ADSL, un gigante con i piedi di argilla

ADSL, un gigante con i piedi di argilla

L'inchiesta prosegue: la velocità può essere garantita? Rispondono Telecom Italia, Fastweb, Tiscali e SiADSL. Il problema della banda occupata e del peer-to-peer. Parla l'Autorità TLC: sulla qualità si può intervenire pochissimo
L'inchiesta prosegue: la velocità può essere garantita? Rispondono Telecom Italia, Fastweb, Tiscali e SiADSL. Il problema della banda occupata e del peer-to-peer. Parla l'Autorità TLC: sulla qualità si può intervenire pochissimo

Roma – Le offerte commerciali per navigare sempre più veloci in ADSL continuano a moltiplicarsi e, sulla carta, sono sempre più allettanti e convenienti. In palio c’è un mercato da 22 miliardi di euro. Un bottino che fa gola ad aziende grandi e piccole.
Non è un caso che anche Vodafone, da sempre interessata solo alla telefonia mobile, dopo aver acquistato Tele2 abbia annunciato proprio in questi giorni di essere pronta a lanciarsi direttamente col proprio marchio nei servizi a banda larga da telefono fisso.

Il gigante, però, ha i piedi di argilla. Come ha mostrato l’inchiesta realizzata da il Salvagente e da Punto Informatico , pubblicata la scorsa settimana , la rete su cui dovrebbero viaggiare a tutta velocità i dati è vecchia e cadente. Telecom Italia, proprietaria dell’ultimo miglio, cioè della linea che dalla centrale arriva a casa dell’utente, non sembra intenzionata a investire nella manutenzione del doppino, il doppio filo di rame che costituisce l’ultimo pezzo della rete. Risultato: la competizione tra provider si fa sempre più dura e la qualità dei servizi, invece di migliorare, peggiora. Oltretutto, in assenza di regole chiare che tutelino gli internauti, i servizi di assistenza clienti raramente riescono a dare risposte.

Alcune risposte
Di fronte alle innumerevoli segnalazioni di disservizio, a rispondere sono in pochi. Wind e Tele2, per esempio, fino a questo momento preferiscono rimanere in silenzio. Telecom Italia , chiamata in causa, sulle offerte “7 mega”, dichiara che “al momento della richiesta di attivazione compie tutte le verifiche tecniche per assicurarsi che la linea telefonica sia raggiunta dal servizio richiesto”. Ma ammette che l’effettiva velocità di navigazione non è garantita, dato che dipende anche dalla distanza del cliente dalla centrale telefonica.

Sulla cura della rete, invece, Telecom garantisce di “aver investito nell’ultimo anno 3,1 miliardi di euro sulla rete e prevede di investirne altri 8,2 dal 2008 al 2010”. Il punto debole, come detto, rimane l’ultimo miglio, un vero pezzo “d’antiquariato”.

Le condizioni della linea, tra l’altro, compromettono la qualità del servizio di accesso a Internet qualunque sia il fornitore. “Per la connessione ADSL, in caso di disservizi imputabili alla tratta in rame, la segnalazione viene girata a Telecom”, fanno sapere da Fastweb . E in questo caso, come sappiamo, la soluzione arriva con difficoltà. “I nostri tecnici”, dice Fastweb, “effettuano periodicamente il monitoraggio sulle linee dei clienti per controllare le effettive prestazioni del collegamento. In caso di segnalazione, si verifica da remoto, poi in base alla Carta dei servizi ci impegniamo a risolvere il problema entro le 72 ore successive alla segnalazione. Se i termini di intervento non sono rispettati, il cliente ha diritto agli indennizzi previsti nella Carta”.

Fastweb, tuttavia, assicura che il cliente di servizi ADSL “viene preventivamente informato che la velocità di accesso alla rete è subordinata a una verifica tecnica dell’impianto fornito da Telecom”. Il test viene effettuato entro 72 ore dalla sottoscrizione del contratto e permette di capire la reale larghezza di banda della linea. Nel caso in cui la copertura non fosse garantita per motivi di qualità della linea, il cliente può recedere senza problemi.

