Contrappunti/ Chi sbadiglia è fesso

Contrappunti/ Chi sbadiglia è fesso

di Massimo Mantellini - Chiudere gli occhi continuando ad occuparsi solo di gigabyte, schede video e software vari, immaginando che simili argomenti bastino a se stessi, non aiuta a farsi una corretta visione del mondo
di Massimo Mantellini - Chiudere gli occhi continuando ad occuparsi solo di gigabyte, schede video e software vari, immaginando che simili argomenti bastino a se stessi, non aiuta a farsi una corretta visione del mondo

Negli ultimi dieci anni su questo giornale abbiamo discusso di molti differenti argomenti. Ma se un giorno decideste di osservarli da vicino, gli argomenti che Punto Informatico ha trattato con maggior puntiglio e continuità nell’ultimo decennio, senza farvi ingannare da lustrini e iperboli varie, dalle guerre di religione fra sistemi operativi, dai disservizi di questa o quella ADSL, forse vi rendereste conto che il centro della conversazione, l’asse intorno al quale ruotano tutte le discussioni e tutte le informazioni tecnologiche scritte da queste parti, è quello, sottinteso e serissimo, del diritto all’accesso. E a questo punto, lasciatemelo dire senza offendervi, chi sbadiglia è fesso . Provo a spiegarvi perché.

La politica delle reti, quel complicato gomitolo di interessi e legiferazioni, di acculturamenti tecnologici e nuove abitudini conquistate che in Italia è scioccamente considerata materia per appassionati (dove l’appassionato è un individuo che coltiva hobby strani e potenzialmente lesivi della sua integrità psichica), è la cruna attraverso la quale, in ogni paese del mondo, passa oggi l’innovazione e la crescita culturale della intera comunità.

Negli ultimi dieci anni tutte le questioni che orientano e condizionano il diritto di accesso alle informazioni digitali da parte dei cittadini, la tutela della loro capacità di scegliere in autonomia fra molte notizie spesso di segno differente, sono diventati argomenti di fondamentale importanza, con molta attinenza con le prerogative democratiche, e lo sono a maggior ragione quando questa centralità è cosi diffusamente poco percepita da parte dei cittadini stessi.

Sbagliano quanti nei forum di PI scrivono da anni insistentemente (ed ingenuamente) che da queste parti non si dovrebbero esprimere pareri su questioni politiche o legislative, poiché oggi la politica e le leggi scontano rispetto alla materia tecnologica un doppio ritardo. Il primo è il gap usuale che tiene la politica a mille miglia dai cittadini, il secondo è quello drammatico di una classe dirigente (non solo politica ma anche amministrativa e manageriale) cresciuta in epoca pre-internet e per tale ragione generalmente incapace di comprendere appieno il nuovo mondo che gli si è formato attorno.

Il risultato di questa distanza ha avuto nel nostro paese nell’ultimo decennio effetti significativi. E chiudere gli occhi continuando ad occuparsi solo di gigabyte, schede video e software vari, immaginando che simili argomenti bastino a se stessi, non aiuta a farsi una corretta visione del mondo. Nemmeno di quello tutto sommato limitato dell’ICT.

Oggi esiste un fronte molto compatto di soggetti che, per una ragione o per l’altra, minacciano la libertà della rete. In Italia, dopo cinque anni di un cattivo governo di centro destra che ha ignorato (e spesso volutamente ostacolato) lo sviluppo tecnologico del paese, abbiamo oggi un governo di centro sinistra che, a differenza di quanto scritto a chiare lettere nel programma elettorale, sta seguendo la medesima strada, mettendo a serio rischio alcune prerogative di libertà legate alla rete Internet. Il Ministro dell’Istruzione straparla di Youtube, il Garante sulla Privacy ha idee piuttosto curiose su “come dovrebbe essere” la ricerca su Google. Basta che un parlamentare qualsiasi alzi alte grida ed il Ministro delle Comunicazioni accorre bloccando il DNS di questo o quel sito web, indipendentemente dalle normative vigenti. In Europa il commissario Frattini sta preparando normative forcaiole che riguardano Internet e, come se non bastasse, paragona con leggerezza il nostro paese e l’Europa stessa alla Cina (dove il governo tiene i cittadini dietro un immenso firewall censorio). Gli estremisti del diritto d’autore, nel tentativo di tutelare nella maniera più ampia possibile le opere sotto copyright, ostacolano la libera circolazione delle informazioni, anche di quelle economicamente irrilevanti. Quasi sotto silenzio è passata nei giorni scorsi la decisione di Wikipedia Italia di rimuovere dalla enciclopedia libera le immagini di monumenti e chiese italiane dopo che il Polo Museale Fiorentino ha spedito, nel gennaio scorso, una sconsiderata lettera di diffida alla diffusione di simili immagini protette da diritti.

Se sommiamo questa alle altre recenti cronache del diritto d’autore (una per tutti la storia di Enrico Galavotti, insegnante cesenate pesantemente multato dalla Siae per avere messo online in un sito web amatoriale immagini a bassa risoluzione di quadri famosi di Picasso e Braque) ci accorgiamo che lo scenario appare oggi in Italia particolarmente omogeneo e compatto. Tutto concorre a rendere la rete Internet ogni giorno meno libera: che si tratti del curioso “comune sentire” dei nostri parlamentari che omogeneizza come per incanto i punti di vista dell’intero arco parlamentare ogni qualvolta si decide “contro” la libertà della rete (dalle normative di estensione del copyright, al decreto Urbani, alle norme contro la pedopornografia) o che si desideri tutelare la posizione dominante di Telecom Italia e delle grandi telco in generale, minimizzando le ricadute tecnologiche di wifi e wimax, che si cavalchi (ancora dopo tanti anni) la demonizzazione di Internet covo di pedofili e delinquenti invece che preoccuparsi di disegnarne le grandi promesse di crescita e libertà, tutto oggi da queste parti è politica. A maggior ragione su Punto Informatico che, forse unico nel panorama, ha scritto di queste cose nell’ultimo decennio al di fuori dell’influenza di conventicole e gruppi di pressione. L’applicazione dei DRM è politica. L’utilizzo dei computer nelle scuole è politica. La scelta fra software libero e commerciale è politica. Le questioni sulla privacy dei dati sono politica. Il diritto di accesso alle informazioni della PA è politica.

Comprendere questo è il primo passo, anche se non l’unico, per unire le energie di quella quota di utenza evoluta della rete Internet (una utenza politicamente assai disomogenea ma non per questo meno coesa) che rappresenta oggi l’unica speranza per mettere al centro della discussione il soggetto “innovazione tecnologica” come unica strada per la crescita culturale del paese.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
9 lug 2007
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