Dati fiscali, cosa dice la legge?

Dati fiscali, cosa dice la legge?

di V. Frediani (Consulentelegaleinformatico.it) - La questione è piuttosto scontata: non c'è una sufficiente copertura normativa che possa legittimare l'operato dell'Agenzia delle Entrate
di V. Frediani (Consulentelegaleinformatico.it) - La questione è piuttosto scontata: non c'è una sufficiente copertura normativa che possa legittimare l'operato dell'Agenzia delle Entrate

Ponte o non ponte, la notizia ormai la conoscono tutti: l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato le nostre dichiarazioni dei redditi, l’Autorità Garante in attesa di chiarimenti ha sospeso la pubblicazione dei dati, i dati ormai girano indisturbati grazie in particolare ai sistemi di condivisione dei file. Ennesima questione all’italiana. Lasciamo perdere le valutazioni politiche, quelle relative alla sicurezza o alle delazioni, soffermiamoci sulla sostanza, ovvero sulla normativa che disciplinerebbe tutta la vicenda.

In Italia esiste ormai il collaudato Codice privacy (decreto legislativo n. 196/2003) il quale – riassumendo – stabilisce che il titolare del trattamento – leggasi Agenzia delle Entrate – deve trattare i dati secondo i principi di liceità, necessità e finalità. In pratica, i dati devono essere utilizzati secondo le previsioni di legge, quanto effettivamente ed oggettivamente necessario e limitatamente allo scopo per il quale sono stati raccolti. Ebbene, al momento non risulta che la raccolta dei dati finalizzati alla redazione della dichiarazione dei redditi possa annoverare tra i propri fini quelli di essere pubblicati, condivisi, annotati dagli italiani.

Il fine della raccolta dei dati dell’Agenzia delle Entrate, oltre che essere supportato da motivo legislativo, ha fondamento in una ovvia organizzazione nazionale delle risorse e finanze interne. Taluni hanno richiamato la natura pubblica del dato relativo alla dichiarazione dei redditi, ma attualmente la normativa relativa alla pubblicazione di tali dati è quella prevista dall’art. 69 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il quale sancisce:

“1. Il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti il cui reddito imponibile è stato accertato dagli uffici delle imposte dirette e di quelli sottoposti a controlli globali a sorteggio a norma delle vigenti disposizioni nell’ambito dell’attività di programmazione svolta dagli uffici nell’anno precedente.
2. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e devono essere indicati, in caso di rettifica, anche gli imponibili dichiarati dai contribuenti.
3. Negli elenchi sono compresi tutti i contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi, nonché i contribuenti nei cui confronti sia stato accertato un maggior reddito imponibile superiore a 10 milioni di £ e al 20% del reddito dichiarato, o in ogni caso un maggior reddito imponibile superiore a 50 milioni di £.
4. Il centro informativo delle imposte dirette, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, forma per ciascun Comune, i seguenti elenchi nominativi da distribuire agli uffici delle imposte territorialmente competenti:
a) elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi;
b) elenco nominativo dei soggetti che esercitano imprese commerciali, arti e professioni.
5. Con apposito decreto del Ministro delle finanze sono annualmente stabiliti i termini e le modalità per la formazione degli elenchi di cui al c.4.6. Gli elenchi sono depositati per la durata di 1 anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i Comuni interessati.Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al DPR 26 ottobre 1972, n. 648.7. Ai Comuni che dispongono di apparecchiature informatiche, i dati potranno essere trasmessi su supporto magnetico ovvero mediante sistemi telematici.”

L’articolo ha poi subito delle modifiche a seguito dell’emanazione dell’art. 19 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 che tratta della raccolta e gestione dati, ma nulla modifica in merito alla pubblicazione.

Si può pertanto valutare una insussistenza dell’obbligo o facoltà di pubblicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate degli elenchi dei contribuenti in massa.

Si consideri poi che se anche la normativa avesse consentito la pubblicazione mediante idonei mezzi di divulgalzione come spesso avviene per dati raccolti per legge da enti pubblici, le normative citate sono ormai ante 1992, ovvero di quando il mezzo internet non era ancora sviluppato come oggi, tempo in cui pertanto non era ancora stato affrontato il problema relativo alla permanenza dei dati in rete, alla loro reperibilità senza alcun contenimento.

La conclusione è semplice e scontata: al momento non sembrano sussistere normative sufficienti per ritenere che il trattamento di pubblicazione dei dati effettuato dall’Agenzia delle Entrate sia legittimo. E se anche sussistesse una possibilità di pubblicazione dei dati, è ormai noto come il Garante – ma anche il Codice – bandiscano pubblicazioni che possano allargare eccessivamente la disponibilità e la reperibilità del dato, aspetto intrinseco della rete.

In sostanza: pubblicare l’elenco dei contribuenti con i relativi redditi sul giornale locale, non può avere alcuna equivalenza con la pubblicazione in rete. Se si vuol dare equivalenza, si faccia una legge. Ma le leggi dovrebbero essere supportate da ratio specifiche, in tutto questo quindi si dovrebbe conoscere lo scopo della pubblicazione, salvo il caso di farsi i fatti altrui.

La Procura di Roma ha avviato indagini penali per la violazione dell’art. 167 del Codice privacy per il reato di trattamento illecito del dato, difatti: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni”.

Riassunto: la Procura sta indagando in merito alla condotta di pubblicazione dei dati in violazione di legge ravvisandosi un danno a terzi soggetti. Ipotesi: la questione va avanti, gli italiani si costituiscono parte civile… sbancata l’Agenzia delle Entrate?

Avv. Valentina Frediani
consulentelegaleinformatico.it
consulentelegaleprivacy.it

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Pubblicato il
5 mag 2008
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