Redditi online, scomuniche sull'Agenzia delle Entrate

Redditi online, scomuniche sull'Agenzia delle Entrate

Il Garante dei Contribuenti: è un casino. Quello della Privacy: rischi per il cittadino. L'Agenzia: abbiamo agito nel rispetto delle norme. La magistratura indaga mentre associazioni ed esperti prendono posizione
Il Garante dei Contribuenti: è un casino. Quello della Privacy: rischi per il cittadino. L'Agenzia: abbiamo agito nel rispetto delle norme. La magistratura indaga mentre associazioni ed esperti prendono posizione

Update: il Garante della Privacy ha parlato – Roma – Lo scandalo web scatenato dal post di un blogger italiano non si placa: ieri l’Agenzia delle Entrate ha tentato di giustificare la messa a disposizione online dei dati tributari degli italiani in una nota trasmessa al Garante della Privacy. Nelle stesse ore però proprio il Garante in una lettera a laRepubblica parlava di un grave errore da parte dell’Agenzia, concetto ribadito e rafforzato anche dal Garante del Contribuente all’ AdnKronos . E mentre le associazioni dei consumatori prendono la parola, chi pro e chi contro, la Procura di Roma prosegue le sue indagini. La presa di posizione di Beppe Grillo, scandalizzato dalla diffusione di quei dati, è solo una delle molte opinioni che circolano in rete in queste ore, una rete più che mai divisa sull’opportunità della pubblicazione delle informazioni.

denaro Nella sua nota di ieri pomeriggio, l’ Agenzia delle Entrate ha ribadito che a suo dire “la diffusione dei dati reddituali con modalità telematiche da parte dell’autorità pubblica costituisce un elemento di garanzia, trasparenza e affidabilità dell’informazione”. L’Agenzia fa notare che non si è trattato di un colpo di mano ma di una pubblicazione ponderata, che anzi applica la “normativa sulla predisposizione e pubblicazione degli elenchi dei contribuenti” nonché “quella del Codice dell’Amministrazione Digitale. Un insieme di disposizioni che disegnano un quadro di trasparenza fiscale al quale l’Agenzia ha inteso attenersi”.

I responsabili degli uffici tributari si rendono conto che non tutto è andato come in passato e che una novità esiste. “È rappresentata dal mezzo Internet – spiegano nella nota – Ma si tratta di una novità relativa in quanto occorre considerare come gli articoli abitualmente pubblicati dai giornali che riportano i dati reddituali dei contribuenti sono per lungo tempo liberamente consultabili sulla rete”. Secondo l’Agenzia, dunque, le informazioni riportate dai giornali, generalmente legate alla posizione tributaria di personalità pubbliche, sarebbero in qualche modo equiparabili a quelle riguardanti qualsiasi contribuente diffuse dall’Agenzia, con la differenza che queste ultime sono sicuramente affidabili .

Nella nota, l’Agenzia spiega la messe di norme che a suo dire autorizza la pubblicazione: dall’articolo 69 del DPR 645/1958 fino alla versione aggiornata nel 1991 del DPR 600/1973. Secondo gli uffici del fisco si tratta di una disposizione che “attribuisce al direttore dell’Agenzia la fissazione dei termini e delle modalità per la formazione e la pubblicazione degli elenchi. Si tratta, dunque, di una valutazione amministrativa assunta dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito della sua autonomia”.

Secondo l’Agenzia, la ratio della norma è che i dati dei contribuenti siano conoscibili a tutti . E le norme sull’amministrazione digitale impongono la modalità digitale come “strumento ordinario di fruibilità” nonché “l’uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili sia individuali che collettivi tra i quali si puo’ inquadrare il diritto alla consultazione degli elenchi dei contribuenti”. A detta dell’Agenzia il diritto alla privacy non preclude la diffusione dei dati reddituali. L’Agenzia rimane ora in attesa delle decisioni formali del Garante, attese per oggi, e di quelle dell’autorità giudiziaria, che ha già ottenuto grazie all’ intervento della Polizia Postale tutta la documentazione necessaria.

