Editoria: le sorti dei blogger

Editoria: le sorti dei blogger

di Luca Spinelli - Ddl Levi, legge sull'editoria, ddl Cassinelli: una settimana di passione per la stampa italiana. Ma alla fine qual è il quadro normativo per il web italiano?
di Luca Spinelli - Ddl Levi, legge sull'editoria, ddl Cassinelli: una settimana di passione per la stampa italiana. Ma alla fine qual è il quadro normativo per il web italiano?

A quanto pare c’è un certo fermento legislativo attorno al tema editoria ed Internet. Mentre in commissione cultura si tratta sui finanziamenti pubblici , dopo l’annuncio dello stralcio del ddl Levi , ribattezzato ammazzablog, arriva il ddl Cassinelli . Per chi fosse curioso, il testo è reperibile sul sito del deputato. Cassinelli, non senza astuzia, lo annuncia già come il “ddl salva blog”. Per capire il perché facciamo un piccolo passo indietro.

In Italia è in vigore da vari anni una legge (62/2001) che definisce come “prodotto editoriale” qualsiasi “prodotto realizzato su supporto (…) informatico, destinato alla pubblicazione (…) di informazioni”. Ovvero: quasi ogni sito, forum, blog sulla terra.

Sempre stando alla stessa legge, ogni “prodotto editoriale” pubblicato periodicamente deve sottostare alle disposizioni sulla stampa del 1948 ( legge 47/1948 ) secondo le quali, tra l’altro, “nessun periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale”.

Secondo la lettera della legge, perciò, ciascuno delle migliaia di blog che nascono ogni giorno dovrebbe registrarsi in tribunale , avere un direttore e un proprietario. Chi non lo fa è fuori legge . Fa stampa clandestina. Tuttavia, come spesso succede nel diritto italiano, nonostante la legge sia in vigore nessuno la applica rigidamente perché altrimenti il sistema imploderebbe. Si va avanti di interpretazione in interpretazione, di giurisprudenza in giurisprudenza, di legge in decreto ( dlgs 9 aprile 2003 ), con l’unica certezza dell’incertezza del diritto. Per onore di cronaca, va detto che nel 2001 molti cercarono di fermare la mano del legislatore: giuristi, utenti, esperti di tecnologia. Ma senza successo.

Da allora le homepage del Bel Paese furono invase da grotteschi stendardi e clausolette nel tentativo di fuggire dalla longa manus della legge: “il presente sito non costituisce testata giornalistica”, “non ha carattere periodico”, “è aggiornato secondo le disponibilità”, “passavo di qui per caso, ma vado via subito”, “il mio server è in Turkmenistan”… Di tutto per dimostrare la propria amatorialità. Nonostante ciò, venne poi anche qualche condanna per stampa clandestina, qualche condanna per diffamazione, e qualche ddl Levi . Niente di troppo anticostituzionale, sia chiaro, ma comunque abbastanza per generare un clima di insicurezza e timore che concorre – con molti altri fattori – a collocare l’Italia negli ultimi posti in occidente per libertà di informazione.

Ebbene: sette anni dopo Cassinelli si accorge che c’è qualcosa che non va . E se ne accorge giusto mentre Levi viene fustigato da mezza Italia per il suo ddl sull’editoria. Lo fa con una proposta non indenne da critiche, ma da discutere sia perché costituisce un precedente, sia perché arriva da un membro del partito di Governo. Non propone una revisione generale della legge sull’editoria come Levi, ma piuttosto alcune modifiche a quella vigente (vedi testo completo del ddl ).

Primo punto : stabilire due categorie distinte, i “prodotti editoriali cartacei” e i “prodotti editoriali sulla rete internet”.

Secondo punto : i prodotti editoriali sulla rete internet debbono sottostare alle leggi sulla stampa solo se hanno per scopo la pubblicazione di notizie e purché ricadano in una delle seguenti tipologie: il gestore o gli autori delle pagine sono riconducibili a testate “quotidiane”, “periodiche”, “settimanali”, ecc. o sono legati ad esse da vincoli professionali; gestore o autori ne traggono profitto; gestore o autori sono giornalisti professionisti; gestore o autori percepiscono compensi periodici o saltuari per la propria attività di gestione o redazione; gestore o autori vendono direttamente, o comunque percepiscono compensi correlati alla vendita di inserzioni pubblicitarie nelle pagine.

Terzo punto : esclusione esplicita di tutti quei siti che hanno come ” unico scopo ” la pubblicazione di idee ed opinioni personali; la pubblicazione di informazioni societarie, istituzionali, autobiografiche; gli aggregatori automatici; i forum; le comunità virtuali.

Il ddl, quindi, non è un “salva blog” ma cerca almeno di risolvere alcune tensioni dell’attuale legge sull’editoria. Nella proposta restano irrisolti, tuttavia, alcuni punti critici:

1. il testo proposto non semplifica né snellisce la precedente normativa ma, anzi, sotto più aspetti ne aumenta la complessità interpretativa.
2. lascia sostanzialmente invariati i rischi prospettati dal ddl levi: un blog personale che pubblica notizie corredate da qualche annuncio AdSense rischia i reati di stampa. E aggiunge nell’elenco degli a rischio anche qualsiasi giornalista che pubblicasse notizie (e non opinioni) in indipendenza.
3. è poco armonizzato col diritto internazionale e non risolve la necessità di un testo unico aggiornato in base all’evoluzione tecnologica.

Per queste ragioni, e anche perché una riforma seria è lungi a vedersi all’orizzonte, la proposta è da modificare ma almeno da discutere. Pur con le ambiguità lessicali e giuridiche che porta con sé, infatti, sarebbe forse più chiara dell’attuale limbo. Rimarrà testo morto nelle fagocitanti aule della Camera? Diventerà l’ennesima toppa di un vestito legislativo già in brandelli? Forse.

In attesa di una delle tante riforme che, come quella sul diritto d’autore del 1941, l’Italia aspetta da più di sessant’anni.

Luca Spinelli

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Pubblicato il
24 nov 2008
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