L'IT e la Sindrome di Dilbert

L'IT e la Sindrome di Dilbert

di G. Cubasia - L'impresa da un lato assume i migliori talenti, con ottimo voto di laurea, Master, esperienza significativa, max 25 anni. Una volta assunti se ne lava le mani, e loro stessi si trasformano. Succede. E' successo. Succederà
di G. Cubasia - L'impresa da un lato assume i migliori talenti, con ottimo voto di laurea, Master, esperienza significativa, max 25 anni. Una volta assunti se ne lava le mani, e loro stessi si trasformano. Succede. E' successo. Succederà

Che cosa succede, quando per la ditta in cui stiamo lavorando l’innovazione è l’ultima delle sue priorità? Succede che ci sovviene a poco a poco un senso di stanchezza, di noia e di frustrazione, questo stato d’animo io lo chiamo Sindrome di Dilbert.

Naturalmente l’impresa per cui stiamo lavorando deve potersi permettere d’escludere l’innovazione tra le sue priorità, quindi in genere ci troveremo a lavorare o in una grossa Corporation, come Dilbert, probabilmente in un regime di monopolio, oppure in una piccola realtà cui mancano i fondi anche per piccoli investimenti.

Dilbert è un innovatore, un Bravo Informatico , un risolutore. È decisamente convinto che eseguire il suo lavoro alla perfezione, portando dei vantaggi economici e strategici all’impresa, lo porterà lontano.

In realtà ogni suo sforzo e sacrificio per avanzare nella scala gerarchica è vano, anzi, lo ricaccia sempre più indietro e lo pone in cattiva luce agli occhi di tutti. Questo accade perché in una ditta in cui manca la percezione del ROI, l’unico valore riconosciuto è la fedeltà al proprio superiore, intesa sia come esplicito appoggio incondizionato a qualsiasi sua azione, sia come complicità in qualsiasi azione il suo capo intraprende nei riguardi dell’Alta Direzione.

Un esempio è dato dalla vignetta in cui il capo vuole che Dilbert dichiari che il loro prodotto, notoriamente cancerogeno, sia un prodotto innovativo che cambierà la vita alle persone. Dilbert si rifiuta di dire una cosa simile reputandola una bugia, mentre il capo gli fa notare (con stizza) che si tratta solo di Marketing.

Una persona come Dilbert, che rimarca o dimostri come le idee del capo siano quantomeno d’inverosimile attuazione, è bollato per sempre come un pericoloso innovatore.
È interessantissimo notare come ogni sforzo di Dilbert per superare il muro di gomma del suo capo sia inutile. Né le lusinghe, né le minacce, né il miglior lavoro del mondo riesce a smuovere il capo la cui sola funzione aziendale sembra essere quella di fare da isolante all’Alta direzione di qualsiasi tipo di lamentela arrivi dal basso. Sembra che il suo compito sia di dire sempre: va tutto bene, succeda quel che succeda.
Di fronte ad un tale muro di gomma o ci si arrende o si diventa gomma a sua volta.

Devo dire che però il capo di Dilbert è anche molto sincero. Una sincerità che si esprime dall’SMS che invia a Dilbert per comunicargli la sua valutazione annuale, con la sola parola, “ok”; a come risponde alla domanda di una sua collaboratrice: “Ma tu potresti parlare bene di me per farmi avere un aumento?” “E perché dovrei?”. A sottolineare come in una grande Corporation sia utile solo l’opinione di chi si trovi sopra di me, e mai quella di chi ti è inferiore gerarchicamente.

Ovviamente anche il capo deve però mostrarsi in qualche modo innovativo e questo si vede con gli innumerevoli esperti che ogni tanto capitano presso la scrivania di Dilbert, il cui solo scopo è quello di “far vedere” che l’azienda è al passo con i tempi. Passano, infatti, presso Dilbert gli esperti della sicurezza, d’organizzazione aziendale, di motivazione personale, di budget, di PMI, perfino esperti nel riciclo ecologico. Ogni esperto porta poi la sua “geniale” idea di come le cose devono funzionare in una ditta moderna, per poi essere sempre sbugiardato dalla praticità ed efficienza del bravo informatico Dilbert che dimostra l’irrealtà delle affermazioni dell’esperto o che la stessa cosa la si ottiene con 1% di spesa o che addirittura sia inutile se non dannosa. Ovviamente questo lo rende ancora più odioso agli occhi di tutti perché lo bolla irrimediabilmente come un nemico del progresso!

Il secondo stadio della Sindrome di Dilbert è l’indifferenza.
Avendo tentato in tutti i modi “razionali ed onesti” di farsi notare, Dilbert si rassegna e passivamente ed accetta qualsiasi cosa ma prima, come ultimissima chance, va a lamentarsi con il Personale. È bello vedere come il capo del Personale quasi nella stessa vignetta riceva prima il capo di Dilbert e successivamente Dilbert, e dia ragione ad entrambi! Ovviamente il capo del Personale si astiene da qualsiasi azione concreta, ma è molto prodigo di consigli e di sorrisi per tutti.
È fin troppo chiaro al nostro Dilbert che anche il capo del Personale fa parte della piramide di muri di gomma che dovrebbe scalare prima di vedere il suo pensiero gratificato.
A questo punto Dilbert si arrende, riflette sulla sua situazione, e decide di trovarsi un cantuccio in azienda aspettando la pensione e godendosi gli inutili sforzi dei neo assunti per fare carriera.