“Occorre distinguere tra banda e velocità”. A spiegare il complicato mondo dell’ADSL ci prova Andrea Podda, dirigente di Tiscali : “I due termini spesso vengono scambiati e anche per questo le promesse degli operatori non vengono comprese appieno. La banda – sottolinea – è tutta l’infrastruttura che un operatore, come Tiscali, mette a disposizione fino al Dslam ed è qualcosa che può essere dimensionato in autonomia, scegliendo quale servizio dare. La velocità, invece, dipende dalla linea del cliente e quindi dal rame, fino al modem del cliente”.

Il concetto, dunque, è che gli operatori, e Podda in questo caso parla specificamente di quelli in ubundling, ovvero quelli che dispongono di infrastrutture proprie, possono promettere una certa banda garantita “ma se ti dico velocità garantita allora non posso non dirti che quella dipende dalla qualità della linea”. Per capire come vadano le cose per il grosso dell’utenza, che in un modo o nell’altro finisce su una rete Telecom, Podda spiega come lavora Tiscali sulle proprie infrastrutture. “Noi costruiamo la nostra rete – insiste – e possiamo quindi garantire fino al massimo del valore di velocità di tutti i clienti in ubundling. Perché su ogni sito si lavora in fibra realizzando una Gigaethernet per ogni sito: dato che le nostre Gigaethernet oggi non sono occupate neppure per la metà, siamo perfettamente in grado di assicurare tutta la banda che serve ai clienti. Quindi se un cliente non riesce ad andare a più di 2 mega per limitazioni della sua linea, comunque quei 2 mega li può prendere tutti, non introduciamo alcun tipo di limitazione”. Diverso il quadro quando ci si deve appoggiare sulla rete dell’incumbent. “È una rete che è stata realizzata tempo addietro – spiega Podda – è di qualche megabit, la banda non può che essere limitata e così la velocità. Nel quadro attuale Telecom consente di collegarsi alla sua rete in 32 diversi nodi in Italia”. Su quei nodi da quando Tiscali si è lanciata sull’unbundling dichiara di aver investito “realizzando anche qui l’interconnessione in fibra”, insiste Podda, secondo cui “questo significa che da quel nodo in poi non introduciamo alcuna limitazione”. I problemi secondo Tiscali dunque, stanno eventualmente a monte. “All’interno della rete Telecom – spiega Podda – la banda va un tanto al chilo: il dimensionamento attuale che facciamo lì dentro, ora legato al quadro Bitstream partito l’anno scorso, è ovvio che è un risultato delle necessità del conto economico ma il nostro punto di forza è puntare sulla soddisfazione del cliente, è quello che dà i migliori risultati. Non a caso – sottolinea Podda – stiamo investendo per dare la migliore banda Bitstream compatibilmente con i prezzi di Bitstream: se non sarà uguale all’unbundling sarà comunque di buona qualità”.

Sul fatto che Bitstream abbia migliorato le cose introducendo almeno alcune certezze, dunque, anche Tiscali si unisce agli operatori che ne danno un giudizio sostanzialmente positivo. “Con l’ADSL wholesale prima era molto più difficile – evidenzia Podda – eravamo molto più rivenditori di oggi. Quello che volevamo e il concetto che alla fine nonostante tutto siamo riusciti a far passare è che è il provider, l’ISP che deve poter decidere come gestire e trattare i clienti”. Come a dire, dunque, che il Bitstream ha probabilmente prezzi troppo elevati, la banda minima garantita imposta da Bitstream è comunque ridottissima, la rete dell’incumbent è quella che è però il provider ha maggiori margini di manovra, dal che ne consegue anche una maggiore responsabilità verso l’utenza.

E il P2P? Come si comporta Tiscali? “Tiscali – spiega Podda – sta investendo proprio per evitare di dover fare traffico shaping”. Podda al contrario di altri player del settore non ha alcuna intenzione di nascondere a Punto Informatico e a Il Salvagente i numeri del peer-to-peer: “Lo sharing di file – spiega – è una parte importante di Internet, non riguarda solo il 5 per cento degli utenti. Per quanto riguarda i nostri clienti parliamo di qualcosa che riguarda più della metà dei nostri clienti”.

