La Rete? Clandestina

La Rete? Clandestina

di Guido Scorza - Le motivazioni della sentenza che ha chiuso per stampa clandestina un blog italiano preoccupano e rilanciano un problema vecchio di anni: le normative attuali fanno a pezzi la certezza del diritto. Rischio blogging
di Guido Scorza - Le motivazioni della sentenza che ha chiuso per stampa clandestina un blog italiano preoccupano e rilanciano un problema vecchio di anni: le normative attuali fanno a pezzi la certezza del diritto. Rischio blogging

La decisione del Tribunale di Modica di condannare per stampa clandestina Carlo Ruta, storico siciliano, aveva già sollevato dubbi e perplessità qualche mese fa.
Le motivazioni della Sentenza depositate nei giorni scorsi confermano, purtroppo, tali perplessità e proiettano un cono di incertezza sul futuro dell’informazione online.

La decisione – che sarebbe ingiusto liquidare semplicemente come brutta o errata – infatti amplifica le numerose ambiguità ed i molti elementi di incertezza contenuti nell’attuale disciplina dell’informazione telematica.

Il problema non è – purtroppo – che il Giudice abbia errato e ritenuto colpevole Carlo Ruta, quanto piuttosto che il quadro normativo cui è affidata una materia tanto importante per il futuro dell’informazione e, quindi, della democrazia sia tale da consentire interpretazioni diverse e contraddittorie inidonee a fornire agli interessati – ormai nell’ordine di milioni di cittadini – la necessaria certezza del diritto.

Mentre scrivo non so, francamente – e, come me, credo centinaia di altri amici e colleghi che scrivono in Rete di argomenti diversi – se il mio blog di informazione giuridica – alla stregua dei principi fissati nella decisione del Tribunale di Modica e che domani potrebbero essere recepiti da centinaia di altri magistrati italiani – debba essere o meno registrato presso la Sezione per la stampa del Tribunale o, magari, presso il ROC, il Registro degli operatori della comunicazione.
Questa situazione di incertezza giuridica, tuttavia, rischia di costituire uno strumento di limitazione della libertà di manifestazione del pensiero in Rete ancor più incisivo di forme più palesi di censura perché è capace di disincentivare molti dall’uso delle nuove tecnologie telematiche per la diffusione di idee, fatti, opinioni e, più in generale, cultura.
Ma torniamo alla decisione del Tribunale di Modica.
Il Giudice, date due possibili interpretazioni del quadro normativo vigente, ne ha scelta una – quella caratterizzata da una lettura generalizzata dell’obbligo di iscrizione dei prodotti editoriali telematici presso le Sezioni delle stampa dei Tribunali – ed ha quindi condannato lo storico siciliano.

In molti forse la penseranno diversamente ma, personalmente, non sono affatto stupito o scandalizzato.
Ho già scritto altre volte che date le norme cui è affidata la disciplina della materia poteva succedere e potrà accadere di nuovo.
Ci sono, tuttavia, alcuni profili della decisione che proprio non convincono.

Innanzitutto, il Magistrato muove dal presupposto che Carlo Ruta avrebbe dovuto registrare la testata del proprio sito (quale?) presso il Tribunale di Modica in conformità a quanto disposto dalla vecchia (ma tuttora in vigore) disciplina sulla stampa (Legge 47/48) espressamente dichiarata applicabile anche ai prodotti editoriali telematici dalla nuova disciplina sull’editoria (Legge 62/2001).
Secondo il Giudice, tale conclusione non sarebbe scalfita dalla previsione dettata dall’art. 7 comma 3 del D.Lgs. 70/2003 ai sensi del quale “La registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62” in quanto tale disposizione non si applicherebbe “al singolo che svolge l’attività d’informazione non in forma commerciale e, quindi, non in qualità di prestatore dei servizi della società dell’informazione”.

Si tratta di una valutazione arbitraria, errata e pericolosamente discriminatoria: il singolo che gestisce in una dimensione amatoriale un blog di informazione sarebbe tenuto alla registrazione, mentre la grande società che svolga identica attività ma che non sia interessata alle provvidenze all’editoria potrebbe sottrarsi alla registrazione.

Logica e buon senso suggerirebbero il contrario ma, sfortunatamente, né l’una né l’altro costituiscono criteri cui il Legislatore italiano è solito ispirarsi con la conseguenza che essi non possono neppure essere utilizzati quali sicuri criteri interpretativi.

A prescindere da logica e buon senso, tuttavia, anche il tenore letterale dell’art. 7 del D. Lgs. 70/2003 induce a ritenere che, al riguardo, il Giudice abbia sbagliato: la previsione si limita a stabilire che “la registrazione della testata editoriale telematica” è obbligatoria solo laddove i prestatori del servizio intendano accedere alle speciali provvidenze per l’editoria.
Nessuna limitazione soggettiva dell’ambito di applicazione della norma è, dunque, suggerita dal suo tenore letterale.

Ma vi è di più.
La testata – oggetto dell’obbligo di registrazione – è un segno distintivo ed è, come tale, ontologicamente riconducibile solo ad attività – almeno in senso lato – commerciali con la conseguenza che affermare, come si fa nella decisione del Tribunale di Modica – che Carlo Ruta avrebbe dovuto registrare la propria testata in quanto esercente un’attività di informazione in forma “amatoriale” è una contraddizione in termini.

La verità è un’altra: blog e siti di informazione quale quello di Carlo Ruta sono privi di testata in senso tecnico e, pertanto, i titolari non dovrebbero esser considerati tenuti alla registrazione di un elemento dei quali i propri prodotti editoriali sono privi.
Ragionare diversamente è come pretendere che il proprietario di una bicicletta debba registrarne la targa presso il pubblico registro automobilistico.

Egualmente poco convincenti e, ad un tempo, molto preoccupanti appaiono le considerazioni contenute nella Sentenza relative alla pretesa “sistematicità” – che è concetto diverso da quello di “periodicità regolare” cui si fa riferimento nella disciplina sulla stampa – con la quale il blog di Carlo Ruta sarebbe stato aggiornato ed al contenuto informativo dello stesso.

La lettura della Sentenza, infatti, non consente di comprendere quale debba essere la frequenza ed il ritmo degli aggiornamenti per sottrarsi all’obbligo di registrazione e quale, al contrario, renda soggetti a tale obbligo. Né di cosa possa parlarsi serenamente in Rete senza necessità di registrazione e di cosa, invece, possa parlarsi, online, solo dopo essersi registrati presso il Tribunale.
Delle due l’una: o Sentenze e Leggi – più le seconde che le prime – sono sbagliate e mal scritte o la Rete italiana è, più o meno tutta, clandestina.

Per sottrarsi a tale preoccupante ma inesorabile conclusione occorre metter mano con urgenza ad una nuova disciplina dell’informazione online che tenga conto della centralità da quest’ultima assunta nello sviluppo politico, sociale ed economico del Paese e, soprattutto, della dimensione globale nella quale tale disciplina sarà chiamata ad operare.

Che senso ha imporre ad un blogger italiano di registrarsi se nel resto del mondo se ne può fare a meno in un contesto nel quale il “mercato” dell’informazione è davvero unico?

Guido Scorza
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
3 set 2008
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