E qui penso che tutti abbiano notato la dissonanza tra le azioni dell’HR-Recruiting (ossia di assunzione di risorse umane) con le azioni del HR-Developing (formazione e sviluppo delle risorse umane). In pratica, la stessa impresa da una parte pretende requisiti impossibili per procacciarsi i migliori talenti sul mercato; ottimo voto di laurea, Master, un’esperienza lavorativa breve ma significativa, età non superiore ai 25 anni e poi, una volta assunti, li abbandona completamente a se stessi ed alla loro buona sorte, trasformando i talenti come Dilbert in corpi in attesa di pensione.

È come se in azienda entrassero cellule staminali e poi, l’unico uso che se né fa è quello di realizzare zombie. Un esempio chiarissimo di questo processo è l’assunzione nell’organizzazione Statale. Occorre vincere un concorso per essere assunti, risultare il migliore tra tutti, superare molte prove, e poi una volta assunti si rimane nello stesso posto per sempre, senza che nessuna azione possa portare ad un cambiamento. Il simbolo di questo processo è l’impiegato delle poste, colui il quale ha come obiettivo quello di arrivare a fine giornata, ben sapendo che se quel giorno realizza 1.000 azioni o nessuna per Lui non cambierà mai nulla.

Il nostro Dilbert è, però, una persona diversa, un innovatore, una persona che risolve, per Lui starsene con le mani in mano è qualcosa che va contro la sua natura e perciò, dopo un po’ di tempo, questa fase d’apatia passiva, diventa apatia attiva.
In pratica Dilbert passa dall’ostruzionismo passivo a quello attivo.
Questo atteggiamento è ben visibile nel collega di Dilbert che riesce immancabilmente ad evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento in qualsiasi attività, anche la minima, eccetto per le riunioni, specie quelle molto numerose, dove per loro stessa composizione è impossibile decidere qualcosa.

Il collega di Dilbert, perennemente con una tazza di caffè in mano a significare che qualsiasi Vostra interferenza sarà intesa come un disturbo durante la sua sacra pausa, mette in pratica una serie infinita d’azioni personali per evitare che possa essere ritenuto responsabile della ben che minima cosa.

Questa tattica nelle Dilbert’s company è molto usata- Per farvi un esempio, io ho avuto un collega in passato che riusciva a passare le giornate con la testa sempre rivolta verso la tastiera per evitare che qualcuno lo potesse coinvolgere in qualcosa. Una volta l’ho dovuto disturbare per chiedere se potessi…non mi ha fatto finire la frase, mi ha detto “mandami un’email sono troppo occupato adesso, quando ho tempo ti rispondo”. (Gli volevo chiedere se potevo aprire la finestra della stanza).

La Sindrome di Dilbert è molto contagiosa. In poco tempo riesce a trasmettersi a tutti i colleghi di tutti i compartimenti generando un’inutile ed incredibile Entropia il cui unico scopo è quello di trovare un senso a ciò che ogni giorno si fa in ufficio.
Anche la stessa Alta Direzione non è immune a questa Sindrome. Gli unici a non esserne contagiati sono le poche persone che lavorano indefessamente per produrre qualche risultato concreto, con costi personali altissimi; infatti, spesso le persone che si sono sacrificate per una nobile causa o muoiono per stress o malattia.

Il successo di Dilbert negli anni è proprio nel fatto che i personaggi della striscia sono perfettamente riconoscibili in ogni realtà aziendale.

La comica tragica realtà è che queste situazioni, che costano alle imprese moltissimo in termini di produttività e d’innovazione, sono anche le più difficili per un’azienda da rilevare senza un intervento esterno che aiuta l’impresa a capire come lavora e come è posizionata sul mercato.

Filiali italiane d’imprese estere hanno per tradizione l’ispezione biennale da parte di una società esterna, scelta dalla casa madre sul clima aziendale e sul lavoro che le persone svolgono.
Le conclusioni cui arrivano queste società specializzate sono spesso sorprendenti, e le azioni correttive proposte portano a notevoli cambiamenti sia nell’organizzazione, sia nel rapporto Capo-Collaboratore, sempre che però sia abbia il coraggio per realizzarle.

Infatti la cura per un cancro come la Sindrome di Dilbert è spesso l’amputazione di molti rami dirigenziali ed un senso di smarrimento che solo l’iniezione di robusti sani inneschi di sana imprenditoria può eliminare generando quel valore aggiunto che è proprio di un’azienda in salute.

Nella realtà di tutti i giorni, se sentite che Vi state ammalando della Sindrome di Dilbert ci sono solo due soluzioni, da sempre consigliate da tutti i medici:
1) Avete bisogno di un ambiente più salutare, vi consigliamo di trascorrere maggior tempo in un luogo ameno, meglio se lontano da dove attualmente lavorate;
2)Vaccinatevi! Diventando a Vostra volta Gomma! Si evita il peggiorare della situazione, senza purtroppo migliorarla.

Giuseppe Cubasia
Cubasia blog

I precedenti interventi di G.C. sono disponibili a questo indirizzo

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Pubblicato il
22 feb 2008
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