La chiave di volta nella risoluzione dei problemi dei clienti sta “in un altro investimento che abbiamo fatto”, afferma Podda. Una volta compreso che molti dei problemi evidenziati erano legati al doppino (“perché qualche problema in centralina non può che durare poche ore”) si è cambiato rotta: “In precedenza – evidenzia Podda – si apriva il ticket con Telecom Italia, dopodiché Telecom o terze parti per suo conto intervenivano in centrale. Lì facevano le loro analisi ed eventualmente chiudeva il ticket, risolvendo o meno il problema”. Questo significava che il cliente “rimaneva appeso”, con tempi lunghi e spesso senza una soluzione. “Abbiamo investito su una modalità diversa che abbiamo chiamato impresa unica – afferma Podda – la stessa impresa che va col cappello di Telecom ci va anche col cappello di Tiscali”. E cosa cambia? “Cambia che in questo modo il tecnico deve risolvere – insiste Podda – non può chiudere il ticket di Telecom senza risolvere anche il problema di Tiscali”.

Tiscali per bocca di Donatella Ligas, responsabile del Customer Care, sottolinea come gli investimenti in infrastruttura associati all’avvento del Bitstream starebbero aumentando progressivamente la soddisfazione dei clienti. “Investiamo molto sull’assistenza tecnica – dice ancora Podda – in questi anni abbiamo imparato cosa significa seguire un cliente, fin dai tempi del dialup, e quindi abbiamo costruito un modello di assistenza tecnica il più possibile vicino alle aspettative. Andando quindi a capire quale fosse il percorso di telefonata, di assistenza, più gradito al cliente. Abbiamo realizzato una sorta di percorso obbligato che consenta all’operatore che risponde al cliente di arrivare rapidamente a capire quale possa essere il problema del cliente, un trouble-shooting guidato che tolga l’iniziativa all’operatore e lo instradi sulle informazioni più rilevanti possibili per il cliente che ci contatta. Quando il cliente arriva a parlare con l’operatore, questi ha già una serie di informazioni sulla linea, il contratto, le segnalazioni del cliente e via dicendo”.

Tiscali si dichiara fiduciosa del proprio Customer Care e Ligas sostiene che “data la diversità delle cause, sulla risoluzione dei problemi possiamo dire che arriviamo alla completa risoluzione nella totalità dei casi”. Ligas ammette che “ci possano essere casi assai particolari che rimangono incastrati nelle maglie” ma Tiscali dichiara di mettercela tutta per risolvere anche quelli. Una disponibilità che si può porre subito sotto test: gli utenti che si trovassero in questa particolare condizione, in una situazione che non si riesce a sbloccare, possono scrivere subito a Punto Informatico ( pi@edmaster.it ) la propria dettagliata situazione, PI farà da ponte con Tiscali per arrivare alla risoluzione di questi empasse (nota: nella mail è bene inserire anche l’autorizzazione al trattamento dei dati personali e alla trasmissione degli stessi a Tiscali o suoi incaricati). Lo stato della rete è quel che è ma è anche la comunicazione il problema. Sul perché molti percepiscono di convivere con una ADSL lenta SiADSL ha le idee molto chiare. Stefano Saluta, il Direttore Commerciale del provider, spiega a Punto Informatico e a Il Salvagente che “vengono pubblicizzati megabit che non arrivano agli utenti”. La realtà dei fatti, sottolinea il provider, è che gli ISP “dimensionano le proprie infrastrutture non in un’ottica di banda di picco, appunto dei megabit che vengono pubblicizzati, ma sulla base della banda minima”. Il grosso dei provider dunque porta una certa banda in centrale e poi studia quale possa essere l’uso contemporaneo della risorsa da parte dei propri utenti collegati.

“Molti – sottolinea Saluta – ricorrono così all’overbooking. Se in un particolare momento la contemporaneità degli utenti supera certe soglie, è chiaro che gli utenti scendono alla banda minima”. E tra la banda che l’utente vorrebbe poter sfruttare, e per la quale ha pagato, può essere ridimensionata in misura persino drammatica: “Le bande minime su cui si dimensiona – insiste Saluta – vanno dai 20 ai 50 kilobit al secondo quando va bene, rispetto ai 4 mega pubblicizzati. Quando gli utenti comprano un’ADSL a 2 mega, comprano 2000 kilobit teorici al secondo, ma il dimensionamento li porta a 20 kilobit”

