppermint ora ne sta arrivando un altro

Con una inattesa decisione il Consiglio di stato francese ha annullato la decisione con cui due anni fa la Commissione del CNIL aveva bloccato l’invio automatico di diffide agli utenti P2P .

Il CNIL, come si ricorderà, aveva bocciato questo genere di intervento da parte dell’industria dei contenuti ritenendolo “sproporzionato” rispetto alle finalità: i dati trattati per l’invio delle diffide, ossia gli indirizzi IP associati ai nomi degli utenti, sono dati personali che, nella visione del CNIL, non potevano essere gestiti legalmente per un’operazione di questo tipo.

Ora il Consiglio di stato ha però precisato che si tratta di una misura proporzionata vista l’illegalità dilagante sulle reti di file sharing. Per la SCPP (Société civile des producteurs phonographiques) è una manna: utilizzando software di scanning dei circuiti P2P potrà inoltrare in modo pressoché automatico notifiche considerate “educative” , nelle quali in buona sostanza si renderà edotto l’utente del fatto che le proprie attività online non sfuggono al grande occhio delle major.

SCPP dovrà fare nuova richiesta al CNIL per avere il via libera definitiva che, a questo punto, è però pressoché scontato.

Ma novità sul fronte del peer-to-peer arrivano anche in Italia da Altroconsumo , l’associazione dei consumatori che sta seguendo da vicino il clamoroso caso Peppermint . L’Associazione ha infatti deciso di inviare una missiva all’Ordine degli avvocati di Bolzano in cui contesta l’operato del legale che per conto di Peppermint-Logistep ha firmato le raccomandate spedite ai 3.636 utenti coinvolti nella vicenda.

Altroconsumo contesta l’intera procedura che ha portato alle raccomandate, in cui si chiede agli utenti di versare 330 euro in cambio di una chiusura bonaria del caso, per evitare successive azioni legali.

“Si tratta – scrive l’Associazione – di una procedura sulla quale molto c’è da obiettare, così come crea forti dubbi (violazione della privacy) anche il modo con il quale sono stati acquisiti gli indirizzi IP degli utenti coinvolti. Il lavoro di ricerca e individuazione dei file “abusivi” è stato condotto dalla società svizzera Logistep; attraverso questa attività (sulla legittimità della quale tra l’altro abbiamo sollecitato il Garante per la Privacy a prendere una chiara posizione qui link alla lettera) si è poi risaliti ai nominativi legati agli indirizzi IP grazie anche a un’ordinanza del Tribunale di Roma nei confronti di Telecom (individuata attraverso gli indirizzi IP acquisiti dalla Logistep quale ISP)”.

Come se non bastasse, sottolinea Adiconsum, il caso rischia di allargarsi . “Proprio in questi giorni – scrive – ci sarebbero almeno altri due procedimenti cautelari in corso a Roma contro Tiscali e Wind Infostrada, questa volta attivati da una società polacca che opera nel settore dei videogiochi ; i legali della stessa società ci avevano già provato poco tempo fa in Francia suscitando anche in quella occasione il disappunto dell’Ordine degli Avvocati e il conseguente avvio di un’indagine per verificare possibili violazioni del codice deontologico (cosa che ci auguriamo, appunto, accada anche da noi). Lo schema, comunque, resterebbe lo stesso utilizzato nella vicenda Peppermint, ovvero l’utilizzo del software della Logistep (ancora lei) per rintracciare gli indirizzi IP dei presunti “pirati” e il ricorso al tribunale di Roma per obbligare i provider a fornire i dati fisici abbinati agli IP. Proprio su questi due procedimenti ancora in corso pare, però, voglia finalmente intervenire il Garante per la Privacy, così come annunciato in un suo recente comunicato”.

Nella lettera trasmessa all’Ordine degli avvocati di Bolzano, reperibile qui in PDF, Altroconsumo sottolinea come nella raccomandata sia scritto esplicitamente: “Certi del fatto che un procedimento giudiziario a Suo carico, in sede penale e/o civile, Le causerebbe conseguenze indesiderabili, la nostra Cliente le propone di risolvere bonariamente la controversia che la riguarda” e, infine, si aggiunge: “Qualora Lei accetti, la mia Cliente si dichiara soddisfatta, si impegna a non sporgere denuncia penale nei Suoi confronti ed a non agire in sede civile per la violazione commessa”. L’Associazione fa notare che a dispetto di quanto scritto nella missiva “il reato contestato è perseguibile d’ufficio” , un particolare sul quale si concentra Altroconsumo per chiedere all’Ordine degli avvocati un intervento immediato per bloccare questa procedura e per sanzionare l’avvocato che ha firmato quelle raccomandate.

Di interesse in questo quadro evidenziare un survey di Business Software Alliance (BSA) , l’alleanza dei produttori di software proprietario, secondo cui i giovani americani di età compresa tra gli 8 e i 18 anni oggi scaricano meno materiali illegali . A detta di BSA, segnala Zeropaid , in due anni la percentuale di giovani che scaricano illegalmente si sarebbe ridotta enormemente, passando dal 60 per cento del 2004 al 43 per cento del 2006 fino al 36 per cento registrato fin qui nel 2007. Un dato che BSA considera “incoraggiante”.

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Pubblicato il 25 mag 2007
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