Si cercano su Google. E si trovano

Si cercano su Google. E si trovano

Il ritratto dei netizen americani del Pew Internet & American Life Project. Controllano in rete le rappresentazioni di sé ma non si preoccupano del fatto che i dati sparsi online possano restituire ritratti completi e accurati
Il ritratto dei netizen americani del Pew Internet & American Life Project. Controllano in rete le rappresentazioni di sé ma non si preoccupano del fatto che i dati sparsi online possano restituire ritratti completi e accurati

Disseminano dati personali in rete e sono avidi delle informazioni altrui, c’è chi considera il diritto alla privacy un vessillo da sbandierare ma in pochi si preoccupano di tutelarlo. Questo il ritratto dei netizen americani tracciato dall’ indagine Digital Footprints: Online identity management and search in the age of transparency dell’autorevole Pew Internet & American Life Project .

Sono sempre più e sono sempre più approfondite le informazioni che si possono aggregare e rintracciare online. Tra i 1623 netizen maggiorenni americani intervistati lo scorso dicembre, il 47 per cento ha dichiarato di aver consultato i motori di ricerca per monitorare il proprio ego digitale : una percentuale più che raddoppiata rispetto ai netizen che nel 2002 ammettevano di aver effettuato tali ricerche. Narcisismo o senso di responsabilità? Le risposte fornite dagli intervistati sembrano dimostrare che la ricerca della propria impronta digitale in rete muova più da una vanitosa curiosità piuttosto che da una effettiva consapevolezza dell’importanza della propria “reputazione”: il 74 per cento ha rivelato di aver cercato il proprio nome e cognome solamente una o due volte.

Ma le nuove generazioni sembrano più responsabili e attente alla gestione del proprio ego in rete: ricerche più frequenti e approfondite caratterizzano i netizen più giovani e istruiti, fra cui figura gran parte dell’11 per cento di americani che è tenuto per lavoro ad autopromuoversi online e a imbellettare la propria rappresentazione digitale.

I risultati del monitoraggio? L’ 87 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver rintracciato online rappresentazioni veritiere di sé, anche se il 21 per cento si è sorpreso della vastità e della precisione delle informazioni personali online, mentre il 13 per cento si aspettava di raggranellare una mole di informazioni decisamente più vasta. È ridotta ma significativa la percentuale dei cittadini della rete che si sentono male rappresentati: l’11 per cento ha riscontrato informazioni poco accurate mentre il 4 per cento si è sentito ingiustamente ingabbiato in una gogna elettronica.

Imbarazzo e inadeguatezza si fanno più brucianti considerando che sono numerosi, il 53 per cento , coloro che sfruttano la rete per raccogliere informazioni sui propri conoscenti . A caccia di che? Il 72 per cento di coloro che hanno cercato di infiltrarsi nella vita altrui online è andato alla ricerca di contatti. Meno numerosi coloro che hanno cercato di individuare informazioni di carattere generale sulle abitudini e sulle preferenze delle persone e di rintracciare foto o profili ospitati sui social network. Ma non mancano coloro che si sono interessati a questioni spinose come pratiche di divorzio o contenziosi legali (31 per cento) e coloro che hanno tentato di ricostruire passati e storie personali.

Spesso, in maggiore proporzione per quanto riguarda gli uomini, i netizen interessati alla vita altrui sono mossi da afflati nostalgici: si tenta di rintracciare una vecchia fiamma, colleghi o compagni di scuola. E la rete si dimostra un ottimo strumento per riallacciare i contatti: un intervistato su cinque è riuscito a recuperare rapporti interrotti o intiepiditi. Le donne invece sembrano guardare piuttosto al presente e al futuro: scandagliano la rete per racimolare informazioni riguardo alle persone che frequentano o che dovranno incontrare.

Ma non sono solo i rapporti d’affetto a spingere gli utenti a setacciare il web: l’11 per cento degli intervistati, in veste di datori di lavoro, ha utilizzato la rete come strumento utile per valutare candidati e collaboratori. Ma anche i colleghi, il 19 per cento degli intervistati, ammettono di essersi lanciati nella ricerca del cosiddetto digital dirt , gli altarini digitali delle persone con cui condividono l’ufficio. Il comportamento di coloro che sono investiti dalle ricerche altrui è sfaccettato. Il 60 per cento dei netizen americani non appare affatto preoccupato del fatto che online si possa rintracciare una mole consistente di informazioni personali, solo il 38 per cento dei netizen ha dichiarato di aver preso provvedimenti per contenere il dilagare dei dettagli relativi alla propria rappresentazione online. Sono in molti a dichiarare con candore che in rete è possibile rintracciare la propria email, il proprio indirizzo e numero di telefono fisso, il nome dell’azienda per cui lavorano, ma anche foto che li ritraggono, appartenenza a gruppi e partiti politici. Questa tranquillità può scaturire dall’esigenza e dalla effettiva volontà di comparire online. Preoccupante però osservare come una significativa percentuale di netizen non sappia assolutamente se online si possano rintracciare questo tipo di informazioni riguardo a sé.

Ma i netizen non sono tutti uguali: i ricercatori hanno suddiviso gli intervistati in quattro gruppi, in base agli atteggiamenti dimostrati nei confronti della propria privacy online. Esiste la categoria dei creativi consapevoli , il 17 per cento degli intervistati: giovani adulti che consolidano attivamente la propria immagine digitale riempiendo blog, rimpinguando i profili sui social network, postando la propria creatività declinata in foto e video. Preoccupazioni per quanto riguarda la privacy? Nessuna: si sanno muovere attivamente per tutelare la propria riservatezza e sanno detenere il controllo sulle informazioni che li riguardano. Questa classe di netizen, perlopiù giovani, potrebbe comprendere anche i minori, più cauti e responsabili degli adulti che li allertano e li rimproverano.

Altra categoria rappresentativa dei netizen americani (21 per cento) è quella degli attenti e preoccupati : consapevoli dei rischi che può comportare il disseminare in rete dati personali, agiscono attivamente per tutelarsi e per cancellare le proprie tracce online. Rappresentanti di questa categoria sono soprattutto i dipendenti responsabilizzati dalle policy aziendali in materia.

Figura invece il 18 per cento degli adulti online fra le fila dei preoccupati abulici . Molti sono persone di mezza età: inquietati dalle cronache che allarmano i cittadini circa il dilagare delle informazioni online e dei rischi connessi, non muovono un dito per tutelarsi e per mettersi al riparo. Ma la categoria decisamente più nutrita è quella degli spensierati inerti : il 43 per cento degli intervistati non è preoccupato per la propria riservatezza online né intende limitare la propria presenza in rete.

Rassegnazione o inconsapevolezza? I ricercatori di Pew hanno consultato gli esperti in materia di privacy in rete, che tendono a considerare la gran parte dei netizen irresponsabili e poco consci dei pericoli ai quali sono esposti disseminando dati online e lasciando che informazioni personali vengano incluse in database statali o privati. Invita ad una più responsabile partecipazione in rete Mary Madden, coautrice della ricerca: “Più contenuti rendiamo disponibili sul web, più diventeremo non solo rintracciabili, ma anche conoscibili.”

Gaia Bottà

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Pubblicato il
18 dic 2007
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