Contrappunti/ Vite parallele: mp3 e sementi

Contrappunti/ Vite parallele: mp3 e sementi

di Massimo Mantellini - Le strategie della Monsanto per controllare quel che gli agricoltori fanno delle sementi sviluppate in laboratorio corrono parallele alle iniziative di produttori di musica e software. Ecco in che modo
di Massimo Mantellini - Le strategie della Monsanto per controllare quel che gli agricoltori fanno delle sementi sviluppate in laboratorio corrono parallele alle iniziative di produttori di musica e software. Ecco in che modo


Roma – Ha destato molto interesse, qualche preoccupazione e parecchie risate la notizia secondo la quale il Gruppo Anti Pirateria Danese avrebbe inviato ad un centinaio di utilizzatori dei software di sharing Kazaa e Edonkey il conto, in sonanti corone locali, di quanto avevano condiviso su Internet.

Senza voler tornare a discutere di quali siano i limiti e l’essenza stessa dello scambio di materiale sotto copyright in rete oggi, è interessante sottolineare questa piccola notizia perchè rappresenta un salto di qualità ulteriore nella guerra fra “pirati” e grande industria dei contenuti. Con un solo passaggio, il “si acclude fattura” inviato nella buca delle lettere di qualche decina di ignari utenti internet, viene infatti per la prima volta fatta chiarezza sui reali intendimenti dei soggetti in campo.

E’ come se cadesse il velo dietro al quale ci si è nascosti per troppo tempo. Per la prima volta, dopo anni di panegirici balbuzienti, viene indicato in modo chiaro e brutale il centro del problema. Ed il problema è: “Ragazzo, sappi che tutto ciò che fai in rete ha un costo in moneta sonante”.

In questi giorni, più o meno casualmente, sto leggendo un bel libretto di Vandana Shiva, fisica ed economista indiana dal titolo “Il mondo sotto brevetto”. Ieri mentre stavo pensando a questo articolo mi sono capitate sotto gli occhi un paio di frasi nel capitolo che Shiva dedica ai brevetti delle sementi. Vi invito a leggerle con me sostituendo al soggetto “sementi” il soggetto “musica”.

“Secondo la normativa vigente sui brevetti relativi a varietà vegetali e sementi, un’impresa titolare di un brevetto può rivendicare l’invenzione della semente, della pianta e della varietà vegetale in questione, escludendo chiunque altro dal diritto di produrla, venderla utilizzarla o distribuirla. In questo quadro, l’antico sistema della conservazione e del libero scambio dei semi fra vicini finisce per diventare un “furto di proprietà intellettuale”. In molti casi, nei paesi industrializzati, le imprese stanno già facendo causa ai contadini per la conservazione e lo scambio di sementi.” (Vandana Shiva, “Il mondo sotto brevetto” pg. 71, Feltrinelli, 9 euro)

La conservazione e lo scambio delle sementi. La conservazione e lo scambio della musica online. I sistemi peer to peer non sono altro che piccoli strumenti di conservazione e scambio . Ciò che l’industria multimediale trova inaccettabile è semplicemente che, non solo per lo scambio, ma persino per la conservazione di musica in formato digitale, non debba essere a lei corrisposto un prezzo. Sullo scambio si sono fatte discussioni senza fine. Da una parte ci sono gli utenti dei sistemi di sharing che, un po’ in tutto il mondo, percepiscono lo scambio di materiale sotto copyright come una normale condivisione fra pari al di fuori di ogni lucro, dall’altra l’industria dei contenuti che sottolinea, con più di una ragione, come tale amplissima sotterranea distribuzione le precluda grandi fette di un teorico possibile mercato e si estenda ogni giorno di più fino a compromettere la sua stessa sopravvivenza.