Dalle parti del Garante per la privacy peraltro giungono solo tuoni e fulmini : dopo aver intimato all’Agenzia di fornire spiegazioni entro ieri, proprio ieri Francesco Pizzetti , presidente dell’Authority di garanzia, ha sparato ad alzo zero contro l’ operazione trasparenza dell’Agenzia. In una lettera pubblicata su laRepubblica Pizzetti non usa mezzi termini. Ricorda come il Garante abbia chiesto immediatamente la sospensione della pubblicazione di quei dati , avvenuta senza accordi preventivi, una pubblicazione che come è ovvio si è tradotta nella circolazione sui circuiti di file sharing di tutte le informazioni nei formati più diversi. “Si dirà: sì, ma intanto il danno è stato fatto – scrive Pizzetti – Sono bastate quelle poche ore per consentire a decine e decine di utenti in tutto il mondo (anche negli Usa) di scaricare quei dati. E ora quei dati circolano liberamente sulla rete; sono oggetto di curiosità di ogni tipo; vengono esaminati, trattati, schedati in giro per tutto il mondo senza che nessuno ne possa più controllare o proteggere l´uso. E´ esattamente quello che avevamo paventato”.

Mentre scriviamo il Garante non ha ancora preso posizione ufficiale, come accennato, ma l’orientamento di Pizzetti è chiarissimo : “È abissale la differenza tra la disponibilità dei dati fiscali presso i comuni, come prevede la normativa, e la loro immissione indiscriminata in Internet. Un dato messo in rete, specialmente con le modalità del sito web adottate in questo caso, è conoscibile in tutto il mondo, da chiunque, può essere usato per le finalità più diverse, modificato, cambiato, falsificato. Può entrare nei motori di ricerca e restare per sempre, magari manipolato, nel curriculum di una persona”. Pizzetti parla di un fatto senza precedenti al mondo e sottolinea come tentare la cancellazione dei file sia ormai vano . Insiste sulla gravità dell’accaduto e si chiede: “È ragionevole che i dati di tutti i contribuenti italiani siano stati conoscibili da tutti, in tutto il mondo? Senza una decisione del Parlamento? Senza aver sentito l´Autorità di protezione dei dati che oggi è l´Istituzione posta a presidio della tutela dei dati e dunque della stessa sicurezza e libertà dei cittadini nel mondo della realtà virtuale?”

Nessun dubbio lo nutre, peraltro, anche il Garante del Contribuente . All’ AdnKronos il garante Domenico Ciavarella sfoga tutte le sue perplessità. Quelli del Fisco – dice – avrebbero dovuto prima di tutto consultare il Garante. “Invece – sottolinea – non si sono rivolti al Garante, nessuno ci ha avvertito e non c’è stata alcuna autorizzazione”. Questo si traduce in un grave errore secondo Ciavarella “nei confronti della collettività”. Prima di una mossa del genere, spiega, l’Agenzia avrebbe dovuto anche attendere che il nuovo Governo “entrasse in funzione”.

L’Agenzia – insiste il Garante – “avrebbe dovuto comunicarci tutto” perché il Garante sta lì apposta, “in queste cose le deve dettare il Garante” le modalità di diffusione. A suo dire quanto accaduto “è un casino, non potevano farlo. Sono stati molto leggeri, in un momento in cui hanno solo una funzione di ordinaria amministrazione”. Secondo Ciavarella ci sono paesi dove in passato la pubblicazione di quei dati era consentita, e che ci hanno poi ripensato, come negli Stati Uniti dove – dice – “da sette anni non permettono più di pubblicare i dati che riguardano un contribuente”. Solo in Svezia – sottolinea – il cittadino può esporre spontaneamente il suo reddito”.

