Assolto grazie alla cache

Assolto grazie alla cache

Un lettore parla dell'assoluzione di un utente italiano, accusato di aver scaricato immagini di pornografia infantile. Ma non le aveva salvate volontariamente
Un lettore parla dell'assoluzione di un utente italiano, accusato di aver scaricato immagini di pornografia infantile. Ma non le aveva salvate volontariamente

Scrive Enrico G.: “Questo è quanto si legge nell’ articolo di oggi di SannremoNews riguardo ad un processo in cui l’imputato, oggi assolto, era accusato di disporre di materiale pedopornografico realizzato “mediante lo sfruttamento di minori”:

(…)
“il consulente incaricato di esplorare il computer dell’imputato per verificare se l’hard disk contenesse il materiale pornografico contestato in seguito ad un’indagine condotta dalla Polizia Postale. Il professionista, peraltro molto esperto e conosciuto (sta conducendo indagini anche sul pc di Raffaele Sollecito, il ragazzo indagato per il delitto di Perugia), ha risposto alle domande del PM e dell’avvocato Mario Leone, legale della difesa, sottolineando che le foto dei bimbi rinvenute nel computer dell’uomo erano proprie del sistema operativo in uso e non erano state volontariamente scaricate dall’imputato.(…)”

Come può essere immagini “proprie del S.O.” siano scambiate per materiale pedopornografico? Anche se con tale, impropria, terminologia si volesse far riferimento ad immagini della “cache” del browser è incredibile e sconcertante che tali immagini, pescate durante la normale “navigazione su internet” possano portare ad una denuncia per detenzione di materiale pedopornografico. In questo contesto, allora, chiunque di noi potrebbe subire un processo simile solo per aver navigato.

Mi chiedo poi quale tecnico o perito della polizia postale, nel suo lavoro durante le indagini, possa avvallare la definizione delle immagini nella cache (spesso facilmente riconoscibili per le ridottissime dimensioni), quali immagini di pornografia infantile! Le cose sono due: o questo signore navigava in siti altamente sospetti, tanto da ricavarne immagini nella cache di atti sessuali perpetrati indiscutibilmente su minori, (e in questo caso non si tratta di normale “navigazione su internet”) oppure siamo al punto che qualunque persona oggetto di perquisizione casalinga può essere imputata di un’ipotesi di reato infamante e socialmente distruttiva come quella della pedopornografia!

Sono sconvolto. Ma chi è pagato da noi tutti per fare questo tipo di indagini sa quello che fa? E ancora, per potersi poi difendere adeguatamente da accuse come queste e uscire puliti dai processi bisogna assoldare i migliori periti della nazione? E se uno non può permetterseli che fa? Patteggia?

ringraziandovi per l’attenzione
Enrico

Caro Enrico
non conoscendo gli atti del processo è difficile commentare una succinta notizia di stampa. Quel che si evince è che le immagini si trovavano nella cache e dunque, come avviene secondo una giurisprudenza acquisita e non solo in Italia , non essendo state riportate su altri supporti né salvate volontariamente dall’utente non potevano costituire prova sufficiente per una condanna. Come a dire che l’utente in quei materiali si è imbattuto ma non costituivano il proprio scopo né intendeva conservarli o diffonderli ulteriormente.

Sarebbe di sicuro interesse comprendere le ragioni dell’incriminazione, probabilmente legate alle modalità di analisi dei computer sequestrati oppure alle procedure tecnologiche che hanno portato all’individuazione dell’uomo. Ma siamo dinanzi ad una sentenza di assoluzione, non di colpevolezza, e dedurre da qualche passo di una sentenza del genere una impreparazione delle forze dell’ordine mi sembra affrettato. Sicuramente una sentenza di segno diverso, stante le scarse informazioni in materia, avrebbe sollevato molta polvere.
Alberigo Massucci

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Pubblicato il
29 gen 2008
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