Thing.net chiuderà, per censura

Thing.net chiuderà, per censura

Cresce in rete l'onda di indignazione per l'imminente chiusura di The Thing, provider storico punto di riferimento per gli artisti e gli attivisti newyorkesi. Centinaia i siti a rischio
Cresce in rete l'onda di indignazione per l'imminente chiusura di The Thing, provider storico punto di riferimento per gli artisti e gli attivisti newyorkesi. Centinaia i siti a rischio


Roma – Ieri è arrivato l’allarme anche dalla rivista italiana Torazine, che ha aggiunto la propria voce ai tantissimi che anche nel nostro paese stanno cercando di dare una mano a The Thing, che ospita centinaia di siti di artisti e istituzioni prestigiose come il MoMa e che sta per chiudere. Causa censura. Un caso clamoroso che attira le ire di mezza rete su Verio (NTT) che ha deciso di chiudere la banda a The Thing su pressioni di Dow Chemical.

Ma ecco tutta la vicenda come viene raccontata dal comunicato che sta girando in questi giorni:

Il provider di banda alta Verio, di proprietà della giapponese NTT, ha deciso di rescindere il suo contratto commerciale con il provider thing.net. La decisione – comunicata verbalmente dagli avvocati di Verio al chairman di The Thing Wolfgang Staehle sarà esecutiva il 28 febbraio e provocherà la sconnessione dello storico server di artisti ed attivisti newyorkesi da Internet. Attualmente The Thing ospita centinaia di siti di artisti, ma anche di istituzioni artistiche prestigiose come il MoMa, il PS1, network come Nettime e collettivi di base come Tenant (a sostegno degli inquilini newyorkesi), gruppi di attivisti come RTMARK) ed Electronic Disturbance Theater e case editrici come Autonomedia.

DOW CHEMICAL VS YES MEN

La vicenda ha inizio il 3 dicembre scorso, quando un gruppo di attivisti che si fanno chiamare gli Yes Men mettono online il sito dow-chemical.com. Si tratta di una parodia del sito ufficiale della Dow Chemical , corporation che ha recentemente assorbito la Union Carbide, responsabile dei circa 20.000 morti seguiti al disastro di Bhopal del 1984. Nel falso comunicato stampa che accompagnava il lancio del sito, la Dow spiegava le ragioni per cui l’azienda è responsabile unicamente verso i suoi azionisti e non verso i cittadini e il territorio indiano.

Alla parodia, la Dow reagisce con scarso umorismo. Il giorno successivo invia una notifica basata sul Digital Millennium Copyright Act (DMCA) al provider di banda alta Verio. Come già avvenuto in passato, Verio si rivolge immediatamente a The Thing, che ospita il sito degli Yes Men. Non trovando immediata risposta, lo chiude “preventivamente” sulla base dei poteri conferitigli dal DMCA. Il giorno dopo gli Yes Men decidono di rimuovere le pagine contestate e The Thing può tornare online. Ma l’offensiva della Dow non si ferma.

Il 6 Dicembre la corporation entra in possesso del dominio dow-chemical.com, facendo pressioni sulla società di registrazione gandhi.net. Nel giro di poche ore i contenuti di dow-chemical riappaiono su un server australiano, tutt’ora attivo, insieme a decine di altri mirror.

Ma Verio non è soddisfatta. E dopo aver ricordato a The Thing le precedenti violazioni del DMCA (come nel caso della Toywar quando il provider venne chiuso per tre ore) decide di terminare unilateralmente il suo contratto con The Thing. E’ bene ricordare che questa decisione non segue alcun ordine della magistratura, ma viene assunta dal”padrone di casa” sulla base di un regolamento interno che non può essere contestato dall’inquilino.

A questo punto a The Thing restano meno di due mesi per trovarsi un altro provider di banda alta.


LA DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA

La risposta di The Thing sarà comunque ampia e differenziata, sia sul piano tecnico che legale. In primo luogo il network intende acquistare direttamente un pacchetto di numeri IP da ARIN.net, l’organizzazione che li distribuisce. Al momento, The Thing utilizza 255 indirizzi IP che vengono forniti da Verio. Essendone il padrone, Verio può sospenderli in ogni momento, sulla base di una semplice lamentela inviata da un’altra corporation. Per questo, The Thing sceglie la strada dell’autonomia e si appresta ad acquistare un pacchetto di 4096 numeri IP che distribuirà su una quindicina di provider di banda alta diversi. In questo modo sarà praticamente impossibile chiudere il network sulla base di una semplice lamentela.

Tuttavia l’indipendenza ha un prezzo. Il costo dell’acquisto una tantum dei 4096 IP è di $5000; dopodiché costeranno $5000 l’anno per poter essere mantenuti. Il costo dello switch al nuovo gruppo di indirizzi sarà di altri $5000 circa e lo start-up per i nuovi provider di banda alta è stimato in circa $10.000. Il costo totale ammonta a circa 25.000 $.

Per questo Thing.net ha messo online una pagina per le donazioni tramite PayPal.

In secondo luogo The Thing fornirà una risposta sul piano legale per contestare la decisione di Verio. Il suo carattere lesivo del diritto di libera espressione e dello stesso business di The Thing è stato denunciato dal Direttore Esecutivo di The Thing Wolfgang Sthaele.

Ricardo Dominguez, fondatore dell’Electronic Disturbance Theater e Senior Editor di The Thing avverte: “Gli attivisti continuano a sentire gli effetti delle minacce legali infondate da parte di grosse corporation, che possono intimare ai siti la cancellazione anche solo attraverso una lamentela al provider di banda alta. Se Thing.net sarà capace di reperire i fondi per comprare un blocco di IP, si creeranno le condizioni per un porto sicuro per le voci alternative, garantendo che alle lamentele legali seguano dei giusti riscontri, prima che gli avvisi di sgombero vengano consegnati”.

Per maggiori informazioni: www.thething.it

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Pubblicato il
14 gen 2003
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