Portare un Top500 al polso? Col DNA

Portare un Top500 al polso? Col DNA

Basta dare il tempo ad alcuni scienziati giapponesi di perfezionare la prima creazione riuscita di DNA artificiale stabile. Dopodiché, il Roadrunner di IBM sarà un giochetto da polso
Basta dare il tempo ad alcuni scienziati giapponesi di perfezionare la prima creazione riuscita di DNA artificiale stabile. Dopodiché, il Roadrunner di IBM sarà un giochetto da polso

Alcuni scienziati giapponesi hanno dichiarato di essere riusciti a creare il primo DNA artificiale del mondo , una novità che apre nuovi orizzonti e che avvicina a passi da gigante il DNA computing , tecnologia a cui la sfera scientifica mira da molto tempo.

Masahiko Inouye, principale autore dello studio pubblicato sul Journal of the American Chemical Society , supera di gran carriera i primi tentativi concreti, nell’ambito dei quali il DNA era impiegato solo per la costruzione delle porte logiche. L'abstract dello studio Nella corso della loro ricerca, Inouye e i colleghi dell’ Università di Toyama dichiarano di essere riusciti a produrre un DNA artificiale stabile : “La chimica unica di queste strutture e la loro stabilità offrono possibilità mai viste sinora per lo sviluppo di nuove biotecnologie e applicazioni”, spiega il gruppo.

Qualora la tecnologia individuata si rivelasse usabile e corretta – racconta VNUnet – in prospettiva ci potranno essere computer basati su DNA dalla potenza di calcolo inimmaginabile : in men che non si dica i sistemi fondati sul semplice silicio diverrebbero obsoleti e l’ulteriore sviluppo di micro-supercomputer (o super-microcomputer ?), enormemente più potenti degli odierni sistemi, potrebbe arrivare in un soffio.

I mattoni usati per queste architetture dal sapore fortemente avveniristico, fondamentalmente, sono due: gli enzimi , che svolgono il ruolo di hardware, e il DNA , che costituisce il software. Ad oggi, miscelando sapientemente questi due elementi e monitorando i risultati, gli scienziati possono già svolgere semplici elaborazioni.

Stupirà anche sapere che la capacità di memoria del DNA, in prospettiva, sarebbe di gran lunga superiore a quanto si possa minimamente immaginare: basterebbe mezzo chilo di DNA per memorizzare i dati contenuti in tutti gli hard disk esistenti oggi sulla faccia della Terra. Senza contare i consumi, inferiori di molteplici ordini di grandezza.

Aveva dunque centrato il problema National Science Foundation, quando asseriva che ormai è ora di andare oltre la legge di Moore : lo stesso gigante di Armonk, IBM, si impegna a fondo in tutto ciò che è “nano”, intravedendo in quel settore della ricerca le maggiori promesse per il futuro. Non resta che concedere agli scienziati il tempo di perfezionare questo passo importante, con la promessa che presto si potrà scegliere il più potente dei Top500 e, vista la riduzione di dimensioni e consumi, portarlo… al polso.

Marco Valerio Principato

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Pubblicato il
9 lug 2008
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