Darknet è qui per restare

Darknet è qui per restare

Lo affermano alcuni esperti di sicurezza di Microsoft, secondo cui il peer-to-peer e gli altri strumenti di condivisione che non consentono il controllo dei contenuti non saranno distrutti dalle iniziative dell'industria
Lo affermano alcuni esperti di sicurezza di Microsoft, secondo cui il peer-to-peer e gli altri strumenti di condivisione che non consentono il controllo dei contenuti non saranno distrutti dalle iniziative dell'industria


Roma – Un interessante documento pubblicato sui server dell’Università di Stanford e firmato da alcuni esperti di sicurezza di Microsoft, ma non sponsorizzato dall’azienda, afferma che le tecnologie di condivisione e copiatura dei contenuti digitali possono essere solo contrastate dall’industria ma non sconfitte.

Stando ai quattro autori del rapporto (Peter Biddle, Paul England, Marcus Peinado e Bryan Willman) “darknet”, cioè quell’insieme di tecnologie che fanno capo al peer-to-peer, alla condivisione di password o alla pirateria di CD e DVD, può incorrere in una serie di problematiche tecniche ma alla fine “il genio non sarà nuovamente costretto nella lampada”.

Negli ultimi anni, spiegano gli esperti, darknet si è di molto allargato andando a comprendere una vasta serie di tecnologie che assicurano un alto livello di distribuzione dei contenuti digitali che i produttori vorrebbero poter controllare ma che, nei fatti, girano senza alcun controllo e al di fuori della legalità.

L’evidenza dei fatti dimostra, secondo gli autori, che qualsiasi contenuto di rilievo o particolarmente popolare è destinato a finire nel darknet “perché una frazione di utenti, probabilmente esperti, supererà i meccanismi di protezione anticopia oppure perché quei contenuti entreranno in darknet prima di essere sottoposti a protezione”.

Tutto quello che va dal watermarking al fingerprinting ad altri sistemi di controllo e protezione dei contenuti, ivi comprese le iniziative legali contro chi produce, promuove o fa uso di tali tecnologie, è destinato a “non rappresentare una barriera impenetrabile”.

Dopo Napster, sistema centralizzabile e dunque legalmente attaccabile, le reti peer-to-peer sembrano rappresentare un ostacolo insormontabile alla protezione dei contenuti. E questo sebbene gli autori spieghino che limitati effetti possano essere ottenuti perseguendo quella porzione di utenti, relativamente piccola, che distribuisce la maggior parte dei contenuti che poi vengono copiati da tutti gli altri, che perlopiù dispongono di connessioni non sufficientemente veloci per spingerli a condividere grandi quantità di materiali.

Allo stesso modo potrebbero avere effetti importanti ma limitati le iniziative contro l’uso come “snodi” del peer-to-peer dei network veloci di corporation e università. In quel caso il p2p sarebbe “confinato” sull’utenza privata che raramente può disporre di infrastrutture ugualmente performanti.

Nonostante questo, se si considera “l’aumento rapido della banda a disposizione degli utenti, il decrescere del costo dello storage e il fatto che i personal computer divengono effettivamente centri per l’intrattenimento domestico, noi riteniamo che le funzionalità peer-to-peer rimarranno popolari e continueranno a diffondersi”.

In un quadro nel quale darknet in un modo o nell’altro è destinato ad affermarsi possono risultare efficaci, ma solo parzialmente, le tecnologie di Digital Rights Management (DRM), sempre più implementate dall’industria. Ma si tratta di sistemi che da un lato proteggono le opere e dall’altra le “svalutano” presso l’utenza rispetto a copie delle stesse che girano su darknet senza controllo.

Su questo gli autori non si sbilanciano ma sembrano indicare, nelle conclusioni, che l’industria dei contenuti dovrebbe probabilmente iniziare ad ipotizzare che contro darknet l’unica via è legare ad un prezzo ridotto delle proprie offerte un’alta qualità di servizio, quella che nel bene o nel male il p2p non può offrire.

L’intero documento è disponibile qui .

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Pubblicato il
22 nov 2002
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