USA/ L'open source di stato non s'ha da fare

USA/ L'open source di stato non s'ha da fare

Una coalizione di colossi del software proprietario manda a dire al Governo americano, con un corposo documento a sostegno, che sarebbe dannoso e inutile promuovere il software open source. Condanna senza appello per la GPL
Una coalizione di colossi del software proprietario manda a dire al Governo americano, con un corposo documento a sostegno, che sarebbe dannoso e inutile promuovere il software open source. Condanna senza appello per la GPL


Falls Church (USA) – Bocciatura completa per la GPL, licenza al cuore del software libero, e promozione con la sola sufficienza per l’open source. Questo è quanto una parte della grande industria ha deciso di mandare a dire all’amministrazione Bush, un concetto esteso in un lungo e particolareggiato documento tutto a favore del closed source.

Lo scorso maggio la Initiative for Software Choice (ISC) annunciava ufficialmente l’inizio delle proprie attività presentandosi come “una coalizione globale di aziende e associazioni dedite a sostenere il principio che i governi dovrebbero scegliere i prodotti software in base ai loro meriti piuttosto che sulla base di categoriche preferenze”.

Un intento, quello espresso dall’ISC, che fino a pochissimo tempo fa lo si sarebbe potuto attribuire senza alcuna esitazione ad una tipica organizzazione pro open source. Ed invece, segno di quanto i tempi cambino in fretta, questa coalizione, appoggiata da colossi come Microsoft, Intel e Cisco, ha finalità completamente opposte: contrastare quella che i colossi del software proprietario considerano una preoccupante infiltrazione dell’open source nei governi e nelle pubbliche amministrazioni.

A pochi mesi dalla sua nascita, l’ISC si trova già ad affrontare la sua prima battaglia per “evitare – dichiara in una nota – che il Dipartimento della Difesa (americano) approvi una politica inutile e potenzialmente dannosa che promuova l’uso del software open source”.

L’ISC si è detta particolarmente preoccupata per il rapporto presentato di recente dal MITRE , un’organizzazione non profit che collabora attivamente con vari enti governativi e militari americani. In questo documento si afferma infatti che il software open source “gioca un ruolo più cruciale per il Dipartimento della Difesa (DoD) di quello che generalmente gli viene attribuito”, ed esorta il Governo americano a puntare sempre più su di esso come attuabile alternativa ai prodotti di Microsoft e di altri grossi fornitori di software closed source.

Il contrattacco delle aziende minacciate da tale proposta si è concretizzato nel rilascio, da parte dell’ISC, di un altro documento in cui si sostiene l’opportunità, per il DoD, di scegliere il software che soddisfi al meglio le sue esigenze per il particolare ambiente in cui verrà utilizzato” e che gli consenta di “rendere il risultato delle sue attività di ricerca e sviluppo disponibile a tutti i soggetti del mercato interessati”.

Al contrario di quanto afferma il MITRE, l’ISC sostiene che nessuno “sta seriamente cercando di bandire il FOSS (Free and Open Source Software) dal DoD”: a suo avviso, infatti, il software open source può essere utilizzato insieme a quello closed source all’interno di ambienti eterogenei. A patto che non si tratti di software coperto da licenze come la GPL, quella che secondo Microsoft è pericolosa quasi quanto la criptonite per Superman, cioè gli USA.

“La natura virale di certe licenze open source come la GNU General Public License (GPL) – si legge nel rapporto dell’ISC – rimane fonte di preoccupazione per molti soggetti dell’industria”. Ecco come e perché combatterla.


L’associazione spiega, allineandosi con la ben nota posizione del big di Redmond, che il software open source “è utile e proficuo per tutti” solo se adotta licenze non soggette alle forti restrizioni della GPL, licenze che, come la BSD, siano compatibili con quelle commerciali e permettano il riutilizzo del codice aperto in prodotti proprietari.

L’ISC sostiene, in particolare, che se il DoD finanzia, come del resto sta già facendo, progetti che sviluppano software GPL, l’industria closed source non potrà trarre nessun vantaggio dalla condivisione di questo codice perché, come noto, non lo si può inglobare in prodotti venduti con una licenza differente: questo, secondo quella rappresentanza di aziende che vorrebbe invece essere libera di prendere quel codice ed integrarlo nei propri prodotti commerciali, “significherebbe ridurre drasticamente l’utilità di qualsiasi soluzione software sviluppata con i fondi stanziati dal DoD per la ricerca e sviluppo”.

“Senza dubbio – commenta clemente l’ISC – vietare il software open source in qualsiasi area del DoD (o altrove) avrebbe ripercussioni dannose, ma questo divieto non ha nessuna attinenza con la realtà”.

“Passi l’open source – sembra quindi dire l’ISC – ma guai a chi parla di free software (GPL)”.

L’ISC sostiene che alcune delle aziende che prima producevano solo software proprietario, come IBM, Apple e Sun, oggi hanno integrato nella loro offerta prodotti open source. Dall’altro lato, molte aziende nate nell’open source stanno ora cominciando ad adottare modelli di business più commerciali, “offrendo versioni proprietarie dei propri software che meglio proteggano le loro proprietà intellettuali”.

“In questo contesto evolutivo, dove la linea di demarcazione fra le due comunità (closed e open source, NdR) si va facendo confusa, e dove le scelte concorrenziali proliferano per i clienti privati, aziendali e governativi, perché il DoD dovrebbe aver bisogno di attuare una politica promozionale che incoraggi l’uso del software open source?”, domanda placida l’ISC.

Uno degli elementi su cui il MITRE ha più battuto per promuovere l’utilizzo del software open source è quello della sicurezza. Un fattore che, secondo l’ISC, è però un falso punto di confronto. Quest’ultima ritiene infatti assurdo pensare che esista un modello di sviluppo che, di per sé, possa garantire la creazione di software sicuro: “nessun software o sistema basato sul software – dice l’ISC -, indipendentemente da com’è stato prodotto o costruito, può essere immune ai cyberattacchi”.

L’ISC afferma dunque di voler rimanere neutrale sul campo della sicurezza, salvo poi citare studi e articoli nei quali si sostiene che la maggior sicurezza del software open source rispetto a quello proprietario è più che altro una leggenda, un falso mito. Una leggenda a cui però cominciano a credere un crescente numero di governi e che, in un contesto più reale che mitologico, sta di conseguenza costringendo colossi come Microsoft e Cisco a mobilitarsi per proteggere il “core” del proprio business.

La guerra fra open e closed, quella vera, è appena cominciata.

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Pubblicato il 29 nov 2002
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