La band degli AC/DC, gli alfieri dell’hard rock australiano a cui la vendita di brani su iTunes proprio non riesce a piacere è stata beffata su tutta la linea quando l’album “Black Ice”, lavoro con cui il gruppo interrompe 8 anni di improduttività, è finito dritto sulle reti BitTorrent, The Pirate Bay incluso.
Gli AC/DC sono sempre stati fedeli alla formula dell’album tradizionale, quello composto da un numero variabile di brani, un lavoro di produzione capace di sintetizzare umori artistici e soluzioni tecniche. Una prospettiva insidiata dagli store digitali come quello di Cupertino , che incentivano l’acquisto di brani singoli e minano alla base i fondamenti della produzione musicale incoraggiata da decenni dalle major.
Un’altra particolarità della band australiana è quella di essere controcorrente anche per quanto riguarda le vendite dei CD: mentre i loro blasonati colleghi versano lacrime amare sulla pirateria e sulle perdite irreparabili di guadagni fantamilionari , gli AC/DC hanno venduto nel 2007 1,3 milioni di album solo negli States , e questo nonostante la già citata mancanza di lavori di peso da otto anni a questa parte.
Un caso atipico, ma che comunque non ha potuto sottrarsi alla dura legge di Internet e del P2P: il leak di Black Ice è già stato scaricato da oltre 400mila netizen, le stime suggeriscono che se la band non vuole migrare digitale, i consumatori di musica agiscono in maniera diametralmente opposta .
Ma sono comportamenti che i netizen mettono in atto solo se non percepiscono alcuna minaccia: il pensiero corre a quanto prevede la famigerata e finora sfortunata dottrina Sarkozy che vorrebbe imporre ai provider il ruolo di vigilantes e le disconnessioni forzate nei confronti degli “scaricatori” impenitenti. A rivelare l’atteggiamento dei downloader, uno studio di Entertainment Media Research : il 75% degli utenti del P2P si convertirebbe ai download legali se a bacchettarli fossero gli ISP .
Alfonso Maruccia