Contrappunti/ Le querele online (non) si sprecano

Contrappunti/ Le querele online (non) si sprecano

di Massimo Mantellini - Magari una qualche organizzazione web pagata dagli utenti offrisse assistenza nei sempre più frequenti casi di soggetti forti che intentano querele per spegnere ogni contestazione
di Massimo Mantellini - Magari una qualche organizzazione web pagata dagli utenti offrisse assistenza nei sempre più frequenti casi di soggetti forti che intentano querele per spegnere ogni contestazione

C’è tutto un mondo fuori, che governa i rapporti fra consumatori ed aziende ai tempi di Internet e spesso, a quanto pare, l’unica maniera per scoprirlo è sperimentarlo sulla propria pelle. Qualcosa del genere deve aver pensato l’amministratore delegato di Mosaico Arredamenti quando si è accorto che razza di pandemonio era accaduto nella rete italiana in seguito al suo annuncio di querela pubblicato incautamente nei commenti di un post del blog di Sergio Sarnari .

Come spesso accade in questi casi, gli eccessi si sprecano. Da un lato lo spauracchio della diffamazione può essere sventolato quasi impunemente in un numero amplissimo di differenti contesti (non questo in particolare), dall’altro appena qualcuno annuncia di volersi avvalere degli strumenti di legge per proteggere la propria reputazione o quella della propria azienda in rete è facilissimo trovare decine di persone pronte ad alzare alte grida sui rischi per la libertà di espressione.

Forse è quindi utile sgombrare preventivamente il campo affermando che adire a vie legali per difendere il proprio nome non può essere considerata una pratica sacrosanta nella vita reale e un abuso ed una minaccia per la libertà su Internet. Nel contempo occorre ricordare che nell’adeguamento delle pratiche legali alla rete Internet il nostro paese mostra ancora intera la propria decennale inadeguatezza: come dimostrano fatti recentissimi, ci sono ancora magistrati che ordinano di chiudere interi siti web nell’attesa di esprimersi sulla liceità di singole righe di testo.

Quanto al meccanismo ricattatorio, che è una delle leve usuali che spinge i cittadini a querelare o denunciare i propri simili, va detto che questo è spesso presente e di assai difficile controllo. In Italia è purtroppo sufficiente avere un amico avvocato ed una fotocopiatrice per poter inoltrare querele a decine con la quasi certezza che, nella peggiore delle ipotesi, una rapida archiviazione chiuderà il cerchio della pratica senza che al denunciante venga contestato alcunché (e nel caso delle denunce penali senza grossi esborsi finanziari). Nel frattempo il nostro ipotetico denunciato avrà dovuto scegliersi e pagare un legale, rispondere a convocazioni negli uffici della Questura e subire l’inevitabile incertezza emotiva di un procedimento penale a suo carico. Anche nel caso in cui – e accade di continuo – le accuse nei suoi confronti siano manifestamente infondate.

Detto questo, è indubbio che annunciare querele in rete nei confronti di un proprio cliente insoddisfatto non sia una grande idea, per un numero piuttosto ampio di buone ragioni. Molte di questi sono state elencate, a proposito della querelle Mosaico Arredamenti – Sergio Sarnari, in alcuni post scritti da esperti di marketing italiani come Mauro Lupi e Gianluca Diegoli , altre vorrei provare a suggerirle qui.

Chi urla più forte?

La voce grossa su Internet la fanno in genere i navigatori più che le aziende. È significativo osservare come grandissime aziende nelle conversazioni in rete abbiano la necessità di ridurre la propria voce ad un fiato singolo e personale, l’unica maniera sensata di affrontare un ambiente da pari a pari per definizione. Per affrontare la rete le aziende intelligenti scendono dal piedistallo e diventano “uno”, e questa mutazione tende a equilibrare i rapporti di forza.

