Seca2, satcrak e diritto

Seca2, satcrak e diritto

di Valentina Frediani (Consulente Legale Informatico). Il nuovo standard innalza il livello di sicurezza per chi possiede i diritti di trasmissione. Ma qual è il quadro giuridico e quali le pene per la violazione di quei diritti?
di Valentina Frediani (Consulente Legale Informatico). Il nuovo standard innalza il livello di sicurezza per chi possiede i diritti di trasmissione. Ma qual è il quadro giuridico e quali le pene per la violazione di quei diritti?


Roma – A partire dal giugno 2002, in Italia è stata introdotta SECA2, un nuovo sistema di codifica per la trasmissione satellitare, mediante l’utilizzo di smart card, per l’appunto utilizzate nelle pay-tv al fine di permettere la visione della programmazione, dietro il pagamento di un canone. Da un punto di vista tecnico, con SECA2 si è inteso proteggere la riproduzione abusiva dei codici delle smart card e la consequenziale proiezione dei programmi, alterando rispetto alla versione originaria, il sistema di restituzione delle chiavi in fase di codifica.

Evitando di addentrarci in spiegazioni tecniche, appare comunque doveroso sottolineare come ad oggi appaia inviolato il sistema di SECA2, a riprova della validità del sistema. Ma a prescindere dalla soluzione tecnica adottata, veniamo agli aspetti giuridici ed alla situazione relativa alle violazioni attinenti le trasmissioni satellitari.

All’origine, ed in specie grazie alla normativa relativa al diritto d’autore, anche le smart card nonché i relativi apparati atti alla decodificazione, erano tutelati da un punto di vista penalistico.

Infatti, la legge 633 del 1941, sanciva all’art. 171 octies (articolo introdotto con la riforma del 2000): Qualora il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale. Si intendono ad accesso condizionato tutti i segnali audiovisivi trasmessi da emittenti italiane o estere in forma tale da rendere gli stessi visibili esclusivamente a gruppi chiusi di utenti selezionati dal soggetto che effettua l’emissione del segnale, indipendentemente dalla imposizione di un canone per la fruizione di tale servizio.La pena non è inferiore a due anni di reclusione e la multa a lire trenta milioni se il fatto è di rilevante gravità.

Norma assai discutibile per l’indubbia parificazione attuata tra chi poneva in essere condotte destinate alla commercializzazione e chi invece poneva in essere condotte di tipo “privato”, semplicemente, ad esempio, effettuando delle modifiche su un apparato, non distinguendo così la punibilità dovuta per vere e proprie organizzazioni con l’obiettivo di trarre ampio lucro da tali violazioni, ed i privati che ponevano in essere condotte ben più contenute e con ridotti riflessi economici rispetto alla suddette.


Questo sino all’emanazione da parte del legislatore, in netto contrasto con la legge 248 del 2000 per l’appunto recante la riforma sul diritto d’autore, del D.lg. n. 373/00, attuativo della direttiva 98/84/CE sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato.

Per servizio ad accesso condizionato il legislatore ha inteso: trasmissioni televisive, cioè le trasmissioni via cavo o via radio anche via satellite di programmi televisivi destinati al pubblico; trasmissioni sonore, cioè le trasmissioni via cavo o via radio, anche via satellite, di programmi sonori destinati al pubblico; i servizi della società dell’informazione, ovvero qualsiasi servizio fornito a distanza per via elettronica ed a richiesta individuale di un destinatario di servizi.

Si parla dunque di accesso condizionato qualora ogni misura e sistema tecnico in base ai quali l’accesso in forma intelligibile al servizio protetto sia subordinato a preventiva ed individuale autorizzazione da parte del fornitore del servizio. Sempre secondo il legislatore, conseguentemente, è un dispositivo per l’accesso condizionato l’apparecchiatura o il programma per elaboratori elettronici concepiti o adattati al fine di consentire l’accesso in forma intelligibile ad un servizio protetto.

Ai fini della normativa in esame, è un dispositivo illecito quella apparecchiatura o programma per elaboratori elettronici concepiti o adattati al fine di rendere possibile l’accesso ad un servizio protetto in forma intelligibile senza l’autorizzazione del fornitore del servizio.