Secondo Ciavarella c’è un solo soggetto che può liberamente indagare nel reddito della persona, ossia l’Erario, è l’unico “che può inserirsi nella conoscenza della ricchezza di un cittadino, solo lui deve vedere se un contribuente è stato corretto o no”. In ballo dunque non c’è solo la privacy perché qui si “viola la norma giuridica”, quella secondo cui il contribuente “ha diritto alla riservatezza nell’attività economica, deve essere protetto anche da fattori esterni come la delinquenza”. Ciavarella si propone di relazionare su questo “fatto grave” in Parlamento e avverte che per dovere giuridico il Garante girerà alla Procura della Repubblica tutte le istanze che giungeranno dai contribuenti. La rete dei Garanti regionali del contribuente sarà allertata: “Ogni garante – insiste Ciavarella – saprà che dovrà dimettere le denunce alla Procura della Repubblica”. Contro la pubblicazione dei dati da parte dell’Agenzia si è espressa, tra gli altri, ADUC . L’Associazione dei consumatori e degli utenti ha parlato di grave violazione dei diritti fondamentali dei cittadini . ADUC si riserva di “intraprendere un’iniziativa giudiziaria che potrebbe arrivare fino alla Corte europea di Giustizia, in quanto è chiaro che in materia di Privacy la legge italiana è insufficiente”.

denaro Ma ADUC attacca in particolare Vincenzo Visco : a suo dire è falso quanto dichiarato dal viceministro uscente, ossia che “basta guardare un telefilm americano” per rendersi conto che le dichiarazioni dei redditi sono pubbliche. “Non è vero – attacca ADUC – Abbiamo parlato con l’IRS (l’agenzia delle entrate Usa), la quale ci ha confermato che la legge federale proibisce la pubblicazione dei dati dei contribuenti (Us Federal Code, Tile 26, sction 6103). Se quei telefilm li avesse visti con più attenzione, Visco avrebbe capito che solo le autorità possono accedere ai database dell’Internal Revenue Service (Irs)”.

A detta di ADUC, dunque, “non esiste alcuna ragione di pubblica necessità e giustificazione per una intrusione così sproporzionata nella riservatezza dei cittadini. Il motivo è forse di spingere i cittadini a spiare i vicini e denunciarli alle autorità qualora il reddito fosse più basso rispetto alla percezione del tenore di vita? E perché allora non pubblicare anche l’estratto conto bancario? O i dati anagrafici? Pensiamo anche le cartelle sanitarie, che se pubblicate, ci permetteranno di denunciare il trapiantato di fegato che beve alcool. Ma dall’altra parte, il trapiantato di fegato potrebbe anche non trovare un datore di lavoro disponibile ad assumerlo per la sua condizione. Così come per i più poveri potrebbe diventare più difficile trovare un proprietario disponibile ad affittare un appartamento per il basso reddito”.

Sulla stessa linea anche il Codacons , che in una nota ha fatto sapere di aver depositato una denuncia per violazione della privacy presso la Procura di Roma, con una “richiesta di risarcimento” che “ammonta a 20 miliardi di euro da distribuirsi tra i 38 milioni di contribuenti italiani, 520 euro circa per ciascuno di essi”. Il Codacons chiede anche che i siti che offrono la visione dei file diffusi dall’Agenzia siano oscurati .

Secondo il Codacons la pubblicazione delle denunce dei redditi non è reato solo in specifiche circostanze. “Laddove si tratti di redditi di soggetti che in vario modo sono alimentati da danaro pubblico o comunque destinati a finalità pubbliche – dichiara un legale dell’Associazione – è sicuramente ammissibile l’accesso alla denuncia dei redditi e la sua pubblicazione”. “In pratica – spiega – chi vuole mettere il naso negli affari altrui deve avere un interesse qualificato e concreto, come stabilisce l’art. 25 della legge 241/90, e deve in ogni caso lasciare traccia della sua domanda di accesso e del suo interesse. Ciò anche ai fini della responsabilità che su di lui incombe ove il dato venga diffuso a terzi per sua colpa. È invece sicuramente da escludersi la possibilità di pubblicare tutte le denunce dei redditi su internet in modo generalizzato, e ciò innanzitutto perché tale pubblicazione non garantisce più né sui soggetti che ne vengono in possesso, né sul rispetto dei limiti temporali della pubblicità degli atti”.