E dentro questo elenco di singoli contributi e di dialoghi paritari, Google è capace di incidere profondamente (nel bene e nel male) nei meccanismi di reputazione in rete. Specialmente nei casi delle piccole e medie imprese che hanno generalmente pagerank modesti, sono sufficienti una manciata di commenti negativi su una decina di blog differenti per ottenere di fatto e rapidissimamente l’effetto pubblicitario opposto rispetto a quello desiderato. Se l’intento di minacciare querele era quello di ridurre al silenzio critiche (magari anche ingenerose) ai propri prodotti, occorre comprendere che per le aziende oggi Internet è “la grande cristalleria”: nel comunicare se stessi in relazione agli altri creare danni di immagine molto ampi è un attimo. Nel momento in cui scrivo – per fare un esempio – per la keyword “Mosaico Arredamenti” nella prima pagina dei link restituiti da Google nove collegamenti su dieci si riferiscono alla querela a Sergio Sarnari.

Armiamoci e partite

I meccanismi di aggregazione dell’indignazione e della solidarietà in rete sono estremamente semplici e assai poco costosi. Spesso si concretizzano in petizioni online o in fenomeni di amplificazione che aggiungono all’invettiva ripetuta su molti siti web differenti ulteriori grandi o piccole complicazioni. In casi del genere, dal mio punto di vista, la vera solidarietà può essere misurata in una maniera molto semplice. Non serve tanto scrivere civili lettere che invocano, a nome di gruppi sociali più o meno eterogenei, una composizione della diatriba (la lettera scritta da Marco Camisani Calzolari al riguardo della vicenda Mosaico Arredamenti e firmata da decine di blogger è molto pacata e condivisibile), quanto aggiungere un semplice bottone di raccolta fondi sul proprio sito. Capisco che si tratti di una soluzione che a molte persone può non piacere ma il denaro è un ottimo indicatore di autentica (nostra) partecipazione alle disavventure altrui.

Meglio ancora sarebbe se in rete esistesse una qualche organizzazione creata (e pagata) dagli utenti capace di offrire informazione e assistenza legale nei sempre più frequenti casi di soggetti “forti” che intentano querele pretestuose verso semplici cittadini nel chiaro intento di spegnere sul nascere ogni contestazione. Ovviamente un istituto del genere sarebbe ancor più utile nei frequenti casi di oscuramento di interi siti web, come quello occorso nelle scorse settimane ad Antonino Monteleone , contesti nei quali davvero i rischi per la libertà di espressione sembrano aver maggior titolo di citazione.

Conversazioni inevitabili

Le aziende hanno un sacco di problemi. E certamente non ardono dal desiderio di intrattenere i propri clienti discutendo amabilmente dei propri prodotti. Nello stesso tempo oggi è ormai assodato che tale ulteriore carico di tempo da impiegare e responsabilità vada compreso nel bilancio di qualsiasi società. Gli utenti discutono comunque fra loro in rete di quanto servizi e prodotti siano loro sembrati ottimi, discreti o pessimi ed i fenomeni indotti da questo chiacchiericcio distribuito sono potenzialmente molto pericolosi anche per aziende animate da un autentico desiderio di confronto con la propria clientela. Starne al di fuori è oggi tecnicamente impossibile. Così come esistono pessime aziende che hanno fatto del muro comunicativo che le divideva dai propri clienti una delle ragioni della loro sopravvivenza, analogamente esistono cattivi utenti che affidano alla propria umoralità apprezzamenti diffamatori nei confronti di questo o quel prodotto. La soluzione condivisa a questa grande variabilità è inevitabilmente accettare la grande conversazione: l’ecosistema informativo che oggi avvolge un prodotto in rete, preso nella sua interezza, è il miglior giudice del prodotto stesso e gli strumenti per comprenderlo interamente sono oggi sempre più frequentemente utilizzati. E la grande nuvola di comunicazione che avvolge ogni prodotto in rete è anche la miglior maniera per le aziende per verificare la bontà del proprio lavoro, lasciando gli strumenti della querela ai casi davvero estremi (ed alle aziende che non hanno altro strumento per difendere propri prodotti indifendibili).

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il 16 giu 2008
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