Mod chip, rimandato il giorno della verità

Mod chip, rimandato il giorno della verità

Punto Informatico ne parla con l'operatore tirato in ballo dall'ultima sentenza della Cassazione e protagonista di due diversi procedimenti con cui si potrebbe far chiarezza su DRM e diritti dei consumatori
Punto Informatico ne parla con l'operatore tirato in ballo dall'ultima sentenza della Cassazione e protagonista di due diversi procedimenti con cui si potrebbe far chiarezza su DRM e diritti dei consumatori

Una vicenda complicata ma decisiva per i diritti dei consumatori è quella che coinvolge Oscar Dalvit, titolare di HS Distribuzione, in due diversi procedimenti che riguardano sì la Playstation e i mod chip ma che, in effetti, impattano direttamente sull’uso delle tecnologie di protezione, il diritto del consumatore di disporre di ciò che acquista e i limiti delle normative italiane in tema di diritto d’autore, una vicenda che non si conclude con la sentenza emessa due giorni fa dalla Cassazione ( qui il testo completo).

“Non finisce qui – spiega Dalvit a Punto Informatico – perché la sentenza della Cassazione non fa altro che riportare in tribunale l’intera questione”. Come a dire che la battaglia vera si svolgerà più avanti, quando torneranno in aula i due diversi procedimenti, accorpati in Cassazione ma separati perché relativi a fatti accaduti prima e dopo una modifica alla normativa sul diritto d’autore. Se vendere mod chip sia legale o meno, dunque, deve ancora essere stabilito in via definitiva , sottolinea Dalvit. “Pochi si sono resi conto – continua – che qui stiamo parlando di DRM, e del fatto che in questo processo non si dibatte di pirateria ma della legittimità che una multinazionale possa avere di controllare o impedire l’accesso ad un hardware da parte dell’utente finale”.

Nel primo procedimento, Sony tenterà di dimostrare ancora una volta come la vendita dei mod chip si traduca nella violazione di quella porzione della norma efficace nel 2002 secondo cui è da considerarsi illegale “qualsiasi dispositivo che rimuove le protezioni”. Un procedimento che metterà dunque “sotto processo” una normativa ormai vecchia . L’esito di questo giudizio, dunque, non avrà nei fatti alcun impatto sull’attuale legalità o illegalità della vendita di mod chip.

Diversa, invece, la situazione del secondo procedimento, quello relativo a fatti 2003 ossia a fatti “coperti” dalla legge sul diritto d’autore come emersa dalle modifiche entrate in vigore a fine aprile 2003. Modifiche sostanziali, in quanto introducono un principio diverso, quello della prevalenza (ex art 171ter-f):

“(è punito chiunque) fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all’articolo 102 quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l’elusione di predette misure”.

E il 102 quater altro non è che l’articolo che autorizza l’utilizzo in Italia di tecnologie DRM , destinate a consentire a chi produce i materiali di controllarli “(…) tramite l’applicazione di un dispositivo di accesso o di un procedimento di protezione, quale la cifratura, la distorsione o qualsiasi altra trasformazione dell’opera o del materiale protetto (…)” . Nel caso specifico di Dalvit, però, il secondo procedimento è stato rimandato indietro dalla Cassazione non per il merito del caso in sé, come evidenziato da più parti, quanto invece per questioni formali, legate allo svolgimento dei gradi di giudizio precedenti.

Su tutto questo, e in attesa di novità che dalle aule non arriveranno prima di diversi mesi , spicca e rimane punto di riferimento , dunque, l’ormai celeberrima sentenza del giudice Claudio Gottardi del Tribunale di Bolzano che, come noto, assolve Oscar Dalvit “perché il fatto non sussiste”, affrontando in modo dettagliato la questione principale, ovvero se i mod chip possano essere considerati dispositivi che abbiano come funzione prevalente quella di consentire l’uso di copie di videogiochi illecitamente masterizzati o se, invece, la funzione prevalente non sia un miglior uso della Playstation. Una sentenza che, a partire dal fatto che Sony con un ricorso europeo ha ottenuto che la Playstation sia considerata un computer (i computer sono esenti dalle tasse doganali delle console) e dalla considerazione che i videogame non sono fonogrammi o videogrammi ma software (il che ha implicazioni sulla interpretazione della legge sul diritto d’autore), riconosce che i mod chip possono essere usati per evidenti ragioni del tutto legali , come l’installazione di un sistema operativo Linux su quel computer . Altri scopi leciti, evidentemente, comprendono anche la cosiddetta copia privata di backup che, pur come eccezione, l’ordinamento italiano consente ai consumatori.

In breve, spiega Gottardi nella sentenza, La funzione primaria e prevalente del chip non è quella di consentire l’uso di copie “pirata”, bensì di utilizzare la Playstation in tutte le sue potenzialità, in quanto, si rimarca ulteriormente, il chip serve: – a leggere dischi di importazione; – a leggere dischi prodotti da società diverse da quella che ha prodotto la Playstation; – a leggere la copia di sicurezza del software che la legge italiana consente di procurarsi; – a leggere supporti di contenuto diverso da quello originariamente previsto, ma sicuramente legali; – a consentire in definitiva di sfruttare tutte le potenzialità della Playstation come computer .

Viste queste premesse, lo svolgimento del nuovo procedimento, come voluto dalla Cassazione, basato sulla riformata legge sul diritto d’autore si preannuncia decisivo e dall’esito incerto. “La questione – ribadisce Dalvit a Punto Informatico – è quindi ancora tutta da decidere”. “Stiamo bene attenti – conclude Dalvit – questo processo è cruciale, potrebbe essere una pietra miliare che legittimerebbe la vendita di PC e cellulari, console e via dicendo chiusi, dove l’utente smaliziato non potrebbe per legge toccare l’hardware in quanto sarebbe costretto a rimuovere una protezione DRM”.

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Pubblicato il 5 set 2007
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