Italia, quale innovazione nelle Università?

Italia, quale innovazione nelle Università?

Prima inchiesta di Punto Informatico sullo stato dell'e-didattica. L'Italia messa a confronto con il contesto internazionale. Il MIT fa scuola in mezzo mondo, e gli atenei italiani? Gli studenti parlano di periferia dell'innovazione
Prima inchiesta di Punto Informatico sullo stato dell'e-didattica. L'Italia messa a confronto con il contesto internazionale. Il MIT fa scuola in mezzo mondo, e gli atenei italiani? Gli studenti parlano di periferia dell'innovazione

In principio furono i corsi del Consorzio Nettuno: andavano in onda nel cuore della notte sulle reti televisive nazionali, con riprese a camera fissa, ed offrivano lezioni di materie scientifiche svariate sotto la guida di docenti dall’aria arcigna, e spesso un po’ grigia. Eravamo negli anni Ottanta, allora, e nella maggior parte delle case non c’erano personal computer né portatili né, tantomeno, internet. Le università erano le Università, e parlare di “formazione a distanza” appariva ancora come un divertimento per intenditori, o una semplice provocazione.

Da allora, però, molte cose sono cambiate. Le università si sono trasformate, esplorando nuove modalità educative e diversificando la propria offerta didattica; nuovi attori si sono affacciati sul mercato della formazione, facendo una concorrenza spesso serrata alle istituzioni tradizionali. Ma, soprattutto, l’ innovazione tecnologica ha stravolto gli schemi educativi più consolidati , moltiplicando gli strumenti e le possibilità a disposizione di docenti e discenti: la formazione a distanza (FAD), fusa e disciolta nel frattempo nel più moderno “elearning”, è divenuta realtà, ed oggi costituisce un dato acquisito a (quasi) tutte le latitudini.

Ai giorni nostri, allora, è normale trovare online i materiali didattici di istituzioni accademiche come il MIT di Boston o l’Università di Berkeley, e non appare strano che i docenti invitino i propri studenti a imparare la scrittura attraverso i blog, o a risolvere collaborativamente i quesiti attraverso wiki. Allo stesso modo, non desta meraviglia che grandi player tecnologici come IBM e Google investano robustamente in progetti didattici congiunti con le università o commissionino loro il design e lo sviluppo di piattaforme e-learning integrate .

Negli USA, tutte le università combinano sempre più spesso l’insegnamento in presenza con moduli online . La norma è impiegare i tool e le piattaforme di elearning come supporto per la didattica tradizionale (c.d. enhanced learning ), ma si affermano anche esperienze di didattica mista (lezioni in presenza più lezioni a distanza, c.d. blended learning ), e si accresce parallelamente anche l’offerta di corsi di laurea interamente online. Secondo il Survey 2007 dello Sloan Consortium, nel 2006 almeno 3,5 milioni di studenti hanno seguito almeno un corso online (+10% rispetto all’anno precedente) e il numero di iscrizioni alle lauree a distanza continua a crescere impetuosamente. Gli atenei trovano nell’offerta FAD la possibilità di entrare in contatto con fasce di “mercato” diversamente non raggiungibili (anziani, disabili, lavoratori più o meno giovani, detenuti), mentre i discenti apprezzano soprattutto gli aspetti di flessibilità e modulazione dei corsi a distanza, che consentono loro di conseguire il titolo di studio senza abbandonare il proprio lavoro o la propria casa (tranne ovviamente per gli esami, tenuti presso la sede universitaria).

In secondo luogo, come accennato sopra, molte università statunitensi hanno cominciato a rendere liberamente disponibili online porzioni o versioni integrali dei loro cataloghi di materiali didattici , secondo la logica dell’ Open Access . Con OpenCourseWare (OCW) , forse la più nota tra le iniziative di questo tipo, il Massachussets Institute of Technology mette a disposizione di ogni navigatore internet del mondo i documenti (testi, audio, video, slide) relativi a tutti i 1800 corsi del proprio catalogo formativo. OCW viene visitato ogni mese da circa un milione di utenti unici (il 61% dei quali non statunitensi) e fa proseliti in ogni parte del mondo: nel 2006 si contavano 70 mirror sites da tutti i continenti, e molte università impiegano oggi la piattaforma dell’MIT per pubblicare i propri materiali.