Tuttavia, la parte per me più interessante e ancora in gran parte sottaciuta, sembra essere quella sulla conservazione del materiale digitale, in particolare di quello musicale. Il controllo che si sta tentando di imporre su di esso, sul diritto dei singoli di godere estesamente di un bene che si è regolarmente acquistato, è assai più subdolo e discutibile. Le sue forme di applicazione possibile, la più evidente delle quali è quella della distribuzione online di file musicali “a tempo”, canzoni cioè che diventano inutilizzabili dopo un certo numero di ascolti o che hanno importanti limiti di portabilità, sono oggi l’espressione migliore non tanto di un disagio dell’industria multimediale che deve affrontare l’emergenza mp3 nata con Napster, quanto della sua famelicità. Da tempo si tenta di separare il contenuto dal contenente esattamente come avviene da anni con il software. Si prova insomma a convincere l’utente stolto come me che acquistare il CD di Coldplay pagato 20 euro qualche giorno fa, concretamente non mi rende proprietario di un bel niente. O quasi. Sono le meraviglie della licenza d’uso, bene immateriale per eccellenza, il cui acquisto causa più di un fraintendimento.

Visto che ormai il paragone l’ho tentato, cito un altro passo del libro di Shiva in cui si parla proprio di questo: di limiti di utilizzo, di Monsanto, nota azienda americana di sementi OGM e del suo Round Up Ready Gene Agreement:

“Monsanto impedisce agli agricoltori di vendere o fornire semi o altro materiale derivato dai raccolti a chicchessia, singola persona od ente, nonchè di conservare sementi di alcun tipo….. Se una qualunque clausola dell’accordo viene violata il coltivatore dovrà pagare una cifra cento volte superiore al danno provocato….La Monsanto per i primi tre anni della durata dell’accordo ha il diritto di compiere ispezioni sui campi in qualsiasi momento, anche in assenza dell’agricoltore interessato e senza alcuna autorizzazione specifica.”

Forse che a qualcuno di voi, leggendo queste frasi, riecheggiano alla mente certi propositi di controllo di polizia che BSA tenta da anni di imporre in tutto il mondo sul software pirata? Anche nel caso danese si assiste a questa curiosa e sempre più frequente confusione di ruoli per la quale l’industria o i suoi scherani, saltando ogni ordinamento, diventano prima il gendarme che acciuffa il manigoldo e poi il giudice che stabilisce, a proprio insindacabile giudizio, che il file sharing di un mp3 costa 20 corone, quello di un film 200 e quello di un videogame circa il doppio. Se fossi un poliziotto danese forse a questo punto avrei qualche leggera crisi di identità.

Sull’altro versante, le garanzie di privacy e di tutela individuale del singolo possono invece attendere. Almeno fino a quando un giudice (di quelli veri) chiarirà per lo meno che non è possibile associare ad ogni IP una singola persona fisica cui inviare “il conto” di un contratto tra l’altro mai stipulato.

L’equo compenso per il materiale digitale scambiato in rete assomiglia così sempre di più ad una chimera e viene sostituito dal tentativo di mutare alla base i rapporti fra produttore/distributore ed utilizzatore rendendoli, ove possibile, ancor più remunerativi per i primi di quanto sia stato fino ad ora. In tutto questo marasma le belle discussioni sugli artisti, sulla loro capacità di sopravvivere economicamente nella nuova economia digitale, sulla tutela della loro integrità e del loro talento messi in pericolo dalla pirateria online, per fortuna non le azzarda più nessuno. Siamo al punto cruciale che è – banalmente – quello economico, liberato da ogni ideologia e tatticismo.

Scrive Shiva che qualche agricoltore ha risposto agli intenti di Monsanto, che vuole violare la proprietà privata andando nei campi altrui a controllare le proprie sementi , dicendo “Spareremo agli intrusi” . In rete non accadrà probabilmente (e fortunatamente) nulla del genere ma certo non sarà difficile trovare contromisure altrettanto efficaci al desiderio di controllo sulle attività online da parte di soggetti non autorizzati. Ma con l’aria che tira non è per nulla improbabile che domani una grande major musicale suoni il campanello di casa mia per controllare chi ascolta il suo disco di Coldplay dentro il mio lettore. Tutto ciò in attesa che qualcuno disegni finalmente un equilibrio minimo, fatto di norme da rispettare per tutti, che metta d’accordo le esigenze di una industria dei contenuti digitali troppo orientata a massimizzare i propri profitti ed un utente internet che non vuole saperne di pagare per ciò che consuma, nemmeno a prezzi ragionevoli.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
2 dic 2002
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