UK, bloccata la blindatura del copyright

UK, bloccata la blindatura del copyright

A sorpresa il governo britannico dice no all'estensione dei termini del diritto d'autore. Nervosismo tra i discografici e i musicisti. Vittoria per i consumatori e per il mercato? Molti applaudono
A sorpresa il governo britannico dice no all'estensione dei termini del diritto d'autore. Nervosismo tra i discografici e i musicisti. Vittoria per i consumatori e per il mercato? Molti applaudono

Qualcuno la definisce una scelta sensata , ma farà senz’altro discutere la decisione del governo del Regno Unito di non innalzare a 70 anni il limite per il copyright sulla musica prodotta dai cittadini di Sua Maestà. La scelta, spiegano, avrebbe coinvolto anche l’Unione Europea e il risultato complessivo non sarebbe stato economicamente vantaggioso per nessuno.

La decisione di Downing Street si basa sul rapporto redatto nel 2005 per conto del governo da Andrew Gowers , noto giornalista del Financial Times , nel quale venivano analizzati gli strumenti a disposizione dei creatori di opere di ingegno in relazione all’evoluzione del mercato e delle forme di distribuzione. Nelle sue conclusioni, Gowers suggerisce al mondo musicale una rinegoziazione dei termini degli accordi che legano i creatori di musica all’industria discografica.

Il rapporto sconsiglia l’allungamento della durata del copyright , che negli USA nel 2003 ha toccato quota 95 anni, sottolineando come il limite inferiore del Regno Unito non abbia in alcun modo svantaggiato la produzione artistica e preferendo piuttosto indicare nella riduzione dei costi di gestione una ricetta utile a migliorare la situazione del mercato. Davvero pochissime sarebbero le canzoni che continuano a generare utili sostanziosi oltre i 50 anni , senza contare che gli autori di solito tendono a perseverare nella scrittura di altri brani negli anni a seguire e quindi allungando gradualmente il limite entro cui la più recente produzione cesserà di essere di loro esclusiva proprietà.

Una linea per altro appoggiata da altri esperti come Stefano Quintarelli : il problema, si legge sul suo blog, “non è la diffusione abusiva” che “non è fatale alle etichette indipendenti”, come le dichiarazioni più recenti di FIMI sul caso Peppermint sostengono. Per Quintarelli il vero problema è l’ inevitabile innovazione tecnologica, che sarà “fatale alle etichette indipendenti che hanno come unico modello di business quello invalidato dalla tecnologia e di queste, quelle che non si vogliono reinventare “.

Di tutto altro avviso i musicisti capeggiati da Roger Daltrey (voce storica dei The Who ), che negli scorsi mesi si erano battuti duramente per l’innalzamento a 70 anni del copyright: secondo Daltrey i musicisti “possono contare solo sulla musica” per le loro pensioni, e non cercano un aiuto dall’alto ma “solo un ricavo onesto per il loro impegno creativo”. Tra i sostenitori del progetto c’è anche David Cameron, capo dell’opposizione conservatrice, che in un recente discorso aveva offerto maggiore durata del copyright in cambio di alcune concessioni dell’industria dell’intrattenimento sul controllo del materiale da loro prodotto e pubblicato.

Ancora più duro di Daltrey sulle pagine del Guardian è Fran Nevrkla, capo di Phonographic Performance Limited ( PPL ) cioè l’ente che raccoglie i diritti da radio, ristoranti e club: “Questo annuncio in pratica trasforma tutti i musicisti e le loro case discografiche in cittadini di serie B “. Gli fa eco John Kennedy di IFPI , che parla di “capolavori della musica britannica che presto verranno strappati dalle mani degli artisti che li hanno creati e delle compagnie che vi hanno investito”. La mancata estensione potrebbe addirittura pregiudicare il futuro della scena musicale inglese, perché verrebbero a mancare “investimenti vitali in giovani talenti e musica nuova”.

Luca Annunziata

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Pubblicato il 26 lug 2007
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