PIVideo/ E' successo al Future Film Festival

PIVideo/ E' successo al Future Film Festival

Il ruolo della tecnologia nel cinema, gli effetti speciali, le nuove frontiere WETA, James Cameron, i laboratori Pixar. Il commento di Bruce Sterling, i cinebloggers - FFF 2008 e tecnologia nello speciale di Punto Informatico Video
Il ruolo della tecnologia nel cinema, gli effetti speciali, le nuove frontiere WETA, James Cameron, i laboratori Pixar. Il commento di Bruce Sterling, i cinebloggers - FFF 2008 e tecnologia nello speciale di Punto Informatico Video

Bologna – Il 2008 ha segnato il decimo anniversario del Future Film Festival . Dieci anni passati in fretta nel mondo delle tecnologie del cinema, che hanno visto (come ha ricordato Matt Aitken, della WETA) il passaggio da un mondo in cui la punta massima degli effetti speciali era “Titanic” di James Cameron ad uno in cui si attende di nuovo un film di James Cameron, “Avatar”, per capire quale sia la nuova forma di unione tra effetti speciali e cinema, tra tecnologia e immaginazione.

Non sembra essere quindi cambiato molto per il mondo digitale del cinema dal vero, ancora in cerca di un’opera che sia il suo “Blade runner”, ovvero il suo nuovo punto di equilibrio con la storia e la narrazione. Nell’ultimo decennio c’è stato l’emergere della WETA e dei nuovi effetti speciali made in Oceania grazie all’exploit di “Il signore degli anelli”, e c’è stato Matrix, film che sembrava dover ridefinire la fantascienza moderna ma in realtà ha dato il via solo ad una serie di parodie. C’è stato il ritorno in grande stile dei film con protagonisti i supereroi e il nuovo franchise ad alto tasso tecnologico di Harry Potter, che ci ha mostrato come in un mondo parallelo la magia fa tutto ciò che nel nostro fa la tecnologia.
Infine c’è stata una generale ibridazione dei modelli di produzione di tecnologie per il cinema, per la quale gli studi sono sempre più sovranazionali e impiegano personale non più solo statunitense. Cosa che tra le altre ha portato ad una crescita professionale di compagnie di postproduzione francesi, spagnole e russe (grazie anche al successo della serie di film fantasy moderni iniziata con “I guardiani della notte”).

Presente a questa edizione, oltre alla già citata WETA era anche Vicky Dobbs-Beck dell’Industrial Light and Magic, la creatura di George Lucas che nel decennio passato si è confermata come il punto di riferimento nel campo dell’effettistica speciale. Alla ILM hanno la tecnologia, hanno l’hardware, il software e hanno materialmente costruito gli strumenti che oggi usano tutti, sono a dir poco il digitale nei film.

Se dunque gli effetti speciali non sono più americani l’animazione , almeno quella ad alti livelli, continua invece ad essere una prerogativa degli Stati Uniti e del Giappone.
E se il paese del sol levante negli ultimi 10 anni ha perso con lenta continuità sempre di più lo smalto che aveva contraddistinto la sua produzione negli anni ’80 e ’90, l’America ha fatto invece fronte al calo costante ed inesorabile delle produzioni Disney con un rinnovamento tecnologico di prim’ordine che l’ha vista protagonista di una rivoluzione importantissima, quella dei cartoni in computer grafica, un genere che oltre a portare innovazioni tecniche ha cambiato anche il modo in cui l’animazione racconta le sue storie.
I nomi principali di questa rivoluzione sono in primis la Pixar e poi Dreamworks e Blue Sky, tutti studi che negli anni sono passati per Bologna.