A spingere i provider verso il dimensionamento drastico della connettività è l’uso che di questa viene fatta dagli utenti: spesso il criterio adottato è come far entrare in una stanza tutti gli utenti a cui si vende piuttosto che ampliare la stanza sulla base degli utenti che vi vogliono entrare. Figuriamoci lavorare per creare corridoi e stanze aggiuntive quando gli utenti ne hanno bisogno. E così molti operatori si trovano a gestire con qualsiasi mezzo, ad esempio, gli utenti del peer-to-peer. Spiega Saluta a Punto Informatico e a Il Salvagente: “Per i tecnici di rete questa del peer-to-peer è una tortura, perché prende tantissima banda. Questo significa che quasi tutti gli operatori bloccano il P2P oppure, anche se non bloccano del tutto le porte, lo limitano fortemente, sennò la banda che hanno a disposizione viene occupata da pochissime persone. Se un megabit invece di 50 utenti se lo prende un solo utente gli altri 49 – evidenzia Saluta – rischiano di non veder che pochi bit..”.

“Se io compro una 7 mega – sottolinea il dirigente di SiADSL – il doppino di rame me la dovrebbe dare, me la dovrebbe portare a casa, ma di fatto i costi di dimensionamento non lasciano molte scelte agli ISP. Con gli upgrade di nuova generazione si passerà a 100 megabit, ma sarà sempre banda nominale”. Il riferimento è agli investimenti in corso e alle prospettive del next generation network ma i problemi sono moltissimi, come evidenzia SiADSl.

“Due fattori in Italia – spiega Saluta – hanno cambiato il mondo dell’ADSL e della banda larga nel nostro paese”.
Il primo di questi è l’introduzione di un canone sulle ADSL nude , ossia sulle linee senza servizi “voce” e pensate esclusivamente per veicolare l’ADSL. “La conseguenza – sottolinea SiADSL – è che il provider viene spinto sempre più a gestire la banda nel modo in cui abbiamo detto. Quel canone, di più di 9 euro, non dovrebbe essere richiesto agli operatori, perché a Telecom gestire quel doppino, ossia compiere le operazioni con cui viene giustificata l’imposizione del canone, abbiamo calcolato che non costi più di 3 euro e mezzo al mese. Eppure sono altri i costi che il provider non può che rigirare sugli utenti”.

L’altro fattore che sta cambiando le carte in tavola dei servizi con conseguenze negative sull’utenza secondo Saluta è il fatto che “i grandi stanno rasando al suolo tutto il mercato, comprandosi i clienti”. Il riferimento è a quei big che in questo momento stanno facendo offerte così basse da chiedere prezzi inferiori al costo del doppino che pagano a Telecom Italia. In pratica vendono sottocosto. “Questo succede – spiega Saluta – perché oggi quando si vuole mostrare chi si è sul mercato, magari preparandosi ad una vendita dell’azienda, si mette in mostra il numero di clienti, lasciando fuori qualsiasi altro dato, ad esempio quanto pagano i clienti per i servizi. E quel dato, il numero di clienti, è l’unico che i pesci grossi guardano quando vogliono comprare i big player del settore”.

Il quadro è ovvio: nel momento in cui un operatore telefonico in clima di vendita associa ai propri servizi voce un’offerta ADSL a prezzi scontatissimi, i piccoli operatori, quelli che forniscono servizi di nicchia e spesso di maggiore qualità, non possono che stare a guardare mentre gli utenti passano a servizi scontatissimi, comprati sottocosto, sul cui futuro e spesso sul cui rendimento non vi è alcuna certezza. “In questo scenario i provider più piccoli – sottolinea Saluta – non possono più incontrare le esigenze del cliente di un mercato drogato”.

E SiADSL? Come si comporta? “I 20 euro al mese di SiADSL – spiega Saluta – significano 4 mega o 7 mega con banda minima garantita però da 256 kilobit al secondo”. E il P2P? “Non facciamo alcun blocco del P2P – sottolinea il dirigente dell’azienda – perché abbiamo la marginalità di poterci prendere l’onere di garantire quella banda”. SiADSL spinge per un’offerta alternativa fondata sulla qualità della connessione e sulla banda minima garantita. “Ma anche sul nostro Contact Center – evidenzia SiPortal – che riteniamo senza remore il migliore. Perché chi chiama al telefono trova tecnici immediatamente capaci di risolvere il problema. Quando il cliente ha problemi – continua – sette volte su dieci non sono imputabili all’azienda, qualsiasi azienda, ma dipendono dal cliente”. Un customer care di questo genere però si paga. “Da un punto di vista imprenditoriale – sottolinea Saluta – significa avere un contact center costoso, perché si tratta di pagare delle professionalità, e quindi me lo devo far pagare. La conseguenza è che il cliente paga di più ma è più soddisfatto”.