Più morbida la posizione di SOS Consumatori . “Non condividiamo nessuna richiesta di megarisarcimenti – si legge in una nota – del resto inutili ed impossibili (si pensi che lo sgravio dell’Ici sulla prima casa corrisponde a 5 miliardi) ma piuttosto stigmatizzare come l’ex Ministro, probabilmente per dispetto politico, abbia scelto questa strada, mancando completamente di rispetto agli italiani. Tutto cio’ fa meglio capire cosa egli pensi di noi e questo è vergognoso. Ora pero’, al di là dei numeroni, occorre che il nuovo Governo faccia chiarezza e con esso il Parlamento sui due sacrosanti diritti della trasparenza e della privacy e vengano segnati confini ben chiari che non creino disagio. Intanto l’associazione mette a disposizione tutti i propri uffici nelle oltre 100 provincie d’Italia per tutelare coloro i quali in modo manifesto abbiamo subito danno da tale iniziativa”.

Di seguito un parere trasmesso ieri a Punto Informatico da Alessandro Bottoni, noto esperto di cose della rete, che volentieri pubblichiamo. Prima di iniziare, permettetemi di precisare che quanto sto per dire rappresenta unicamente la mia opinione personale. Non rappresenta la posizione, più o meno ufficiale, di nessuna delle associazioni di cui faccio parte.

Chiarito questo punto, lasciatemi dire che sono rimasto allibito dall’iniziativa dell’Onorevole Vincenzo Visco. La ragione dovrebbe essere ovvia: se in una qualunque società esiste un dato personale che deve essere considerato “sensibile”, con ogni probabilità questo è proprio il reddito. Lo è perché in una società “evoluta” come la nostra, la principale differenza tra un cittadino e l’altro deriva proprio dal reddito. Questa informazione, da sola, permette di ottenere più strumenti di pressione nei confronti dell’individuo di qualunque altra. Per convincersene, dovrebbe essere sufficiente pensare alle seguenti situazioni.

Quando un dipendente ottiene un aumento di stipendio, quasi sempre sia il dipendente che l’azienda si assicurano di non divulgare questa informazione per non scatenare inutili ed antipatiche competizioni. Più in generale, è difficile scoprire quanto guadagnano i colleghi. Nella vita quotidiana, il reddito è una delle informazioni custodite più gelosamente dagli stessi dipendenti a stipendio fisso .

Gran parte dei commercianti e degli imprenditori si guardano bene dal divulgare informazioni relative al proprio reddito per non scatenare pericolosi appetiti nelle persone del proprio intorno sociale o, peggio, tra gli esponenti della malavita locale.

Un candidato ad un nuovo posto di lavoro normalmente si guarda bene dal far sapere al futuro datore di lavoro qual è la sua reale situazione economica corrente per non esporsi al rischio di un facile ricatto (“guadagnavi 100, perché io dovrei darti 120, anche ammesso che tu valga 120?”). Il suo “peso contrattuale” deriva largamente dalla sua possibilità di “bluffare”, anche in minima parte, su aspetti come questo.

Questi scenari non sono il frutto della arretratezza culturale del nostro paese e della sua naturale inclinazione all’omertà. Sono scenari che si possono ritrovare ovunque e che derivano semplicemente dalla particolare situazione in cui l’individuo si trova nei confronti degli altri in una economia di mercato.

