L'alba della Deprivacy

L'alba della Deprivacy

E' la privacy ritoccata, quella che legittima la cessione di dati a governi e aziende, perché tanto quelle informazioni le prendono lo stesso. Il futuro? Sperare che almeno le tengano per sé
E' la privacy ritoccata, quella che legittima la cessione di dati a governi e aziende, perché tanto quelle informazioni le prendono lo stesso. Il futuro? Sperare che almeno le tengano per sé

L’individuo non deve più aspettarsi che governi e aziende stiano alla larga dalla sua vita privata, tutto ciò a cui può aspirare è qualche garanzia sul modo in cui quei governi e quelle aziende gestiranno i suoi dati, anche quelli più sensibili.

Questa è la “nuova visione” che si sta imponendo su una cultura che tecnologie e politica hanno profondamente mutato. Questa l’idea di Donald Kerr (nella foto), a capo dell’ Office of the Director of National Intelligence americano: in un intervento che sta sollevando moltissima polvere ha difeso con forza la possibilità che stati e aziende si approprino dei dati del cittadino e li gestiscano in cambio di sicurezza e servizi.

Donald Kerr In una società dominata dal rischio, nella quale le minacce spaziano dagli eventi climatici all’ombra del terrorismo, assicurare ai cittadini la sicurezza è un obiettivo prioritario, spiega Kerr. Ma la sicurezza è una garanzia che possono fornire esclusivamente le istituzioni vigili e attente alle trame che si intessono fra i cittadini, istituzioni che necessariamente devono cooperare e scambiarsi informazioni riguardo ai pericoli.

È qui che sicurezza e privacy sembrano collidere . Ma l’incompatibilità fra queste due garanzie offerte al cittadino è solo apparente, avverte Kerr. A generare il conflitto è il fatto che “il concetto di privacy sia troppo spesso equiparato con quello di anonimato”. Questa idea, profondamente radicata nella cultura americana, sembra destinata ad avere vita breve .

Kerr invoca questo necessario cambio di prospettiva tracciando un’analogia tra la cessione volontaria dei propri dati in cambio di servizi e l’operato del governo, che tenta di garantire la sicurezza intercettando e vigilando sul flusso di comunicazioni che si scambiano i cittadini. “Nel mondo wireless e interconnesso di oggi – chiosa Keller – l’anonimato, o ciò che gli si avvicina, sta rapidamente diventando un concetto obsoleto”. Basti pensare a quanti dati personali risiedono in rete, basti pensare a come sia immediato imbattersi nella reputazione digitale di una persona semplicemente cercando il suo nome su Google. Le generazioni più giovani, i nativi digitali, sembrano aver maturato una diversa concezione della privacy : i loro profili sono in bella mostra su MySpace e Facebook, ma non per questo i ragazzi sembrano abdicare al diritto alla privacy e all’autodeterminazione.

Il problema dunque, a parere di Kerr, non risiede nel fatto che stato e mercato detengano una quantità enorme di informazioni riguardo a cittadini e consumatori: la questione è piuttosto incentrata sul necessario ed inevitabile cambio di prospettiva richiesto ai cittadini, supportato da nuove tutele. Non più garanzie di anonimato o assicurazioni del fatto che stato e mercato non sbircino nella loro vita, quanto invece garanzie riguardo le modalità con cui stato e mercato gestiscono e trattano questi dati .

Il bilanciamento tra sicurezza e privacy, in questo contesto tecnologico, non può che verificarsi grazie ad un ponderato ” sistema di leggi , di regole, di abitudini, retto da un’ infrastruttura di garanti, commissioni di vigilanza e privacy board , un sistema sulla base del quale venga valutato e misurato l’operato collaborativo dell’intelligence”. Un sistema di leggi che già punisce un impiegato federale con cinque anni di prigione e una multa da 100mila dollari qualora utilizzi in maniera inadeguata i dati dei cittadini. Un sistema, ad esempio, che assicuri al cittadino di poter effettuare delle transazioni in rete, transazioni non anonime ma sicure, protette dagli intenti più loschi dei malintenzionati.

Il quadro tracciato da Kerr, aggiunge un rappresentante di Electronic Frontier Foundation sulle pagine di The Guardian , sembra particolarmente preoccupante, se osservato alla luce del dibattito statunitense riguardo alle intercettazioni di stato che l’amministrazione Bush sta tentando di legittimare : a suo parere quella di Kerr è solo l’ennesima argomentazione basata sul vecchio adagio che recita “fidatevi di noi, siamo il governo”.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
13 nov 2007
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