IP, 20 giorni dietro le sbarre per niente

IP, 20 giorni dietro le sbarre per niente

Uno smanettone indiano finisce in galera perché ha pubblicato alcune foto offensive su orkut, la socialcosa di Google. BigG fornisce l'IP, il provider individua l'utente e lui va dentro. Ma l'utente non era lui
Uno smanettone indiano finisce in galera perché ha pubblicato alcune foto offensive su orkut, la socialcosa di Google. BigG fornisce l'IP, il provider individua l'utente e lui va dentro. Ma l'utente non era lui

Bangalore – Nel cuore della valle di silicio indiana si è consumata nelle scorse settimane una significativa tragedia: un uomo di 26 anni, un utente della socialpalla di Google, orkut, è finito in galera per la bellezza di tre settimane. Arrestato a fine agosto, l’uomo ha subito il trasferimento in carcere perché dal suo IP sarebbero state compiute online azioni illegali, azioni che non ha mai commesso . Ma l’errore, clamoroso e palese, non viene investigato.

Il personaggio storico in una celebre raffigurazione Di questo intrigo, emblematico di certe facilonerie e dei molti paletti alla libera espressione in India , ha fatto le spese Lakshmana Kailash K. Le autorità per 20 giorni hanno ritenuto che, dal suo computer, Lakshmana avesse caricato su orkut alcune immagini di Chhatrapati Shivaji Maharaj (vedi a lato), figura “mitica” del 17esimo secolo a cui si attribuisce la fondazione dell’impero Maratha nell’India Occidentale, immagini ritenute offensive e dunque illegali .

Nel paese che si è affermato globalmente come secondo produttore di software, che sforna ogni anno decine di migliaia di ingegneri e tecnici informatici che affollano i mercati di mezzo mondo, uno smanettone si è trovato nei guai, guai seri, perché qualcuno nella “catena delle indagini” online si è sbagliato.

O ha sbagliato Google nel fornire l’IP del proprio utente alle autorità indiane, o ha sbagliato il provider Airtel nell’associare quell’IP al nome di Lakshmana: quel che è certo, è che dopo molti giorni le autorità indiane hanno individuato il vero uploader , quello che ora dovrà vedersela con la legge che vieta la “satira eccessiva”.

La polizia sembra pronta ad affermare che la colpa sia del provider, perché avrebbe di fatto sviato le indagini fornendo un nominativo che nulla aveva a che vedere con i fatti. Google dal lato suo si limita ad affermare di aver eseguito quanto richiesto dalle leggi locali, cosa che provoca nuove polemiche sulla facilità con cui le corporation statunitensi danno seguito a richieste liberticide nei paesi in cui operano. Ma di fatto il perché Lakshmana sia finito in carcere ancora non si sa , non si sa chi ha sbagliato né si sa se qualcuno pagherà per quanto accaduto.

Qualche spiraglio potrebbe fornirlo un’eventuale denuncia del giovane informatico contro il provider, Airtel, denuncia che però non è affatto detto che Lakshmana voglia intentare, per le spese e il tempo che richiederebbe.

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Pubblicato il 8 nov 2007
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