Quest’anno Pixar ha rinnovato ha portando qui al FFF il suo primo cortometraggio di animazione tradizionale (in due dimensioni e disegnato a mano) assieme a Jim Capobianco (il suo regista) e Mark Holmes, disegnatore che ha collaborato a “Ratatouille”, ha realizzato il corto che ha preceduto il film (del quale ha illustrato la lavorazione durante una lezione) ed è all’opera sul prossimo lungometraggio della casa di Steve Jobs, “Wall-E”.
Blue Sky invece ha presentato “Ortone e il mondo dei Chi”, cartone che dovrebbe uscire da noi in aprile, portando il suo vicepresidente ed un animatore a parlare e spiegare quale sia la strada intrapresa dallo studio di “L’era glaciale” e come i nuovi cartoni in computer grafica offrano nuove possibilità per il cinema.

Oltre a queste presenze importanti, il Festival ha saputo come sempre offrire una vasta scelta di cinema d’animazione e non tra i film in concorso, fuori concorso e le particolarissime retrospettive incentrate sui prodotti animati latinoamericani, spagnoli e le prime fondamentali opere della Toei animation giapponese. Ma ancora di più il Future Film Festival è stato il primo ad occuparsi in maniera seria delle nuove frontiere di distribuzione e linguaggio che internet sta offrendo al cinema e di cui gli utenti già stanno usufruendo.

Da una parte Bruce Sterling ha dissertato sui possibili futuri del cinema nell’era in cui un medium come internet ne rimette in discussione i sistemi di distribuzione e di veicolazione anche commerciale. Dall’altra, c’è stata una tavola rotonda che ha riunito per la prima volta in un evento ufficiale i principali strong>blogger di cinema italiani per parlare di come la rete stia offrendo nuove possibilità per la critica e la discussione intorno ai film.

Unici a fare un discorso sul cinema cosiddetto sommerso e unici ad offrire un punto di vista diverso e anagraficamente più giovane su quanto esce nelle nostre sale ma soprattutto quanto esce in tutto il mondo, i cinebloggers sono l’unica categoria di blogger che si percepisce come tale (a partire dal fatto di avere un nome proprio) e ad agire continuamente come una comunità e non come una serie di luci separate.

Privi di una linea comune, privi di accordo sul proprio ruolo e sul modo in cui parlare di cinema, i cineblogger non casualmente sono spesso uniti dalla passione per determinati autori o determinate filmografie, le stesse che solitamente vengono trascurate sia dalla stampa mainstream sia da quella specialistica ufficiale (anche quella in rete). Segno questo di come, al di là di cosa sia critica e cosa non lo sia, esiste una linea comune in chi ama il cinema e non si identifica nella voce più ufficiale, probabilmente da sempre, alla quale internet sta solo dando visibilità.
Arrivato con il doppio scopo di parlare alla conferenza per i 10 anni del Future Film Festival e presentare “Water Horse: la leggenda degli abissi”, l’ultimo lungometraggio per il quale ha realizzato una creatura digitale, Matt Aitken (qui sotto l’intervista di PIVideo) è uno degli esponenti di spicco della WETA, lo studio di effetti speciali per il quale ha curato i modelli digitali di “Il signore degli anelli”, la preproduzione di “King Kong” e ha diretto gli effetti di “Contact” e “Io, Robot”.

E per la WETA ha annunciato, proprio al Future Film Festival, che lo studio è al lavoro sulla virtual cinematography , cioè la direzione della fotografia virtuale. Una tecnologia in grado di migliorare la lavorazione in motion e performance capture, cioè quelle tecniche attraverso le quali si catturano i movimenti o le espressioni facciali di un attore per poi attribuirli a personaggi interamente creati al digitale in postproduzione.

Già con il secondo capitolo della saga “I pirati dei Caraibi” la Industrial Light And Magic (studio rivale e avanzatissimo) aveva innovato di molto questa tecnica, costruendo un sistema che consente agli attori i cui movimenti vanno catturati di recitare normalmente sul set con tutti gli altri (invece che in una stanza a parte davanti ad un green screen).

