UK, divieto di anonimato web per le imprese

UK, divieto di anonimato web per le imprese

Anche nel Regno Unito una legge contro le campagne pubblicitarie fantasma. Se si vuole comunicare con i consumatori, si dovrà farlo alla luce del sole. In Italia è già obbligatorio. Tutti i dettagli
Anche nel Regno Unito una legge contro le campagne pubblicitarie fantasma. Se si vuole comunicare con i consumatori, si dovrà farlo alla luce del sole. In Italia è già obbligatorio. Tutti i dettagli

Stop al viral marketing anonimo: niente più video postati su YouTube sotto mentite spoglie, niente più messaggi anonimi su forum e blog. Anche il Regno Unito sceglie la strada della trasparenza per le aziende online, e dal prossimo maggio – per effetto del Consumer Protection from Unfair Trading Regulations – tutti coloro che vorranno utilizzare Internet per fare pubblicità ai propri prodotti dovranno dichiarare con chiarezza chi sono e per conto di chi parlano.

Il fenomeno, conosciuto come buzz marketing o astroturfing , si basa su un concetto molto semplice e conosciuto dagli esperti di comunicazione: il consumatore, l’elettore, lo spettatore è più incline ad accettare un consiglio, un’indicazione di voto, un suggerimento offerto da un suo pari. Il parere di amici e conoscenti conta molto nelle scelte personali, e questo concetto in rete si amplia ai frequentatori di forum e blog.

Se un impiegato di una agenzia di comunicazione, o un dipendente di una azienda, si fa passare come un comune utente di una qualsiasi piattaforma, sarà per lui molto facile indirizzare quanti lo leggeranno verso opinioni più benevole su un prodotto o un marchio. Il rischio tuttavia è che, se venisse scoperto, tutto il lavoro in positivo per l’azienda si trasformi in un boomerang sul piano dell’immagine. E, come spiega il consulente di comunicazione e marketing aziendale Mafe de Baggis a Punto Informatico “se prima c’era un danno di immagine ora ci sarà anche un danno legale”.

Celebri i casi Coca Cola , Sony e WallMart , costati alle rispettive aziende molte scuse e qualche retromarcia tardiva. Ma la cronaca d’oltreoceano riporta anche casi più recenti e attuali legati alla corsa per le primarie democratiche, e sono sorte vere e proprie organizzazioni di consumatori con l’unico obiettivo di svelare queste pratiche .

La nuova legge approvata dal Parlamento britannico altro non è che il recepimento della Direttiva 2005/29/CE emanata dalla Unione Europea in materia di pratiche commerciali scorrette. Una direttiva già inserita nell’ordinamento legislativo italiano lo scorso anno con il decreto legge 147/2007 : anche nel Belpaese utilizzare Internet, o qualsiasi altro media, con fini promozionali ma senza rendere immediatamente identificabile l’autore delle dichiarazioni è un reato, punibile con sanzioni pecuniarie fino a 500mila euro .

Come spiegato dal Ministero dello Sviluppo Economico in una circolare, “il campo di applicazione della nuova disciplina non prevede più solo i messaggi di pubblicità ingannevole o di pubblicità comparativa illecita”, bensì include “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”. Il problema sono le conseguenze di certi comportamenti: condizionare il cittadino “inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso” è un reato, e come tale va trattato dentro e fuori la rete.

Alcune aziende, tuttavia, in passato hanno adottato queste tecniche: “La domanda da parte degli investitori c’è, anche se a volte è posta in modo ingenuo – spiega de Baggis – In molti casi le aziende pensano di non poter postare il proprio nome: in ogni caso, non si può andare in giro per i blog a dire comprate! come fosse normale”. Questo tipo di regolamentazione è dunque la benvenuta : “Su internet devono valere le leggi che valgono per tutti gli altri media: se ti truffo online o se ti truffo in un negozio non fa differenza”.

In questo caso, prosegue de Baggis, non si tratta del solito tentativo di arginare un comportamento tipico della rete ed estraneo alla vita reale: regolare questo tipo di attività “è una scelta assolutamente positiva, se lo si fa con cognizione di causa come in questo caso. Il problema sono le cattive leggi, non le leggi in sé”. Le conseguenze di questa decisione non potranno che essere positive: “Ora sapremo cosa rispondere a chi ci chiede di fare spam sui blog: non si può, è vietato dalla legge”.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
15 apr 2008
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