Quanto vale una tacca?

Quanto vale una tacca?

L'interrogativo sorge spontaneo agli utilizzatori dei cellulari, che spesso ne fanno impiego senza conoscerne il significato. Ma serve davvero conoscerlo?
L'interrogativo sorge spontaneo agli utilizzatori dei cellulari, che spesso ne fanno impiego senza conoscerne il significato. Ma serve davvero conoscerlo?

“Devo fare una telefonata importante ma, accidenti, ho una tacca sola “. Una frase che ormai non desta neppure attenzione, una semplificazione che fa parte del frasario comune di chi ha in mano un cellulare. Ma perché ci sono le “tacche” e, soprattutto, a cosa servono davvero? Se lo chiedono persino sul blog del NewScientist : molti sono i lettori interessati a chiarire la questione.

Le “tacche” altro non sono che la versione binaria – adatta, dunque, al mondo digitale – di un particolare circuito elettronico che, quando vive di “vita propria”, prende il nome di misuratore di campo . Non fa altro che misurare quanto è forte il segnale radio che giunge dal punto in cui è trasmesso, nel caso dei cellulari le stazioni radio base .

La misura può essere generica, come quella svolta dallo strumento in figura, o specifica, quindi attuata nei confronti di una ben precisa trasmissione, ed è svolta con versioni più sofisticate dello stesso strumento.

La sua scala di misura, se usata in campo professionale, è graduata e precisa, mentre per gli altri impieghi può anche essere solo orientativa. Dunque, una tacca vale un certo numero di unità di campo , anche nei cellulari di oggi. Qualsiasi ricevitore radio – ivi compreso un televisore, un ricevitore satellitare, qualsiasi cosa che “riceva” onde radio – può essere corredato di questa funzionalità. Nei radiotelefoni degli anni 80 e 90 (questo sarebbe il nome corretto, anche per i cellulari), cioè le prime generazioni, il misuratore di campo era già a “tacche”, ma aveva un comportamento analogo allo strumento in figura: le tacche reagivano con prontezza e in modo fedele al variare della forza del segnale ricevuto. Era necessario perché era frequente trovarsi in zone del tutto prive di copertura.

Oggi, nei cellulari digitali – quindi GSM e UMTS – la sua funzione esteriore è la stessa ma il comportamento è cambiato: molti si accorgono di una sorta di lentezza di risposta, come se le tacche reagissero tardivamente rispetto alle variazioni di segnale. Ed è verissimo, accade esattamente così e non si tratta di un malfunzionamento. Al di là dei motivi tecnici che determinano questo comportamento non vi è alcuna esigenza, per l’utilizzatore, di conoscere altri complessi dettagli.

Può essere dunque presa per buona, anzi, buonissima, la spiritosa suddivisione presente sul blog del NewScientist , che si basa su un totale di quattro casi di possibile utilizzo del cellulare, a seconda delle tacche presenti. Se sul proprio si hanno più o meno tacche totali, basterà procedere per approssimazioni:

  • Nessun segnale
  • Solo SMS
  • Probabile scarsa qualità di conversazione
  • Nessun problema
  • Molto empiricamente, tralasciando i casi estremi – nessuna o tutte le tacche – si può dire che il nuovo significato pratico del misuratore di campo a tacche possa considerarsi questo e non quello “accademico” che, per la sopravvenuta enorme complessità tecnologica di un cellulare moderno, resterebbe incomprensibile per la stragrande maggioranza degli utenti.

    Come comportarsi se il proprio cellulare ha un totale di 3, 4, 5 o più tacche? Esattamente nello stesso modo : zero tacche = buio pesto, una tacca = solo SMS, da due a tre = qualche problema di qualità, da quattro a tutte = situazione ideale.

    Va ricordato che, nelle pur rare ma esistenti situazioni in cui il segnale scompare (cioè le tacche sono zero o quasi) è bene spegnere del tutto il cellulare: in quella circostanza trascorrerebbe tutto il proprio tempo a cercare una rete a cui collegarsi, scaricando rapidamente la batteria.

    Marco Valerio Principato

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    Pubblicato il 5 feb 2008
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