Un messaggio che però è difficile far passare, evidentemente, quando le pubblicità dei big puntano su quantità fantascientifiche di megabit a costi irrisori. “In un mercato in cui devo pagare il canone per le ADSL naked – spiega Saluta – quanti clienti mai posso riuscire a convincere con la politica della qualità? È un mercato che non è coerente: i grandi operatori creano delle aspettative che poi non riescono ad ottemperare”.

A Punto Informatico e a Il Salvagente Saluta sottolinea che il problema sta anche nella normativa: “Oggi consente che l’operatore dichiari la velocità massima raggiungibile. L’Autorità TLC assieme a Telecom con l’offerta Bitstream ha dettato le norme per gestire il dimensionamento della rete. Queste norme hanno azzerato la giungla precedente e il consumatore finale ha almeno un minimo di garanzie. La sostanza però è che sono regole troppo svantaggiate per l’utente finale: la banda minima garantita per molti megabit nominali venduti dagli operatori è di 20 kilobit al secondo. E quanti sono gli operatori che lo dichiarano?”

E con la fibra? Cambierà finalmente qualcosa nel panorama della banda larga italiana? “Il rame funziona – spiega Saluta – Telecom però ora punta sulla fibra. Questo significa che 10-11 milioni di clienti che navigano via rame da un certo punto in poi inizieranno a subire una ricollocazione delle risorse di manutenzione… La manutenzione sul rame tra uno o due anni sarà divenuta scarsissima”. Le conseguenze, secondo Saluta, non mancheranno: “Il rischio quindi è che se un cliente chiede un’ADSL in una zona e io non ho più disponibilità di DSLAM nella centrale, io non ho disponibilità di rete da offrirgli”: il concetto è chiaro, se il provider fornisce servizi su rame, come appunto l’ADSL, dovrà continuare a fornirli anche all’interno di una rete e di una infrastruttura che non sono più il “core” di ciò su cui si investe. E allora? Non basta passare alla fibra? “Certo – sottolinea Saluta – ma dipenderà da Telecom, dall’offerta che farà che, come per legge, dovrà essere replicabile da tutti gli operatori”. Tutto bene dunque? “Non proprio – avverte Saluta – Telecom farà piazza pulita sul mercato per molti mesi e poi a un certo punto si vedranno le prime offerte wholesale (quelle che i provider possono far proprie anche per la replicabilità delle offerte, ndr.). Un copione già visto – conclude Saluta – i piccoli provider non esistono più”. Il popolo degli internauti insoddisfatti cresce ogni giorno. C’è chi propone una class action contro gli operatori scorretti, chi cambia continuamente Isp (Internet service provider) nella speranza di ottenere un servizio migliore e chi invoca l’intervento dell’Autorità garante delle comunicazioni. La connessione ADSL in Italia, purtroppo, non è garantita a tutti e anche quando viene venduta a caro prezzo spesso rivela una copertura solo teorica. “Il punto è che le norme in vigore non stabiliscono una qualità del servizio minima garantita”. A parlare è l’ingegner Giovanni Santella , della direzione Tutela della concorrenza dell’Agcom.

D: Ingegner Santella, possibile che gli operatori non abbiano obblighi in questo senso?
R: Il settore è regolamentato dalla delibera 131 del 2006, che però non stabilisce né una velocità minima di connessione né una qualità minima del servizio, ma spiega come elaborare una Carta dei servizi e definisce gli indicatori che un operatore deve tener presente nella valutazione della qualità del proprio servizio di accesso a Internet. La norma, insomma, indica agli Isp i parametri e il metodo di misurazione con cui autocertificare la qualità del servizio, li obbliga a inviare questi report all’Agcom e a pubblicarli sul loro sito.

D: Chi verifica se i dati sono veritieri?
R: L’attività di vigilanza spetta sempre alla nostra Autorità, ma non avviene sistematicamente e a tappeto, bensì solo su segnalazione.