All’interno dell’Unione Europea, la Commissione punta con convinzione sull’ elearning per raggiungere i cosiddetti “Obiettivi di Lisbona” e promuovere il molto pubblicizzato “apprendimento continuo” (LifeLongLearning) in tutti i paesi aderenti. In un recente seminario virtuale tenuto presso il Consiglio d’Europa, alcune delle realtà europee più progredite nel settore hanno portato la propria esperienza, raccontando di come operino e di come stiano attrezzandosi di fronte alle nuove sfide poste dalle reti sociali del c.d. “web 2.0”. Troviamo così che nel vecchio continente si affermano esperienze ormai consolidate di università a distanza , come la britannica Open University che “serve” 150.000 iscritti e sta sul mercato da oltre 12 anni. Ma ci sono anche Atenei tradizionali (la FernUniversität di Hagen e la Università di Lòdz sono due esempi) che si sono già attrezzati per rendere disponibili online i loro materiali didattici, riorganizzare le modalità di svolgimento delle lezioni, offrire corsi di laurea online.

In Finlandia (fonte: ELUE Report ) lo stato investe ogni anno 9 milioni di euro per lo sviluppo di progetti elearning universitari, e i 21 atenei del paese si sono riuniti in un consorzio (la Finnish Virtual University ) per gestire al meglio esigenze e risorse disponibili. In Francia, d’altra parte, molte istituzioni universitarie hanno “fatto rete” in “campus digitali” consortili (fonte: ELUE Report) per impiegare al meglio i fondi statali e sviluppare insieme nuovi progetti sulle frontiere della FAD. Ad un primo sguardo, il quadro offerto dall’elearning nostrano si presenta in chiaroscuro, con alcune “luci” sfavillanti ma anche con molte, moltissime ombre.
Primo dato, manca da noi una cornice nazionale di riferimento. Dice Alberto Colorni , uno tra i massimi esperti di elearning in Italia e Direttore del Centro METID del Politecnico di Milano: “Nel nostro paese manca ancora oggi un framework di riferimento a livello ministeriale, per cui le varie iniziative sul territorio si sviluppano in modo separato e, spesso, slegate le une dalle altre”. In effetti, dal punto di vista normativo l’unica cornice è data dal Decreto Ministeriale del 17 Aprile 2003, che definisce i criteri e le procedure necessarie agli atenei per accreditarsi come erogatori di formazione a distanza. Ma tale provvedimento, purtroppo, non prevede piani di investimento a favore delle università impegnate in progetti di sviluppo di FAD, né individua priorità programmatiche nello sviluppo dei servizi.

Per contro, il decreto sopra citato ha un ruolo decisivo rispetto alle cosiddette università telematiche : dopo la sua promulgazione sono nate anche nel nostro paese diverse realtà tipo Open University, che offrono corsi di laurea in modalità esclusivamente online, in modo autonomo e indipendente rispetto ai circuiti tradizionali. Fanno parte di questo universo “parallelo” organizzazioni come UniNettuno (estensione telematica del quasi omonimo Consorzio), Università telematica TEL.MA e, soprattutto, l’ Università Telematica Guglielmo Marconi ] leader del settore con una quota di mercato relativa dell’81,4% (fonte: Rapporto Omniacom 2007). Questi atenei “virtuali” costituiscono una realtà singolare- e molto spesso criticata- all’interno del panorama universitario nazionale: sono spesso opachi dal punto di vista dell’organizzazione e della didattica, attraggono un numero di iscritti estremamente limitato (nel 2006/07 erano in totale 9.376 secondo le stime Omniacom ma riescono comunque ad attirare una quantità significativa di fondi e finanziamenti, anche pubblici.

Dal lato delle università “tradizionali”, per converso, il quadro appare articolato. Il sistema è sicuramente in movimento: secondo i dati riportati nell’Osservatorio SIE-L 2007 della Società Italiana di E-Learning, negli ultimi anni praticamente tutte le università italiane hanno creato strutture di Ateneo a supporto dell’elearning , cominciando in alcuni casi anche ad offrire Corsi di Laurea interamente online (soprattutto nei settori dell’Ingegneria e delle Scienze della Formazione). Al di là di questi impieghi più avanzati, comunque, le applicazioni FAD si sono affermate anche e soprattutto come strumenti integrativi rispetto alla didattica tradizionale, alla quale offrono una significativa estensione al di là della dimensione d’aula (il già citato enhanced learning ).

A livello di tecnologie, per supportare lo svolgimento delle attività a distanza i docenti si servono generalmente di piattaforme elearning integrate (LMS, Learning Management Systems), che ospitano al loro interno diversi strumenti di interazione asincrona (forum, database di dispense, mailing list) e sincrona (chat, sistemi di teleconferenza). Molto meno presenti, anche se in ascesa nell’ultimo periodo, le funzionalità di tipo “social” come wiki, blog e metamondi. Nella maggioranza dei casi le piattaforme ed i tool al loro interno vengono sviluppati inhouse dai singoli Atenei o comprati sul mercato, ma sono in costante crescita anche le scelte a favore di soluzioni open : stando all’Osservatorio SIE-L queste ultime sono già oggi impiegate nel 48% dei progetti, ma alcune di esse (in particolare l’ambiente Moodle ) si vanno rapidamente affermando come punti di riferimento obbligati per le nuove iniziative.