Dunque, una serie di definizioni per inquadrare in modo inequivocabile l’ambito di applicazione del D.lg. 373/00, un decreto che contempla quali attività illecite la fabbricazione, l’importazione, la distribuzione, la vendita, il noleggio ovvero il possesso a fini commerciali di dispositivi sopra descritti, nonché l’installazione, la manutenzione o la sostituzione a fini commerciali degli stessi, nonché la diffusione con ogni mezzo di comunicazioni commerciali per promuovere la distribuzione e l’uso di tali dispositivi illeciti; un decreto che, contrariamente agli indirizzi legislativi adottati in materia simili, attribuisce a tali condotte illecite una sanzione solo di tipo amministrativo, ovvero consistente esclusivamente nel pagamento di una somma da 5164,56 euro a 25822,85 euro oltre al pagamento di una somma da euro 51,64 a euro 258,23 per ciascun dispositivo illecito.

E soprattutto, in ogni caso la sanzione amministrativa non può – sempre per disposizione legislativa – superare la somma complessiva di euro 103291,38.

Sembra così che con questo dispositivo di legge, il legislatore abbia finalmente accolto la teoria da tempo sostenuta in dottrina e talvolta appoggiata anche in sede giurisdizionale, secondo la quale i rapporti intercorrenti tra gli erogatori di servizi e gli utenti, non avrebbero dovuto essere tutelati in sede penale poiché tale aspetto avrebbe dovuto riguardare solo quei soggetti che si procurano illegalmente gli apparati idonei a consentire la visione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato, rientrando invece in una violazione del contratto di erogazione di servizi, il mero utilizzo di codici di accesso acquisiti al fine di riprogrammare apparati di cui già si avesse la piena disponibilità giuridica.


La più rilevante pronuncia in tal senso, è datata marzo 2002, e proviene dalla Procura presso il Tribunale di Crotone, la quale richiedeva una archiviazione in merito a fatti relativi alla riproduzione di smart card e relativi apparati.

Brevemente i fatti: da perquisizioni effettuate dalle Forze dell’Ordine, gli indagati venivano trovati in possesso di una scheda Telepiù, due dual card blokker e quattro kit di montaggio, presso i locali commerciali di una società, circa 2300 circuiti stampati, 58 programmatori, circa 500 fan cards, circa 80 wafer cards, 150 dual blokker, oltre 1000 processori eprom e pic, 2 gamme per ricevitori satellitari, un illuminatore per parabola, un misuratore di campo, alcuni floppy contenenti il software “fancard eprom editor”, ed una somma di denaro pari a £ 40.000.000 circa, nella disponbilità del D. S.

Così con lungimiranza assai rara in materia informatica, pur se condizionata da una netta legislazione in materia, il titolare del procedimento, Dott. Toriello, sottolineava come pur se configurabile la violazione delle norme sul diritto d’autore sino alla legge 248/00, non si poteva far altro che considerare applicabile il D.lg. 373/00 (entrato in vigore ben soli tre mesi più tardi rispetto alla legge 248/00 ? indice dello scarso coordinamento legislativo vigente in materia tecnologica!!!) e dunque ritenere depenalizzato il reato di duplicazione, riproduzione e commercio abusivo di dispostivi di codifica, potendo solo applicare la sanzione amministrativa, escludendo peraltro l’applicazione dell’art. 615 ter codice penale, in materia di accesso abusivo a sistema informatico, non potendo certo essere parificabile per l’ovvio contenuto, il sistema di trasmissione utilizzato dalle emittenti satellitari, rispetto al sistema informatico o telematico contemplato dalla suddetta norma, non consentendo il sistema satellitare il reciproco scambio di dati (presupposto essenziale nei sistemi informatico – telematici).
Il P.M. richiedeva così l’archiviazione perché il fatto non era previsto dalla legge come reato, potendosi solo applicare la sanzione amministrativa.

Dunque ad oggi siamo giunti da un estremo legislativo ad un altro, in quanto se sino alla legge sul diritto d’autore, la sfera di punibilità abbracciava anche il privato che, sovente ignorando la normativa, ampliava l’ambito di ricezione dei canali satellitari, oggi paradossalmente si assiste ad una assenza di punibilità in sede penale di organizzazioni vere e proprie che della riproduzione dei sistemi di codifica ne hanno fatto un fiorente business, con il limitato rischio di incorrere solo in una sanzione amministrativa e quindi in una condanna di solo tipo pecuniario.

Per una volta una restrizione della punibilità in ambito tecnologico, ma ancora purtroppo la dimostrazione che in questo settore il legislatore ha ancora da imparare, se si pensa ai canoni adottati per l’emanazione del D.lg. 373/00 rispetto alla legge 248/00 che penalizza massicciamente chi masterizza un cd anche solo per regalarlo ad un amico!!!

Valentina Frediani
Consulente Legale Informatico

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
12 set 2002
Link copiato negli appunti