D: Dunque, se la linea ADSL non garantisce sempre la connessione e la navigazione avviene a singhiozzo, l’Agcom non può intervenire?
R: Il codice, cioè la legge dello Stato che norma questo campo, ci dà il potere di fissare un criterio minimo di qualità solo nei confronti dell’operatore che fornisce il servizio universale, cioè solo verso Telecom Italia e solo per i servizi di fonia, fax e accesso a Internet tramite Isdn. L’unica cosa su cui possiamo intervenire, quando si parla di ADSL, è la trasparenza con cui gli operatori offrono agli utenti le proprie prestazioni.

(E anche in trasparenza, come ha mostrato la nostra inchiesta, gli operatori non brillano davvero… Le offerte commerciali ormai sono solo due: la connessione con velocità fino a 20 megabit e fino a 7 megabit. Ma questa è solo la velocità fisica del modem, non la velocità di trasferimento in rete, cioè la velocità di navigazione, che è legata ad altri elementi come il traffico, la distanza dell’utente dalla centrale e la qualità del doppino. Telecom e gli altri operatori dovrebbero essere corretti e trasparenti e spiegare bene agli utenti.)

D: Cosa possono fare i navigatori contro gli Isp che hanno venduto un servizio senza rispettare il principio di trasparenza?
R: Segnalare il proprio caso alla direzione a Tutela degli utenti dell’Agcom, che è tenuta a verificare se nella Carta dei servizi prima, e nella gestione dei reclami dopo, da parte dell’operatore siano state rispettate le regole.

D: Fastweb ha dichiarato di poter verificare l’effettiva copertura della linea di proprietà di Telecom solo dopo aver fatto sottoscrivere un contratto all’utente. Questo metodo le sembra corretto?
R: Effettivamente Telecom Italia fornisce una specie di certificazione della linea agli altri operatori solo a pagamento e solo con un contratto in mano. Ma di questo i suoi concorrenti non si sono mai lamentati.

D: E di che cosa si lamentano più frequentemente?
R: Della qualità della linea. Gli Isp, infatti, ricevono tantissime segnalazioni da parte dei loro clienti e naturalmente si rivalgono su Telecom. In Italia la penetrazione dell’ADSL è ferma al 17% della popolazione. Al di sotto della media dei 27 paesi dell’Unione europea, 20%, più in basso di Francia, Germania e Spagna. Il dato piuttosto deludente, in realtà non stupisce. Nonostante Telecom Italia, proprietaria delle infrastrutture, dichiari che la copertura della banda larga sia arrivata al 95% del territorio, l’accesso veloce a Internet nel nostro paese è un fenomeno a macchia di leopardo, che lascia scoperta ancora una parte consistente del paese.

In pochi sanno, per esempio, che nelle grandi città, dove lo sviluppo urbano è avvenuto in modo esplosivo, interi quartieri sono rimasti a bocca asciutta.

“La colpa è dei multiplexer o apparati limitanti”, spiega a Punto Informatico e a Il Salvagente Massimo Zoppello dell’associazione Anti Digital Divide . “Telecom li ha installati nelle zone che hanno avuto un improvviso aumento demografico e di conseguenza una immediata crescita di richieste di allaccio alle linee telefoniche, come l’Infernetto a Roma. Per evitare di portare nuovi doppini di rame, l’ex monopolista soprattutto negli anni 90 ha installato questi concentratori che hanno lo scopo di instradare tante utenze telefoniche alla centrale utilizzando un unico collegamento”.

Il problema è che questi apparati per il loro principio di funzionamento “non fanno passare” l’ADSL. In questo modo interi quartieri privi di fatto del broad band sono comunque conteggiati tra quelli coperti dal servizio perché sono collegati a centrali in cui sono montati dispositivi ADSL.

“Non sappiamo con precisione quanti apparati limitanti siano presenti in Italia”, conclude Zoppello. “Per il momento ne abbiamo contati circa 250, ma il monitoraggio continua. Chiunque voglia partecipare alla mappatura può farlo collegandosi al sito www.antidigitaldivide.org “.

a cura di Barbara Cataldi e Paolo De Andreis

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Pubblicato il 29 mag 2008
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