Più in dettaglio, il rapporto che esiste tra il contribuente ed il fisco è un tipo di rapporto che per la sua stessa natura deve restare riservato. Il contribuente ha sicuramente (perché la legge non prevede altre possibilità) i suoi validi motivi per dichiarare un certo imponibile. Si può certamente pretendere che il contribuente giustifichi il suo comportamento fiscale di fronte ad un organismo competente, formato da persone preparate (GdF, Polizia, etc.), in possesso di informazioni complete (il 740) e guidato da un magistrato. Non è certamente segno di maggiore civiltà pretendere che il contribuente giustifichi il suo comportamento fiscale di fronte al vicino di casa, al bottegaio di quartiere o chicchessia. Non è un caso se in nessun paese del mondo i processi per evasione fiscale vengono organizzati al bar, basandosi su dati sommari ed incompleti ed attendendosi al “codice di procedura” partorito da qualche aspirante avvocato in preda ai fumi dell’alcool.

Personalmente, trovo già molto discutibile il fatto che chiunque possa consultare la dichiarazione dei redditi di qualcun altro, anche solo a livello di imponibile lordo, relativo ad un solo anno ed anche solo per via cartacea, senza prima qualificarsi (carta d’identità) e senza prima aver motivato la sua richiesta (“sono un giornalista…”). Si tratta di quel tipo di curiosità, a livello di fenomeno di costume, di cui mi sfugge completamente la reale utilità sociale. Trovo addirittura sconcertante il fatto che un vice-ministro che si trova a meno di un mese dalla scadenza del suo mandato si permetta di divulgare al mondo intero (anche in Cina, in India, etc.), attraverso Internet ed in maniera del tutto incontrollata (niente registrazione utente, tutti i dati in blocco, etc.), le informazioni che riguardano l’intera popolazione italiana . Infine, trovo inquietante il fatto che né Visco né il Garante della privacy si siano resi conto della impossibilità di rimettere il genio nella bottiglia.

Mi fa infuriare in modo particolare il fatto che questo governo, che ora pretende di moralizzare il paese in questo modo, è lo stesso governo che (come tutti gli altri governi che ricordo) si è sempre premurato di alzare una cortina protettiva attorno alle intercettazioni telefoniche ed ai fatti di cronaca che coinvolgevano politici e potenti di vario tipo. Non ci è stato concesso (legalmente) di sapere cosa combinavano le persone da cui dipende il nostro futuro ma ci è permesso di sapere quanto guadagna il fruttivendolo all’angolo (e di contestargli il costo eccessivo delle melanzane). Questa dovrebbe essere la nostra Glasnost (e ci si aspetta anche che la salutiamo con entusiasmo)!

Se questi sono i politici che possiamo permetterci, forse è tempo di prendere seriamente in esame l’ipotesi dell’outsourcing per quanto riguarda il governo del paese.

Una società che vuole crescere e migliorare ha certamente bisogno di sempre maggiore trasparenza ma, altrettanto sicuramente, non ha bisogno di soluzioni tagliate con l’accetta come queste. Quando si lavora su temi delicati come questi, un minimo di cautela e di buon senso sono palesemente necessari. Sarebbe già stato meglio che una decisione tanto innovativa e tanto gravida di conseguenze fosse stata presa da un consiglio dei ministri straordinario o che almeno fosse stata concordata con il governo entrante. Sarebbe stato ancora meglio che ci si fosse astenuti da svolte epocali come questa nell’ultimo mese di vita di un governo che, fuor di metafora, era stato appena “mandato a casa” dai suoi stessi elettori con il più clamoroso calcio nel sedere dell’intera storia repubblicana.

La disponibilità di informazioni non coincide automaticamente con la trasparenza che noi tutti auspichiamo. In casi come questo, la disponibilità incontrollata di informazioni rappresenta solamente uno sfregio per l’individuo, per la sua dignità e probabilmente anche per la sua sicurezza.

Alessandro Bottoni
www.alessandrobottoni.it/

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Pubblicato il
6 mag 2008
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