Ora Aitken ha spiegato come il loro lavoro (quasi finito ormai) consentirà ai registi di avere uno schermo sul quale visualizzare in tempo reale (ma necessariamente in bassa risoluzione) i movimenti che i sensori stanno catturando dalla performance dell’attore già attribuiti ad un fantoccio digitale.
Dunque una preview di quello che sarà l’effetto finale che dà la possibilità al regista di intervenire subito con indicazioni di regia come si trattasse di normale recitazione.

Il prossimo passo, sostiene Aitken, è implementare la medesima tecnologia consentendo anche di muoversi in tempo reale nell’ambiente digitale, per vedere la preview in bassa risoluzione da più punti di vista e sperimentare movimenti di macchina.

Tuttavia la parte più interessante riguarda i film alla cui lavorazione è al momento coinvolto lo studio. Impegnati come sono sul fronte del cinema tridimensionale e dell’animazione (con Avatar di James Cameron e il cartone Tintin) non è stato possibile non chiedergli se la tecnologia della proiezione stereoscopica, al suo ennesimo ritorno nelle sale, sia davvero qui per rimanere e che problemi comporti nella lavorazione di un film, e poi dove arriverà la ricerca del fotorealismo nell’animazione. C’era anche e soprattutto la Pixar al Future Film Festival di Bologna come quasi ogni anno.
Il 2008 ha visto l’arrivo di due parti complementari della realizzazione di un cartone in computer grafica: la sceneggiatura e l’animazione, nelle persone di Jim Capobianco (sceneggiatore già in forze alla Disney dal 1992 e passato alla Pixar nel 1997, responsabile tra gli altri per Alla Ricerca Di Nemo e Ratatouille) e Mark Holmes (graphic designer di personaggi e ambienti alla Pixar dal 1996, ha lavorato a Ratatouille, Monster’s & Co., Gli Incredibili e ora al lavoro su Wall-E).

il topo più famoso del momento Lo scopo della loro visita è stato presentare i rispettivi ultimi lavori per la loro società. Holmes ha tenuto una lezione sul lavoro che si è fatto dietro Stu – Anche Un Alieno Può Sbagliare , il cortometraggio alla cui realizzazione ha preso parte e che è andato nelle sale prima di Ratatouille, mentre Capobianco ha presentato Il Tuo Amico Topo , il cortometraggio inedito da lui diretto che sarà disponibile invece nei DVD di Ratatouille.
Particolare enfasi è stata giustamente posta sull’opera di Capobianco perché si tratta del primo esperimento di animazione tradizionale (in due dimensioni e disegnata a mano) proveniente dalla Pixar. Una prova preannunciata dalle dichiarazioni di un anno fa di Lasseter, il comandante in capo della compagnia, che all’indomani della loro acquisizione da parte della Disney aveva annunciato di avere intenzione di rispolverare il 2D.
Incontrati separatamente, abbiamo cercato di capire da loro dove stia la marcia in più dei prodotti e delle tecnologie Pixar, l’unico studio nella storia del cinema capace di inanellare solo capolavori e successi di pubblico e di critica vertiginosi da almeno 15 anni, cercando anche di capire da Holmes quali avanzamenti tecnici la Pixar punta a raggiungere con Wall-E.
Punto Informatico: Mr. Holmes quali sono state le cose più problematiche nella realizzazione di Stu – Anche un Alieno Può Sbagliare?
Mark Holmes: Una cosa che ci ha posto molti problemi e che ha necessitato di cicli di disegno molto molto lunghi sono state le ombre degli alieni, il rendering di quelle aree è stato particolarmente complesso ed ha allungato di molto la produzione.
È capitato anche che molte idee e rimedi che sembravano buoni in teoria, poi al momento di produrli non siano andati bene e questo ci ha costretti a ricominciare il lavoro da capo più di una volta. Come sempre, è stato un processo continuo di trial and error.

PI: E c’è qualcosa che poi alla fine non l’ha soddisfatta?
MH: Sì certo, c’è sempre, anche se magari il pubblico non se ne accorge. Nel mio caso è stata una questione di cattiva ripartizione dei tempi di lavoro. Abbiamo speso molto tempo all’inizio dedicandoci a particolari minuscoli, poi alla fine quando eravamo con l’acqua alla gola abbiamo dovuto realizzare alcune scene senza la perizia che meritavano.