Per finanziare le proprie iniziative di elearning, diversamente da quanto accade negli altri paesi europei, le nostre università non possono contare su piani di investimento ministeriali strutturati. Per questo, la fonte primaria di sostegno è costituita dai budget interni di ateneo , dai quali vengono ricavate le risorse di base a supporto dello sviluppo e della gestione di nuove iniziative. Accanto a questa, le altre modalità prevalenti di approvvigionamento economico sono date dalla partecipazione a progetti (regionali, nazionali e, soprattutto, europei), dall’assegnazione di fondi ministeriali specifici o da sponsorizzazioni di Fondazioni ed enti locali. Il ricorso a partnership con attori privati è ancora limitatamente incidente, ma appare comunque in crescita: secondo la già citata Indagine CRUI 2007, il 33% delle istituzioni universitarie impiega fondi privati in maniera “minoritaria”; il 4% non ne impiega per nulla ed il restante 63% pur non avendo correntemente partnership attive, conta di ricorrervi in futuro.

Se poi andiamo alla ricerca di “buone pratiche” sul territorio, troviamo prima di tutto il Centro METID del Politecnico di Milano. Nato nel 1996 per sperimentare nuove forme di FAD, METID ha segnato praticamente tutti i primati relativi all’elearning universitario italiano: nel 2000 è stato il primo ad offrire un corso di laurea interamente online , e per primo ha licenziato nel 2003 dei laureati in questo campo. È stato tra i primi (1998) a creare una piattaforma di elearning integrata propria ed ad allacciare partnership con partner esterni (Gruppo Somedia- L’Espresso) per la creazione di nuove soluzioni FAD. E nel 2004, in virtù della qualità e visionarietà delle sue iniziative, è stato anche riconosciuto come “virtual university good practice” dalla stessa Unione Europea. Oggi, il Centro costituisce il punto di riferimento di tutto il Politecnico di Milano in materia di formazione a distanza, e gestisce complessivamente 30 progetti rivolti non solo al segmento “lauree”, ma anche a quelli “scuole”, “post-laurea” e “apprendimento continuo”. In particolare, oltre ad erogare l’ormai consolidato corso di laurea online in Ingegneria informatica, METID offre la piattaforma di riferimento per lo svolgimento di 2000 insegnamenti “in presenza” del Politecnico di Milano. A livello tecnologico, METID impiega oggi un combinazione di strumenti diversi: piattaforme sviluppate inhouse (e-Col); ambienti proprietari (Centra. 7.5; Breeze 5); strumenti OpenSource (Moodle, Joomla). Al loro interno è previsto l’impiego sia di strumenti asincroni che sincroni di vario tipo, tra cui anche blog e podcast delle lezioni.

Una ulteriore esperienza degna di attenzione è quella del consorzio universitario Consorzio ICoN (Italian Culture on the Net), nato nel 1999 con l’obiettivo di promuovere lo studio della lingua e della cultura italiana all’estero, e “partecipato” oggi da ben 22 atenei italiani e stranieri. I corsi di ICoN interpretano in modo originale il concetto di FAD, impiegando gli strumenti elearning soprattutto per raggiungere fasce di pubblico ubicate in angoli lontani- spesso remoti- del pianeta . In questo senso, di particolare rilievo appare il corso di laurea online in “Lingua e Letteratura italiana”, che ha già laureato quasi 200 studenti di ogni parte del mondo e coinvolge oggi 300 studenti provenienti da 65 paesi diversi.

Da ultimo, le iniziative di carattere “social” e “2.0”. Come sopra accennato, sono in numero crescente gli Atenei che stanno sperimentando forme nuove di coinvolgimento degli studenti attraverso wiki, blog e altri strumenti collaborativi di nuova generazione. Tra le esperienze di questo tipo si segnala in particolare BlogLab , un laboratorio di scrittura digitale creato nel 2007 a partire dalla sinergia tra blogger e docenti universitari di Firenze e Roma-Sapienza. BlogLab invita gli studenti ad esplorare i nuovi spazi di frontiera della comunicazione (giornalistica, aziendale, culturale) attraverso la creazione ed il mantenimento nel tempo di blog personali, anche allo scopo di stimolarne gli skill di scrittura e la capacità auto- riflessiva. Al di là di queste realtà particolarmente rilevanti, comunque, altre esperienze positive si stanno sviluppando in tutti i maggiori atenei del territorio. Presso l’Università di Bologna, per esempio, vi sono oggi numerosi esempi di lauree che prevedono all’interno dei loro corsi dei moduli elearning più o meno robusti, e lo stesso accade in tutte le altre maggiori università della penisola (Federico II di Napoli, Statale di Milano, Torino per citare solo le principali). L’offerta di corsi di laurea interamente online, per converso, resta per il momento più limitata: anche se realtà importanti come Urbino, Udine, Modena e Reggio Emilia vi fanno già oggi ricorso, in complesso sono soltanto 36 le università che prevedono soluzioni di questo genere.

