TuneCore, la distribuzione musicale diventa democratica

TuneCore, la distribuzione musicale diventa democratica

Pochi dollari e chiunque può pubblicare la propria musica sugli store online. Nessuna etichetta, nessun intermediario, solo l'occasione di confrontarsi col mercato
Pochi dollari e chiunque può pubblicare la propria musica sugli store online. Nessuna etichetta, nessun intermediario, solo l'occasione di confrontarsi col mercato

C’è chi come Peter Gabriel pensa a imbastire filtri contro l’oceano indecoroso di contenuti online, e chi al contrario in quell’oceano intende sguazzarci. Jeff Price, fondatore di TuneCore , appartiene a quest’ultima categoria ed è fermamente convinto del fatto che il futuro della distribuzione musicale in rete sia nei grandi numeri e nell’offerta aperta davvero a tutti, ai consumatori così come agli artisti. O a chi vorrebbe esserlo senza avere talento da spendere sul mercato tradizionale.

TuneCore si configura come un intermediario puro tra i musicisti e il pubblico , ma la sua collocazione vuole essere nettamente diversa rispetto a quella delle major o delle etichette indipendenti. Laddove le suddette scelgono con oculatezza su chi investire denaro per la produzione e la promozione di album e brani, la società di Price – in circolazione dal 2006 – sopperisce all’esigenza di avere un contratto professionale per la distribuzione della propria opera in formato digitale e si mette a disposizione di chiunque sia anche solo in grado di mal suonare un flauto dolce, di quelli con cui si studiava musica a scuola.

Contratti, gestione dei rapporti con le società degli store telematici, adeguata formattazione dei brani musicali e gestione automatizzata del trasferimento dei file nei database dei distributori, tutti gli aspetti del “dietro le quinte” del mercato musicale vengono presi in consegna da TuneCore . Al modico prezzo di una sottoscrizione annuale di circa 30 dollari offre al Trent Reznor di turno o all’amatore che suona la chitarra elettrica nel garage di casa un meccanismo distributivo senza lungaggini burocratiche o difficoltà tecniche di sorta. E i guadagni vengono intascati interamente da chi la musica la produce, apparentemente senza cavilli nascosti.

La promozione delle “opere” musicali, naturalmente, non viene contemplata nel prezzo: TuneCore è una facility meramente tecnica, in cui l’input dei contenuti corrisponde, inevitabilmente e senza intermediazioni, all’output dei brani e degli album su iTunes, eMusic, Amazon, Napster e altri store digitali. Non a caso Price definisce la propria creatura come una vera e propria rivoluzione nel mercato della musica, che ha realizzato, con la sua comparsa in rete, la rivoluzione di una distribuzione realmente democratica e aperta a tutti. Un tipo di distribuzione che le major non avrebbero mai potuto avallare o promuovere.

Naturalmente, non avere un paio di orecchie fini ad ascoltare la musica prima che questa finisca nei negozi non dà alcuna garanzia sulla qualità o la semplice decenza della suddetta , e in tal senso la democratizzazione potrebbe semplicemente trasformarsi in un servizio di tipo GIGO . La spazzatura (musicale) entra, la spazzatura esce su iTunes. L’approccio di TuneCore permette insomma di far raggiungere il mercato anche a porcherie assolute che altrimenti sarebbero rimaste chiuse (per motivi ben fondati di decenza e pubblico decoro) negli scantinati di “artisti” dalla dubbia sensibilità. Per Price questo non è un problema: a suo dire TuneCore “ha spezzato il controllo di un’industria da 35 miliardi di dollari all’anno”, e se ci sarà in giro più spazzatura è prevedibile che aumenterà anche la “roba buona” e degna di essere ascoltata dal pubblico.

Parlando di profitti, Price non nasconde le cifre: ad ars techica il tecnologo – che aveva già fondato una etichetta indie prima di dedicarsi a TuneCore – rivela che, nel complesso, i clienti della sua società hanno realizzato 6,5 milioni di dollari di ricavi nel corso di tutto il 2007. Mille di questi artisti – o presunti tali – guadagnano attualmente oltre 1.000 dollari al mese, e in un caso una band sconosciuta ha totalizzato 100mila dollari in un mese solo grazie al passaparola e al social networking .

La società, per contro, non è ancora in attivo finanziario, ma il passaggio dai server gestiti in proprio all’ outsourcing delle infrastrutture hardware e software ad Amazon ( Simple Storage Service ed Elastic Compute Cloud ) ha recentemente permesso di aumentare i ricavi di uno stellare 480% , facendo avvicinare di molto l’obiettivo del pareggio dei conti.

TuneCore avrà anche scompaginato i business plan di major ed etichette indie, ma è Price stesso a dover ammettere che la sua società non potrà comunque essere la principale responsabile del tracollo definitivo del mercato musicale tradizionale . L’intermediazione democratica e senza filtri, sintetizza il suo creatore, funziona alla grande soprattutto nei casi in cui un artista di fama senta l’esigenza di una distribuzione economica e senza le complicanze dei rapporti con le major, o nel caso in cui un perfetto sconosciuto non riesca a ottenere quel benedetto contratto, ma voglia provare lo stesso a pubblicare la sua creazione.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
4 giu 2008
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