PI: Ad esempio?
MH: Tutto il momento in cui il ragazzo viene finalmente tirato su dall’astronave non mi soddisfa, potevamo e dovevamo dedicargli più tempo ed attenzione invece che soffermarci sui particolari delle lampade nelle prime settimane di lavoro…

PI: Quanto ci vuole per fare un corto?
MH: Circa 9 mesi. È una forma che prediligiamo molto perché comporta pochi rischi, ha un budget limitato e consente di esprimere molta creatività e fare esperimenti che magari serviranno per i lungometraggi.
PI: Mr. Capobianco lei viene da una lunga militanza alla Disney, i modi di lavorare erano diversi rispetto alla Pixar?
Jim Capobianco: Sì! In Pixar tutto parte dal regista, si rispetta sempre la sua visione in ogni decisione, è lui ad indicare la via ed è il giudice supremo. In Disney invece tutti erano soggetti alle decisioni dei produttori, ai quali andavano mostrati tutti gli avanzamenti e tutte le idee. E chiaramente i produttori non sono dei registi e non hanno quel tipo di sensibilità per le storie.
Inoltre alla Pixar c’è un confronto continuo e creativo con altri registi amici, ai quali viene mostrato il materiale e ai quai vengono chiesti consigli. C’è molta onestà e rispetto reciproco, forse è questa davvero la differenza maggiore.

PI: Steve Jobs quanto è coinvolto in questo processo?
JC: Abbastanza, viene sempre alle riunioni, è il padrone ma è sufficientemente intelligente da delegare le decisioni a chi sa essere più esperto e dotato di lui nel campo. Ogni tanto vuole vedere gli avanzamenti, degli spezzoni o piccole scene e quando può dà anche suggerimenti che se sono buoni (e ogni tanto lo sono) vengono ascoltati.

PI: Da dove viene l’ispirazione per i vostri cartoni? Da altri prodotti animati o dal cinema dal vero?
JC: Non vediamo troppi altri film e se proprio lo facciamo solitamente si tratta di cinema dal vero. Quelli sono una fortissima fonte di ispirazione per i nostri cartoni e questo lo si vedrà soprattutto nel prossimo film, Wall-E che più di tutti sarà quello che, per soluzioni tecniche, si ispirerà al cinema dal vero.
Per quanto riguarda l’animazione invece non c’è molto che facciano i concorrenti che mi possa meravigliare. Forse l’unica casa a stupirmi davvero è la Aardman di Nick Park.

MH: Sicuramente ci ispiriamo più al cinema dal vero, in special modo per le ultime produzioni. Per Wall-E, al quale sto lavorando, è stato dedicato molto tempo allo studio e all’imitazione del funzionamento delle macchine da presa reali. Il modo in cui sono imitati i veri obiettivi, le vere lenti (di diverso tipo) utilizzate per riprendere in modi diversi le situazioni sono impressionanti e un vero passo avanti, anche l’uso che viene fatto della profondità di campo non è nulla di usuale.
Inoltre volevamo riprendere alcune scene come se fossero state riprese con camera a mano e questo non è stato semplice, imitare gli scossoni e i movimenti di un operatore reale è molto molto complesso e ha necessitato un’operazione non facile di reverse engineering. Abbiamo ripreso realmente con vere macchine a mano i disegni delle scene e poi abbiamo studiato quei i movimenti per imitarli al computer.

i personaggi di uno dei più celebri film della casa PI: Per voi quanto è importante il fotorealismo?
MH: In un certo senso. Ci puntiamo solo in parte. Il nostro obiettivo non è, non è stato e non sarà mai il fotorealismo. Lo si vede anche delle cose che abbiamo fatto, come vogliamo creare una realtà che sia unica nel suo genere e non imitare la nostra. La fisica che sottende i nostri film e i movimenti dei nostri personaggi non è quella vera ma è inventata e questo complica tutto.
Per esempio per Gli Incredibili non ci potevano essere punti di riferimento per come funzioni il movimento e come reagiscano corpi sproporzionati come quelli dei nostri personaggi, abbiamo dovuto studiare tutto da noi, creandoci delle leggi che valgono unicamente per quel film.
È la vera magia: rendere credibile l’irreale.