Cielo sereno su tutto il fronte, quindi? Non esattamente, perché accanto alle “buone notizie” sopra fornite, il quadro dell’elearning italiano ne offre diverse altre di segno negativo.

Primo problema, la natura circoscritta delle ricadute dell’elearning rispetto al lavoro in aula. Come abbiamo visto, infatti, le progettualità messe in campo in materia di FAD sono molteplici e ben distribuite sul territorio, ma nella stragrande maggioranza delle aule italiane dispense e lucidi online (per tacere del resto) restano un miraggio. Sono i ragazzi stessi a segnalarlo: in un sondaggio sul tema di fine 2007, ad esempio, molti segnalano forti scostamenti tra quello che viene annunciato e quello che viene fatto in materia di elearning universitario. Dice ad esempio francess : “dalle mie parti siamo ancora al paleozoico…internet serve solo per visionare i programmi d’esame, consultare le date degli appelli e la propria carriera (…) Per le iscrizioni agli esami è da circa un anno che dovrebbero attivare il servizio internet, inutile dirvi che prima che la cosa si concretizzi avrò i capelli bianchi” (08.10.2007). Le lamentele degli studenti, d’altra parte, trovano riscontro anche nelle rilevazioni ufficiali svolte dalla CRUI: stando ai risultati della già citata indagine 2007, infatti, in nove Atenei su dieci gli strumenti online vengono impiegati solo in una minoranza (più meno esigua) dei corsi, ed in tutte le sedi la maggioranza dei professori guardano agli strumenti elearning con scetticismo.

Quello della “resistenza” da parte dei docenti è un altro nodo aperto.

Le ricerche evidenziano in questo senso due elementi diversi e convergenti: prima di tutto molti cattedratici (per ragioni anagrafiche e culturali) continuano a guardare alla didattica a distanza come ad una “parente povera” della più ricca esperienza tradizionale; dall’altra il Ministero (e gli stessi atenei) seguitano a non riconoscere alcun vantaggio (di carriera, economico, o anche semplicemente simbolico) a coloro che si impegnano nello sviluppo di attività FAD. Né aiuta, in questo senso, la carenza di indicazioni chiare in materia di pubblicabilità dei materiali e copyright : anche i professori meglio disposti nei confronti della condivisione dei materiali didattici si trovano frenati di fronte ad una normativa lacunosa e spesso contraddittoria, che disincentiva fortemente la pubblicazione di materiali online.

Ma i punti interrogativi più seri – e tuttora aperti- sono quelli che riguardano la qualità e l’efficacia effettive offerte dalla didattica elearning . Oltre al già descritto scetticismo di molti addetti ai lavori, pesano in questo senso la mancanza di metriche consolidate in materia di misurazione della qualità dell’esperienza FAD, e la relativa carenza di studi scientifici in grado di documentare l’effettività delle esperienze di questo genere (anche se, come documentato anche da PI , aumentano le ricerche in questo senso). Ma pesa, soprattutto, la mancanza in molti casi di studi pedagogici e metodologici adeguati, in grado di valorizzare al meglio dal punto di vista didattico le potenzialità delle raffinate tecnologie oggi disponibili. Lo chiarisce in modo inequivocabile a Punto Informatico lo stesso Alberto Colorni: “Il senso di fare attività di elearning non risiede nel mettere online una quantità più o meno grande di contenuti digitali, cosa che di per sé è relativamente semplice”. Invece, continua Colorni, fare elearning significa “costruire modi e modelli di interazione e apprendimento nuovi”, che sfruttino le potenzialità dei vari tool per accrescere le possibilità a disposizione di docenti e discenti”.

Riusciranno le università italiane a cogliere le sfide, e le indubbie potenzialità, racchiuse negli universi emergenti che le tecnologie ed i metodi elearning vanno dischiudendo? La storia che abbiamo raccontato qui testimonia di un sistema che sembra costantemente oscillare, sospeso com’è tra la spinta locale all’innovazione e la mancanza di un quadro complessivo di riferimento, tra la (molta) buona volontà profusa dagli innovatori e lo scetticismo della maggioranza silenziosa. Una cosa è certa: l’innovazione tecnologica nel settore, in Italia, continua a stentare e se gli atenei non si mettono in condizione di capirla e trarre vantaggio da essa, la sensazione di crescere in una periferia culturale manifestata da molti studenti rispetto al contesto internazionale (accademico, produttivo, culturale) non potrà che aumentare.

Giovanni Arata

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Pubblicato il 23 apr 2008
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