PI: Dall’altra parte invece Il Tuo Amico Topo sperimenta per la prima volta il 2D e il disegno a mano…
JC: Esatto “la nuova frontiera dell’animazione”! (ride) Il Tuo Amico Topo fa da pioniere in questo senso, abbiamo dovuto sviluppare nuovi flussi creativi e nuovi processi produttivi, tutta una nuova tipologia di organizzazione. Ci ha lavorato infatti tutto il comparto che solitamente fa la preproduction, cioè gli storyboard, perché sono i più abituati a fare disegni a mano. E le conquiste che abbiamo raggiunto spero possano fare da base al lavoro futuro in 2D.
È infatti qualcosa sulla quale non abbiamo intenzione di mollare, anche se al momento è più la Disney a lavorarci, specialmente a livello di corti.

PI: esiste un’idea di progetto di lungometraggio in 2D per la Pixar?
JC: Al momento no. È la prima volta che un evento ufficiale di cinema ospita (di fatto riconoscendogli ufficialmente un ruolo nell’industria) i principali blogger di cinema, dando loro la possibilità di spiegare, spiegarsi e mostrarsi anche a chi non sia a conoscenza della loro esistenza.

Sono i cinebloggers , l’unica categoria di blog autodeterminatasi come tale e strutturata come una comunità dove ognuno con il proprio blog fa riferimento ad un terzo luogo della rete, la cineblogger’s connection , nel quale si riuniscono i giudizi di tutti sui film in sala e si aggregano i singoli post secondo un rigoroso sistema di valutazione.

Ad organizzare l’evento è stato Andrea Bruni , redattore di Nocturno (rivista cartacea di critica cinematografica) ma anche blogger sotto il nome di contenebbia , uno dei pochissimi anelli di congiunzione tra i due mondi che ha portato a Bologna nomi ben più illustri della rete italiana per gli appassionati di cinema.

C’erano Kekkoz (Francesco Chignola), Ohdaesu (Lorenzo Bertolucci), Manu (Emanuele Marchesi), Roy (Roy Menarini) e SaraTheHutt (Sara Sagrati) a parlare e discutere del fatto se i blog di cinema facciano o no critica, se la passione profusa senza scopo di lucro si traduca in un discorso valevole la considerazione dell’ambiente più istituzionalizzato e se le centinaia di visite quotidiane che provengono dai principali motori da parte di chi cerca informazioni su film altrimenti non considerati da nessun’altro non rendano di fatto questo fenomeno critica .
Se c’è qualcuno che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni è Bruce Sterling . Scrittore, giornalista, redattore e critico, ha scritto otto romanzi di fantascienza che hanno contribuito a definire il genere cyberpunk, oltre a racconti, articoli (tiene un blog per Wired), recensioni e introduzioni ad altre opere. È ad oggi uno dei più ascoltati “futuristi”, categoria che comprende coloro i quali studiano il presente, e soprattutto il passato, per cercare di capire secondo quali linee potrebbe svilupparsi il futuro.

Invitato a parlare per la conferenza dei 10 anni del Future Film Festival a proposito delle nuove frontiere della distribuzione cinematografica in rete, Sterling a sorpresa non ha illustrato un futuro, ma quattro possibili scenari corrispondenti a quattro diversi tipi di rapporti che la tecnologia può stringere con le componenti sociali, etiche e legali del nostro mondo.

Eccoli:

a cura di Gabriele Niola

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Pubblicato il 28 gen 2008
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